05.11.08 – La vera, variegata maggioranza

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"Una goccia nell’Onda" : il diario quotidiano dal movimento di Gaia Benzi, studentessa di lettere e filosofia all’Università La Sapienza di Roma.

Stasera sono tornata a casa esausta dopo ore di lezione.
Sì, esatto: lezione. Quella vera, con libri, quaderni, lavagne e quant’altro. Felicemente spossata da dissertazioni linguistiche e filosofiche, storiche, politiche, sociali, filologiche. Circondata da tanti che, come me, prendevano appunti normalmente, e normalmente seguivano i corsi.
Poiché dai giornali non risulta – e dai telegiornali meno che mai -, ma nelle facoltà occupate spesso la didattica continua, indisturbata, nella stragrande maggioranza dei casi. Gli studenti entrano ed escono senza problemi, e così i professori, che tengono lezioni e danno esami come se, all’apparenza, il ciclone di queste settimane non esistesse – o non fosse arrivato fin lì. Attraversando in velocità il nostro mondo, un occhio distratto potrebbe confondere la folla presente nelle aule con una contro-protesta, e avvallare così la famosa teoria della maggioranza silenziosa. Se invece si prendesse il disturbo di chiedere in giro, scoprirebbe che le cose non stanno esattamente come ce le hanno raccontate finora.
Chi è questo fantomatico soggetto identificabile col nome di "maggioranza silenziosa"? Chi lo compone? Io, per esempio, oggi ne ho fatto parte – anche solo per un po’: la mattina ho partecipato al gruppo di studio sull’auto-riforma dell’università; il pomeriggio sono andata a lezione. Secondo la logica binaria di certuni commentatori nostrani sarei dovuta essere una facinorosa e svogliata ribelle nelle prime ore della giornata, per poi trasformarmi improvvisamente, dopo il pranzo, in una volenterosa studentessa modello, ben disposta nei confronti della 133 e felice soltanto se lasciata in pace coi suoi benamati libri.
Mi sembra evidente che alla base di tale schematica divisione vi sia un presupposto sbagliato; vi sia, cioè, il pregiudizio che ritiene impossibile la compresenza, all’interno del medesimo individuo, di ben due volontà: quella di apprendere, in quanto studente, e quella di partecipare alla rivendicazione dei propri diritti, in quanto cittadino. Capisco come una cosa del genere possa sembrare assurda a chi ha fatto della faziosità e del manicheismo una ragione di vita – e di guadagno. Eppure – incredibile auditu! – è così.
Lontano dai riflettori, la realtà assume – come sempre – forme assai più complesse di quanto la sintesi mediatica riesca a mostrare, difficilmente riassumibili in due righe di sondaggio, e con una variegata gamma di sfumature e stadi intermedi che ne costituiscono, di fatto, la sostanza. Fra chi è ogni giorno in piazza e chi ogni giorno in aula non v’è un abisso, come hanno detto e dicono tuttora, ma spesso soltanto una diversa interpretazione della parola "protesta".
Le posizioni dei cosiddetti silenziosi sono le più disparate. Si va infatti dal totalmente disinformato al candidamente indifferente, dall’egoistico "un anno e via" al polemico "non mi piacciono i collettivi", dal fatalista "staremo a vedere" all’accidioso "non mi va, troppa fatica!"; da chi sostiene la linea morbida delle "contestazioni alternative" perché "la piazza non fa per me", a chi dice "partecipo sempre, ma il professor X è troppo bravo: ascoltarlo mi consola di tutto"; dai disillusi che "tanto non funzionerà mai, quindi perché per perdere tempo?", a quelli che "ora ho da fare, ma sono con voi"; fino ad arrivare, in casi rarissimi, all’estremo "sono d’accordo col governo, viva la 133".
Le vere liti interne fanno in genere riferimento ai metodi della contestazione, e non alla sua legittimità. Spesso l’unico spazio veramente negato alla normalità consiste in un’aula, irrinunciabile per gli organizzatori e i partecipanti, che funge da punto d’incontro, centro informativo, luogo di dibattito. Ciò genera comunque, in qualche caso, un fisiologico attrito; ma non fra studenti "occupanti" e studenti "studiosi": bensì fra studenti tolleranti – o addirittura solidali con gli occupanti – e professori che, coscienti della situazione, non si sono dati la pena di cercare un altro posto dove spostare la lezione. Quante volte interi piani di una facoltà sono diventati inagibili a causa di un convegno, un congresso, un evento eccezionale? Perché l’occupazione di un’aula – dicasi una! – dovrebbe impedire lo svolgimento regolare dei corsi?
Del resto se c’è una cosa che all’università italiana non manca sono creatività e spirito d’adattamento. Prova concreta di ciò, le lezioni all’aperto: con un minimo d’organizzazione, la lavagna e un microfono è possibile tutto. E magari seduti per terra a prendere appunti ci trovi persone che a gridare dietro un megafono non li avresti viste mai. Tu qui? Ma allora sei d’accordo col movimento! Chi l’avrebbe mai detto… "Certo che sì! E sono contenta di poterlo dimostrare in modo originale, senza troppi clamori; per comunicare a chi ci osserva una cosa semplice: tutto ciò che chiediamo è poter studiare. Perché farlo è bello, è importante e, soprattutto, ci piace."
E’ vero, ci piace; ci piace tantissimo. Due settimane fa ho avuto un appello d’esame: mi sono presentata, l’ho dato, e il giorno dopo ho sfilato in piazza. A me è sembrato normale; e in fondo, perché non dovrebbe? A mio parere, non si tratta di momenti contrapposti, bensì complementari: studiare e protestare sono due diritti costituzionali innegabili; esercitando il secondo, mi assicuro di poter continuare a godere appieno del primo.
In conclusione, a quant’ho visto la maggioranza della popolazione studentesca non è affatto silenziosa; casomai – si potrebbe azzardare – "diversamente rumorosa", laddove per rumore s’intenda rivendicazione dei propri diritti e passione per i propri doveri: di cittadini e di studenti.

Gaia Benzi



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