01.11.08 – Il dubbio, i media e la sostanza dei fatti

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"Una goccia nell’Onda" : il diario quotidiano dal movimento di Gaia Benzi, studentessa di lettere e filosofia all’Università La Sapienza di Roma.

Nonostante le apparenze, la quiete di ieri e di oggi dopo la tempesta dei giorni scorsi non è stata affatto improduttiva. Certo, la stanchezza – soprattutto fisica – comincia a pesare, ma non ha impedito di riunirci ancora, di parlare, di confrontarci fra di noi per commentare quanto accaduto e progettare il futuro. Perché è proprio il dialogo – quello vero, non la pantomima grottesca della politica istituzionale – a fare da perno ai nostri percorsi.
Così ieri si sono susseguite a raffica assemblee di dipartimento piuttosto che organizzative, o più semplicemente capannelli di studenti fuori le facoltà, dentro le aule, nei corridoi, che non hanno smesso un attimo di scambiarsi idee e opinioni sul mondo che ci circonda – come del resto dovrebbe essere in una sana democrazia. E proprio questa è, tutto sommato, la caratteristica fondante della nostra anormalità: l’interpretare nella sostanza i valori che altri amano recitare, per darsi un lustro, nell’apparenza.
La giostra patetica della commissione governativa d’inchiesta sui fatti di piazza Navona – che guarda caso ha dedotto pedissequamente la versione più comoda per l’esecutivo, tanto fedele alle dichiarazioni del boss da sembrare ridicolmente attillata – è solo uno dei tanti esempi che potrei tirare fuori dal cappello delle magie nefaste che abbiamo visto susseguirsi negli ultimi mesi: lo spostamento della monnezza di Napoli dal centro all’interland venduta come un’opera di serio riciclaggio e pulizia del territorio, lo sfacelo di Alitalia sempre più in crisi come il risanamento della compagnia di bandiera, i tagli indiscriminati all’istruzione italiana come un’opera di "razionalizzazione" mirata dell’esistente. Dichiarare e dire per questi figuri è diventato ormai un gioco da equilibristi, dove non si tenta nemmeno più di mascherare le nefandezze proclamate o fatte, ma si oscilla fra l’esaltarle spudoratamente e lo sconfessarle descrivendole come l’opposto di ciò che in realtà sono.
Inutile dire che la cosiddetta informazione fa da sponda e da megafono a qualunque cosa esca dalla bocca dei nostri esimi rappresentanti, riuscendo addirittura a negare l’evidenza come nemmeno un marito fedifrago e disperato proverebbe a fare: ed è così che, mentre l’altroieri un milione di persone sfilava per le strade di Roma, una radio nazionale riferiva che eravamo pochi a causa della pioggia, quando il telegiornale di Rete4, alla sera, montava con estrema fantasia immagini di piazze semi deserte riprese alla fine della manifestazione, affermando candidamente il fallimento della stessa. Certo, mi si obietterà che sono cose largamente risapute e, visti i soggetti in questione, non dovrei stare qui a farmi il sangue amaro; ma essere protagonisti della disinformazione è molto diverso dal subirla passivamente, e solo chi l’ha vissuto può capire quanto più profonda sia l’indignazione che colpisce chi ha assaggiato personalmente la mannaia dei media. E si riesce a mantenere calma e razionalità solo agendo come stiamo provando a fare noi, ovvero leggendo e incassando, spegnendo la televisione e poi buttando il telecomando giù dalla finestra – per non indurci in tentazione e liberarci così dal male.
Amen, insomma. Ma non del tutto. Ecco che la comunanza di fini e di mezzi che ci ha sempre legato torna a farsi sentire prepotente nei momenti di crisi – ovvero di passaggio, di trasformazione, di cambiamento: ecco che la nuova parola d’ordine, nata spontaneamente in queste ore a fianco di protestare e proporre, è informare.
La gente ci ferma per strada, ci chiede notizie; chiede quelle spiegazioni che si rende conto di non aver ricevuto da nessun altro. E noi siamo disponibili, rispondiamo volentieri, ci fermiamo a chiacchierare; siamo pronti ad essere tartassati di domande e non scappiamo, bensì siamo disposti a sottoporci al feroce processo che chiunque ha il diritto d’intentarci. Per verificare la nostra preparazione, le persone magari amano metterci in difficoltà: e chi si rende conto di non essere all’altezza delle loro aspettative, torna a casa senza astio, ma con qualcosa in più su cui riflettere, altro lavoro da dover fare.
Pian piano sono nate proposte di veri e propri banchetti informativi da disseminare per tutta la città. Intrufolarsi nella vita quotidiana di chi cammina attorno a noi, volantinare tutto il giorno sui mezzi pubblici, infiltrarci in maniera capillare per provare a colmare il baratro che divide la realtà proclamata da quella effettiva: questa in parte la nostra nuova prospettiva. Informare una persona, del resto, significa informarne la famiglia, gli amici; anche senza convincerla del tutto, ci basterebbe instillarle il dubbio – vera matrice del pensiero indipendente – e già saremmo soddisfatti, aspettando che il tempo, inesorabile, faccia il suo lavoro.
Lottare contro queste leggi significa, in fondo, anche lottare contro l’idea di un popolo bambino, incapace di decidere, che dev’essere imboccato e protetto dal proliferare nocivo di opinioni autonome; che dev’essere tenuto lontano dai libri e dalla cultura, foriere di quella che la politica interpreta come disgregazione sociale, mentre invece è solo naturale e sana eterogeneità del mondo e dei saperi. I nostri concittadini, invece, non sono affatto stupidi come pensano coloro che ne detengono la delega a comandare; un po’ tramortiti, magari, ma di certo non irrecuperabili.
Probabilmente si tratta di una strada che a breve termine sembrerà sterile, priva di effetti concreti. Eppure sentiamo che rinunciare adesso a percorrerla con coraggio e audacia significherebbe privarci della possibilità, in futuro, di veder vincere una qualunque protesta – soprattutto la nostra.
Fra feste per raccogliere fondi, lezioni all’aperto che continuano malgrado la pioggia e un po’ di sano riposo per recuperare le forze, tante idee continuano a ribollire in silenzio, cercando lo spazio per avere voce. E ora che l’onda si sta lentamente trasformando in maremoto, noi cerchiamo di contenerne la forza dirompente per incanalare le energie in una meno scenica alluvione che abbia però la capacità di erodere le fondamenta dall’interno.
La nostra animata partecipazione, sotto sotto, si nutre anche di questo: della consapevolezza di possedere un armamentario diverso rispetto a quello meramente repressivo del potere, meno rumoroso, meno immediato; ma non per questo meno incisivo e, a lungo termine, meno determinante.
Gaia Benzi



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