03.10.08 – L’inconcepibile ipotesi del Caimano al Quirinale
Messo da parte ieri, il tema dello scarso potere di Berlusconi ritorna oggi, e tornerà chissà quante altre volte.
Il consiglio dei ministri funziona – l’ha detto lui – come un consiglio di amministrazione. Il guaio sta nel Parlamento. E’ viscoso e impacciato. Anzi è un impaccio. Impaccio alla rapidità di decisione, alla volontà del governo, alla sua stessa volontà. Da qui, fulmini.
Preso atto della sua natura malata, il Parlamento stesso dovrebbe avere la grazia di togliersi di mezzo. Due sono le vie.
Una riforma della Costituzione di chiaro segno presidenziale, dove l’assemblea elettiva è corredo coreografico del presidente, oggetto secondario delle sua benevola autorità paternalistica.
O una riforma dei regolamenti parlamentari che raggiunga lo stesso fine ma in una forma più sotterranea e ipocrita: Costituzione invariata ma svuotata.
Va da sé che il primo disegno gli piace di più. Ma per il momento gli andrebbe bene anche il secondo, magari come preparazione per il primo.
Nel frattempo, per tenersi in allenamento, minaccia la Corte Costituzionale se non approverà l’indigeribile Lodo Alfano, e espone l’intenzione di modificarla a suo piacimento in seguito.
E per l’ordinaria amministrazione, dato che chi dovrebbe non esegue subito a tamburo battente, promette legiferazione d’urgenza per tutto ciò che può venirgli in mente. Fossero pure i graffiti sui muri o il commercio pornografico via etere (avesse un minimo di resipiscenza autocritica dovrebbe chiudere le sue reti).
Ma l’uomo, com’è noto, non si accontenta. Vuole assurgere alla massima carica dello Stato.
In qualsiasi altro paese democratico i portavoce più autorevoli dell’opinione pubblica scoppierebbero a ridere.
Potrebbero facilmente sostenere che uno come Berlusconi dovrebbe ringraziare il cielo di essere stato protagonista di una resistibile ascesa, cui tutti coloro che ne avevano titolo (e sono tanti) non hanno mai opposto alcun serio contrasto. E non avrebbero difficoltà a elencare i cento motivi per cui uno come lui in qualsiasi paese serio non potrebbe mai salire a quel ruolo.
Lui dice: uno con la mia storia potrebbe pensarci. La sua storia?
La tessera 1816 della loggia massonica P2. La condanna per falsa testimonianza inflittagli dal Tribunale di Venezia per aver mentito sulla data della sua affiliazione, condanna subito cancellata da un’amnistia provvidenziale. Il monopolio delle reti private ottenuto per concessione di una casta politica corrotta. I processi per falso in bilancio evitati cambiando la legge in merito. Il suo atteggiamento nei processi: una volta ha rilasciato una dichiarazione spontanea per evitare di essere interrogato; un’altra volta, dopo aver costretto i magistrati a raggiungerlo a Palazzo Chigi, si è avvalso della facoltà di non rispondere. I processi per corruzione della magistratura giunti a prescrizione o ad assoluzione a causa degli interventi preventivi dei suoi avvocati-parlamentari (una volta è stato assolto per la concessione delle attenuanti generiche, e questa l’ha avuta perché era presidente del consiglio!). Ma procedendo dal farsesco al serio, i portavoce dell’opinione pubblica ricorderebbero la legge del ’57 che lo rendeva ineleggibile. E poi porrebbero il punto essenziale: in qualsiasi paese civile il possessore, a seconda dei casi oligopolistico o monopolistico, di mezzi di comunicazione sarebbe del tutto incompatibile con l’esercizio del potere politico.
Invece l’aspirazione al Quirinale viene presa dai più come aspettativa ormai legittima. Esattamente come nella storia del suo impero mediatico, costruito per anni nella più totale illegalità come ha più volte asserito la Corte Costituzionale, domina la regola del fatto compiuto. Non avrebbe mai dovuto entrare a Palazzo Chigi. C’è entrato tre volte. Potrebbe anche salire al Quirinale.
Nella classe dirigente del Partito Democratico si registrano ritmici scambi di posizione. Veltroni vuole dialogare, D’Alema no. Ma se il primo rinuncia al dialogo, il secondo lo rilancia. E’ vero che ci sono poi posizioni politiche che cambiano segno se rivelate a mesi di distanza. Pare ad esempio che la battuta di D’Alema sulla possibilità di Berlusconi capo dello stato debba essere collocata in un ragionamento ipotetico fatto vari mesi fa e reso noto solo ora. Se ne può dare atto. Ma dire che Berlusconi in un quadro di presidenzialismo, garantito da pesi e contrappesi, potrebbe “governare meglio” è pur sempre il prodotto di una logica che un capo del centrosinistra non dovrebbe adottare neanche per sbaglio.
E la posizione di Veltroni contro la prospettiva di Berlusconi al Quirinale quanto durerà? E che significato può avere se nel frattempo il Partito Democratico immagina un Consiglio superiore della magistratura messo in modo che la magistratura stessa vi sia in minoranza? E ritiene possibile la sottrazione della polizia giudiziaria al controllo del pubblico ministero? E magari si acconcia a discutere della modifica dei regolamenti parlamentari senza rendersi conto di favorire il definitivo strapotere dell’esecutivo sugli altri poteri costituzionali?
Non facciamoci ingannare dalla polemica quotidiana. La classe dirigente di centrosinistra non ha mai tentato seriamente di contrastare l’anomalia italiana. Anzi, in più di un momento critico gli ha spianato la strada. Salvo poi piangere per la sua mancanza di gratitudine.
Quindi massima attenzione. Meglio essere diffidente che creduloni. E siccome il pensiero non deve separarsi dalla prassi, cominciano l’11 ottobre a piazza Navona a raccogliere le firme per il referendum popolare contro il Lodo Alfano.
Pancho Pardi
MicroMega rimane a disposizione dei titolari di copyright che non fosse riuscita a raggiungere.