11.11.08 – Il problema politico

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"Una goccia nell’Onda": il diario quotidiano dal movimento di Gaia Benzi, studentessa di lettere e filosofia all’Università La Sapienza di Roma.

In preparazione dell’assemblea nazionale i discorsi stanno assumendo toni e colori diversi da quelli tenuti finora. Si potrebbe addirittura usare, per descriverli, il termine "politici".
Piano piano la coscienza di non essere un movimento "apolitico", ma più specificatamente "apartitico", si sta saldando alla necessità, da parte nostra, di individuare, appunto, che tipo di politica portare avanti come studenti e come cittadini di questo paese.
Si è detto più volte che, contestando la 133, noi contestiamo tante altre cose, in primis la gestione politica della crisi finanziaria ed economica che questo governo sta promuovendo con ottuso autoritarismo; ma anche la visione di pubblico che emerge da tale gestione, e la sua svalutazione culturale; e le conseguenze disastrose che un’idea siffatta ingenererà in un paese come l’Italia, dove il privato non può sopperire alle carenze dello Stato non solo perché non ne ha le capacità reali, ma perché non ha la cultura propria per farlo.
Queste linee guida, da noi universalmente condivise, non sono state la conseguenza di un manifesto programmatico che, sottoscritto, ha impostato la discussione; ma si sono imposte naturalmente all’attenzione delle varie assemblee e altrettanto naturalmente sono state accolte dai partecipanti, sull’onda di un’empatia sconvolgente, per certi versi imprevista e imprevedibile. Ora tali punti cardine andranno arricchiti e sviscerati per essere fondamento di un programma più ampio e preciso. Tutte queste cose richiedono tempo, energie e concertazione; ma, visto che ormai sono sentite come indispensabili, sono quasi sicura che avverranno.
Del resto il panorama politico istituzionale non presenta alcun margine di negoziazione, e le nostre vertenze non sembrano essere incarnate da nessun soggetto cosiddetto dialogante: le posizioni del governo sono note e, malgrado le aperture "pubblicitarie" – che non cambiano di una virgola l’impostazione originaria della 133, ma tendono anzi a sottolinearla – avutesi negli ultimi giorni, non vi è ancora all’orizzonte la possibilità di un confronto concreto col movimento; gli unici con cui si vorrebbe aprire un tavolo sarebbero i gruppi parlamentari di opposizione e la CRUI.
La CRUI, dal canto suo, non ha ancora assunto una posizione specifica nel merito del decreto legge contestato, ma anzi si è mostrata divisa per quanto riguarda l’opposizione all’articolo 16; divisione aggravata dalla posizione dell’AQUIS, autoproclamatasi eccellenza, che punta sostanzialmente ad intercettare i pochi soldi messi a disposizione dell’esecutivo ignorando completamente il resto degli atenei italiani, e il cui silenzio è sintomo di assenso. I rettori italiani non rappresentano, dunque, un nostro alleato; e si mostrano sordi alla voce del movimento tanto quanto la maggioranza.
Per quanto riguarda gli altri gruppi parlamentari, l’unico possibile interlocutore sarebbe il Partito Democratico. Ma il PD è inadeguato a tale compito in primo luogo per la sua struttura, chiusa tanto quanto quella degli altri partiti alle istanze della società civile – e prova ne sono le prese di posizione di questi ultimi mesi su temi scottanti come, ad esempio, quello della giustizia, palesemente non condivise dalla stragrande maggioranza dei suoi elettori -, ma anche per la sua natura, ambigua quanto si vuole nelle dichiarazioni pubbliche, eppure chiarissima nel programma scritto presentato poco prima delle elezioni. Tale programma, infatti, non solo non è in linea con la nostra idea d’istruzione e di università, ma si accoda nella pratica a quello del PdL, proponendo cose come la liberalizzazione delle tasse universitarie – oggi bloccate ad un massimo del 20% sul FFO -, o l’autonomia degli istituti scolastici e universitari – un chiaro balzo in avanti verso la privatizzazione dell’istruzione pubblica, o la creazione di poli di eccellenza iper-specializzati – una mano tesa all’AQUIS e ai suoi dirigenti. Certo, a fianco di tutto ciò vi è la volontà di "stare dalla nostra parte"; ma nel concreto questa volontà appare molto propagandistica, molto di forma e assai poco di sostanza. L’unica cosa sicuramente rilevabile è una tendenza, per i nostri gusti, eccessivamente cerchiobottista ed estremamente poco influenzabile da noi, corpo vivo dell’università; un atteggiamento che non segna una svolta vera rispetto a quello tenuto negli ultimi quindici anni dai vari soggetti politici, e che è inservibile ai nostri scopi – anzi, per tanti versi osteggiabile.
E’ dunque necessario cercare noi di proporci in prima persona come interlocutori politici, tenendo conto che i metodi con cui questo avverrà dovranno essere in linea con la visione di "partecipazione totale" e irrappresentabilità promossa in queste settimane. Il nostro non essere rappresentabili non si riferisce, infatti, solamente ai partiti politici; ma anche a quelle stesse organizzazioni studentesche che si sono rivelate incapaci, in questi anni, di interpretare le nostre esigenze e di combattere per esse. L’assemblea nazionale del 15 e il 16 produrrà un documento che sarà, appunto, un documento assembleare, e sebbene potrebbe dar vita ad un necessario coordinamento interateneo, non eleggerà dei rappresentanti che avranno la delega di pensare al posto nostro. L’assottigliamento del ruolo della delega ha portato con sé, ovviamente, un allargamento della partecipazione di ciascuno, invitato a riflettere e decidere su tutte le questioni all’ordine del giorno – nessuna esclusa.
La messa in crisi del modello di rappresentanza, che noi abbiamo assunto a fondamento delle nostre azioni, si lega dunque ad una riflessione più generale sullo stato della democrazia in Italia e sulle sue espressioni attuali. Com’è possibile dare nuova linfa vitale ai meccanismi democratici, quegli stessi meccanismi che incarnano, in fondo, il vero discrimine fra pubblico e privato? Come può la società civile ricominciare a far sentire la sua voce ed imporre la discussione dei suoi problemi all’agenda politica del parlamento?
Ho cercato di riportare quelli che sono gli umori che circolano in questi giorni nelle assemblee, negli incontri, nei dibattiti. La sensazione di vaghezza che traspare dal mio resoconto sarà probabilmente sostituita, nelle prossime settimane – se non addirittura nelle prossime ore -, da affermazioni più specifiche e concrete. Del resto noi stessi ci troviamo costretti a discutere sopra un cumulo di macerie, e non possiamo fare altro che ricominciare da capo, dalle stesse premesse dell’agire democratico.
Io stessa, all’inizio, non volevo partecipare alla protesta perché la consideravo essenzialmente inutile: se anche avessimo vinto questa battaglia, non avremmo ottenuto altro che imbiancare un muro irrimediabilmente crepato. Poi la mia coscienza ha fatto un balzo, e sono scesa ugualmente in piazza. Oggi mi rendo conto che la mia perplessità era sentire comune, e che una riflessione più generale di natura politica a partire proprio da quei settori – istruzione e lavoro – che costituiscono il centro della società è, almeno idealmente, nella prospettiva di molti.
L’importante è non avere fretta. L’anagrafe del resto lo conferma: il futuro è comunque nostro.

Gaia Benzi



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