3.12.08 – Firenze, l’autolesionismo della sinistra
Il caso di Firenze, scoppiato con l’azione della magistratura a proposito di alcune situazioni di grande rilievo urbanistico, è forse l’esempio più efficace e rivelatore sulle tendenze autolesioniste nel centrosinistra.
Il contesto era fino a poco fa solo il confronto tra quattro candidati nelle primarie del PD, aperte per individuare la candidatura più adatta a correre nelle prossime amministrative. Primarie di partito dunque. Scelta che escludeva sul nascere la possibilità di primarie di coalizione. Scelta opinabile, dato che le primarie di partito indicavano una prospettiva tutta chiusa in un solo ambito, evidentemente ritenuto indiscutibile. Mentre forse le primarie di coalizione avrebbero potuto allargare la partecipazione dei cittadini e individuare una candidatura capace di creare interesse in un’area più vasta di elettori.
La ragione di partito ha prevalso sull’idea di instaurare un dialogo più largo. Ma le primarie di partito si sono dovute misurare improvvisamente con l’irruzione sulla scena urbana di un problema a lungo latente. Senza considerare qui l’aspetto giudiziario della vicenda, va detto che da molti anni il problema centrale della politica fiorentina è l’urbanistica. Gestione dello spazio urbano, destinazione delle aree interne liberate da funzioni produttive precedenti, trasformazioni di aree periferiche vuote, progettazione e realizzazione di infrastrutture del trasporto pubblico, rafforzamento delle vie di grande comunicazione, apertura di nuovi raccordi nella piana, ipotesi di modifica dell’assetto aeroportuale. E poi: interrogativi sulla vocazione futura della città, gestione degli spazi espositivi. E ancora: destino dell’università oppressa dai debiti, chiusure di attività industriali, eccetera.
Non c’è in tutto ciò la minima stranezza: ogni media-grande città deve affrontare questioni analoghe. A Firenze sono state affrontate con una logica tutta raccolta dentro il cerchio di un blocco di potere chiuso. Assenza di partecipazione, sequestro delle decisioni principali in ambiti ristretti, insofferenza per le critiche dell’opinione pubblica, ostilità malcelata per le iniziative del protagonismo civile. Un mondo chiuso, convinto di agire nel modo migliore possibile. Scelte di grande importanza affidate per la realizzazione a un numero altrettanto ristretto di imprese, che è possibile contare sulle dita di una sola mano. Un monopolio politico-affaristico.
I gruppi che hanno esercitato la critica più severa e continua, come Unaltracittàunaltromondo, guidata da Ornella De Zordo, i Comitati Cittadini e i Comitati per il paesaggio promossi da Alberto Asor Rosa, sono stati considerati solo come dei grandi scocciatori, suscitatori di fastidiosi disturbi alla prassi consuetudinaria.
Ora, di colpo, le questioni difficili e insolute dell’urbanistica fiorentina si incrociano col destino politico della sua classe dirigente. L’incombere dell’aspetto giudiziario drammatizza la competizione e rischia di rompere il passo a tutti i candidati, magari non a tutti nella stessa misura. Anche senza farsi troppo influenzare dalle intercettazioni telefoniche (tutti diamo il peggio di noi stessi al telefono) è difficile negare che esse svelano -oltre che irregolarità, connessioni indebite, conflitti d’interesse, forse reati- la diffusione di uno "stile" che si sarebbe preferito ignorare.
Il problema politico ineludibile è che questa è di fatto la sola classe dirigente che la città ha prodotto negli ultimi decenni. E purtroppo i suoi eredi, peraltro solo virtuali, sono solo cloni più scadenti degli originali.
Molti cittadini temono la reazione di un diffuso astensionismo, e dietro di esso l’incubo della sconfitta, la cessione di Firenze alla destra. Siamo ancora a tempo per riaprire un largo dibattito civile e trovare una soluzione progressiva?
Pancho Pardi
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