13.11.08 – La paura e la speranza

MicroMega

Sono 48 ore che non mi dedico a questo blog. Non per pigrizia, o per il sempre incombente “cedimento strutturale”, ma piuttosto per un po’ di stanchezza interiore. Finora ho cercato di tirare fuori dalle profondità tutto l’entusiasmo del temperamento, ovvero l’ottimismo della volontà; ma nelle ultime giornate, tra le manovre governative – classicamente tese al divide et impera – e un naturale, progressivo affievolirsi della tensione, sta facendosi strada il pessimismo dell’intelletto; specie davanti a certi spezzoni di commenti di colleghi.
Ieri sera avrei dovuto tenere una lezione in una sede dell’Università torinese occupata nottetempo, mentre di giorno prosegue indisturbata l’attività didattica. Mi avevano chiesto, ragazzi e ragazze dei Collettivi, di parlare del ’68 e dei movimenti di protesta giovanili, in raffronto implicito con quello in corso. Sono andato puntuale (beh, con il quarto d’ora accademico…) e ho fotografato immediatamente la situazione. Poche persone, alcune ancora intente al pentolone di fusilli all’amatriciana, altre mestamente impegnate in silenziose meditazioni, mentre da ambienti circumvicini giungevano attutite le voci di discussioni: non vivacissime, anzi, piuttosto cupe, parevano. In effetti così era. I rappresentanti dell’Onda si dividevano sulle soluzioni finanziarie: come e dove reperire i denari per portare a Roma il 14 il maggior numero di persone. Altro che parlare di storia dei movimenti: qui si tratta di deciderla, questa storia. Non quella pregressa, ma quella in corso, da costruire. Alla fine si è concordemente ritenuto che, non tanto per lo scarso numero dei presenti, quanto piuttosto per il clima di prostrazione che sembrava peggiorare, sarebbe stato saggio rinviare la mia performance. Me ne sono tornato a casa, dopo esser rimasto un po’ là a chiacchierare. Ma mi sentivo piuttosto “fuori”: per la prima volta ho percepito la distanza, ho sentito che ero comunque considerato diverso da “loro”.
A casa, nello studio: qui, con lo schermo del computer a scrutarmi muto; rileggo l’email che uno dei ragazzi del Collettivo Bonobo (dal nome di una scimmia) mi ha inviato il giorno prima. Mi scriveva, Andrea: «la fatica e la stanchezza incombono. Problemi di varia natura si susseguono senza sosta: ci sono molte cose da migliorare, ci stiamo lavorando. Nonostante tutto c’è la consapevolezza che la nostra mobilitazione è obbligata e non ammette defezioni. Il riposo può attendere. La voglia di futuro ci impone di vegliare sulle nostre vite. Il “futuro è nelle nostre mani”: così i no-tav e i no-dalmolin hanno concluso la lettera di solidarietà che ci hanno inviato nei giorni scorsi. Il problema è che le nostre sono mani impacciate, arti grossolani. Non è loro la colpa, è una questione di abitudine. È da tempo ormai che il futuro era da tutt’altre parti, di sicuro non “nelle nostre mani”. Ci troviamo così addosso le attese di una parte di paese che spera che con noi le cose possano cambiare. Un’attenzione che ci riempie di orgoglio ma che al tempo stesso spaventa».
Una radiografia azzeccatissima, che nel seguito Andrea argomentava ulteriormente accennando – solo accennando – ai lati buoni, pure di queste difficoltà, di queste paure, di queste ansie. Anche se la lotta non dovesse raggiungere tutti gli obiettivi – ma come negare che già qualcosa è stato ottenuto? A cominciare dal calo di consensi intorno a questo governo osceno –, come minimo gli Andrea, le Irene, e tutti gli altri e le altre, stanno esperendo la loro scoperta della politica, come strumento di costruzione comunitaria, come via alla convivenza tra diversi, come progetto di intervento nella realtà: magari per trasformarla, a partire dai dati spirituali, culturali, antropologici. Linguistici. Sì, perché la politica si fonda sulla parola. E dunque, la politica è anche quella defatigante ed esaltante esperienza dell’assemblea e delle riunioni, che non può essere liquidata come certe ricostruzioni del ’68 in libreria stanno facendo, come mera ritualità e mediocre folclore. Non si può usare Nanni Moretti per capire la contestazione, ieri ed oggi (ma certi suoi ritratti sono purtroppo perfetti). Se pure l’Onda dovesse prosciugarsi sulla battigia, le diverse, infinite gocce che la compongono (per riprendere l’efficace metafora del blog mio “coinquilino” su questo sito), avrebbero quanto meno appreso più da vicino “la nobile arte”. La politica, appunto.

Angelo d’Orsi



MicroMega rimane a disposizione dei titolari di copyright che non fosse riuscita a raggiungere.