08.11.08 – Concorsi, un sistema da cambiare
L’Onda non si ferma. Malgrado la campagna di denigrazione della televisione e di gran parte della stampa; incurante delle manifestazioni “vivaci” dei neofascisti così coccolati sempre dalle suddette stampa e televisione; a dispetto delle misure che, di giorno in giorno, un governo imbelle che vuol apparire forte e sicuro si sé, annuncia o assume, quasi a casaccio. Il problema di Berlusconi è di non dare l’impressione di debolezza, ma nel contempo di non precipitare nei sondaggi; di poter continuare a dichiarare che “sta attuando il programma di governo”, magari aggiungendo, come molti dei suoi portavoce annunciano ripetutamente, “senza cambiare una virgola”, non senza precisare, contraddittoriamente, negli ultimi giorni, che il governo è aperto al confronto.
Ora giunge l’annuncio della sospensione delle votazioni per le elezioni delle commissioni per la prevista tornata concorsuale. Per molti in attesa, che lavorano come precari, come ricercatori, come associati, il rischio di subire un blocco della procedura di ammissione, è grande; ed enorme sarebbe la loro delusione ove i concorsi dovessero addirittura saltare. Entro un paio di giorni, ossia entro la scadenza delle domande per i concorsi banditi – promettono i funzionari ministeriali –, saranno impartite disposizioni ai rettori: ed è possibile come già nelle scorse ore, alcune delle principali richieste provenienti dagli atenei vegano accolte, e che, magari cambiando un po’ il meccanismo di selezione dei commissari, si arrivi a farli, questi benedetti concorsi. Il governo ci dice poi che il famigerato blocco del turnover, subirà un allentamento: di assai dubbia efficacia e di ancor più dubbia equità; ma vedremo. In ogni caso si sottolinea che tutto questo rappresenta una inversione di tendenza, che si porta la moralità nel mondo universitario, che è finita per sempre l’epoca di accademiopoli, e così via.
In ogni caso, occorre, come credo di aver già scritto su questo spazio, non lasciarsi sfuggire l’occasione – dello scontro sulla manovra Tremonti-Brunetta-Gelmini – per riflettere con il massimo di onestà e chiarezza, non solo sul reclutamento, ma su tutte le questioni aperte del mondo universitario, sulle sue tante spine: i primi a saperlo sono gli studenti e i precari della ricerca. Ossia, coloro che il sistema ha già cercato di trasformare in “clienti” (guardate che cosa si legge sul display nelle segreterie delle Facoltà: “Cliente n.”,…) e coloro che la vita degli atenei sorreggono, quotidianamente, tra collaborazioni subordinate alle ricerche, sostituzioni di titolari, esami fatti al loro posto, o con loro, gestione dei laureandi e delle loro tesi, e così via… Certo, si tratta di un percorso formativo, non soltanto utile, ma indispensabile, che tuttavia alla lunga – o alla lunghissima! – si rivela un imbroglio: l’istituzione ha bisogno di te ma non ti paga. E se anche se ti paga (poco, male e irregolarmente), non ti concede neppure la speranza di un’assunzione.
Ma soprattutto dobbiamo chiedere, davvero, noi dall’interno, una profonda riflessione sulla questione concorsi. Ogni sistema concorsuale ha i suoi punti deboli, e finora si è sempre trovato il modo per sconfiggere le migliori intenzioni volte a “moralizzare” e rendere più giusta la selezione dei candidati, dunque più efficiente il sistema. I concorsi locali si sono rivelati un boomerang, e hanno peggiorato notevolmente il livello medio dei docenti; ma nel contempo dobbiamo riconoscere che per sua stessa natura la logica concorsuale accademica non può rinunciare alla cooptazione. Ma salvando il merito. Ossia, un professore legittimamente aspira a far vincere i suoi allievi; ma ciò può essere accettabile solo se altri concorrenti non sono decisamente superiori agli “interni”. Casi scandalosi sono frequenti, anche se non frequentissimi; forse non è il caso di invocare un Mani Pulite per l’Accademia italiana, ma un serio ripensamento, autocritico, questo mi pare indispensabile. Fuori di ogni dubbio, i meccanismi dovrebbero impedire che gente che arriva a al ruolo di ricercatore, associato, ordinario, lo consideri una sinecura, un laticlavio. Quanti casi conosciamo di persone, che una volta diventati ricercatori o docenti, hanno smesso di studiare, di fare ricerca, di produrre? Ebbene, un giudizio ricorrente, periodico, che abbini una onesta valutazione esterna (insomma non operata dagli amici, o dai propri stessi maestri) con un giudizio dato dagli studenti, potrebbe esser utile, se non addirittura indispensabile. Chi non produce, o produce pseudoscienza; e chi non è in grado di insegnare, senza essere privato dei mezzi di sostentamento, può essere spostato ad altra pubblica amministrazione. E si faccia spazio a chi ha passione, e competenza (magari in fieri) per ridare slancio e vita all’istituzione universitaria. Ma anche solo per procedere seriamente in questo genere di considerazioni, e proporre interventi, occorre che il ministro di turno, di solito catapultato alla Minerva, senza possedere competenze specifiche, anzi sovente (è il caso della nostra Gelmini…) senza alcuna competenza, in nessun campo, rinunci a perseguire l’osceno obiettivo, da tempo in campo, di destrutturazione della scuola pubblica, e di una sua perversa aziendalizzazione, quasi si trattasse di una impresa che deve produrre profitto. Poi, solo dopo, potremo cominciare a discutere.
(8 novembre 2008)
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