14.11.08 – Il morale della truppa
"Una goccia nell’Onda": il diario quotidiano dal movimento di Gaia Benzi, studentessa di lettere e filosofia all’Università La Sapienza di Roma.
Osservando gli studenti trascinarsi per le facoltà – occhiaie profonde, visi pallidi, andamento incerto -, mi viene da fare una semplice riflessione.
Siamo stanchi. Ma non d’una stanchezza mentale, morale: non siamo abbattuti, men che mai disillusi. Siamo semplicemente distrutti: fisicamente.
Dopo quattro settimane di mobilitazione continua, con cortei che durano anche sei, sette ore l’uno, con assemblee che spesso iniziano la mattina e si protraggono fino a sera inoltrata, con proposte di mobilitazione che vanno organizzate, e quindi discusse, pensate, e poi attuate; con magari solo tre ore di sonno sulle spalle per notte, beh, ritengo sia fisiologico essere un po’ spossati.
Io, ad esempio, ho passato le ultime due nottate in coma profondo, tirando avanti a ronfare per dodici ore ed oltre. E non perché l’avessi scelto; ma per pura sopravvivenza, banalmente.
E’ questo forse un segnale di riflusso? Bah, credo proprio di no. Sarebbe stato un segnale di riflusso il trovare deserte le aule occupate, i gruppi di studio vuoti, le proposte abbandonate a sé stesse su tavoli nudi da qualsivoglia dibattito. Invece non è così: continuano le riunioni, continuano i coordinamenti, continua la costruzione dell’assemblea nazionale attraverso incontri con giuristi, economisti, ricercatori, dottorandi, studenti stranieri, professori, giornalisti. Abbiamo imparato di più sulla nostra università in queste due settimane che in anni di frequentazione assidua. E’ forse un fatto negativo?
Rassicuro dunque tutti coloro che si sentono orfani delle nostre grida e dei nostri motti: il movimento non è morto; sta solo cambiando. Sta – com’è giusto, naturale, inevitabile – andando avanti.
Non era del resto pensabile continuare ad essere in piazza a tutte le ore e tutti i giorni da qui a dicembre; ognuno di noi ha una vita che desidera vivere anche al di fuori della protesta. Abbiamo fidanzati, genitori, amici; abbiamo lezioni e lavoretti part-time che pagano l’affitto a molti di noi. Ciò non significa che, passata l’euforia iniziale, abbiamo gettato collettivamente la spugna. Un’assemblea fa meno rumore di un corteo, eppure è ugualmente concreta – anzi, in alcuni casi di più. Purtroppo in un mondo dove l’apparenza è tutto – e dice il proverbio: l’apparenza inganna -, il lavoro quotidiano interno alle facoltà ha meno risonanza e meno capacità comunicativa del momento culminante in cui ci riversiamo per le strade; ma ciò non significa che sia inutile o irrilevante.
In questi giorni abbiamo ampliato le nostre conoscenze e le nostre coscienze; ci siamo addentrati in problemi complessi, abbiamo rinunciato alle immediate semplificazioni propagandistiche – che pure avremmo potuto adottare – per scandagliare a fondo le questioni che ci stanno a cuore: perché senza una riflessione seria, senza una vera competenza, non riusciremo a gettare le basi della nostra futura mobilitazione. Arrivo a dire che sarebbe inutile persino scendere in corteo, se non si avesse la piena consapevolezza del perché si è lì.
Non credo che l’Onda potrà allargarsi più di quanto ha già fatto. Allora è necessario lavorare affinché essa penetri nella realtà e sia antidoto culturale al pensiero (semi) unico, filo-governativo che pervade le nostre vite. Discorsi pacati ma duraturi possono essere più incisivi, in questo senso, di slogan martellanti ripetuti giorno e notte fino all’esaurimento. Stiamo o non stiamo costruendo il nostro futuro? Avremo anche noi bisogno del nostro tempo, dei nostri ritmi, dei nostri momenti di riposo?
La società ci sta gettando addosso responsabilità enormi: e noi siamo fieri di assumercele; ma abbiamo la necessità di farlo a modo nostro. La completa auto-organizzazione implica uno sforzo – collettivo e individuale – non indifferente; i meccanismi che mettiamo in atto pretendono il nostro impegno costante. E noi quest’impegno ce lo assumiamo con gioia e continueremo sicuramente a farlo; ma non ci si illuda: non potrà avvenire tutto e subito.
Se non ci ritagliassimo momenti di condivisione, di normalità, di tranquillità che siano estranei e lontani dalla rabbia, dall’indignazione, dalla concentrazione continuativa che mettiamo in campo durante le proteste, non morirebbe il movimento: moriremmo noi. E questo non può avvenire. Evitare di inaridirci come persone per evitare di inaridirci come gruppo: a me sembra una strategia vincente.
Quindi ben vengano le feste, gli aperitivi sociali, il cazzeggio senza freni e i momenti di svacco. Non è forse l’allegria uno dei nostri punti di forza? Ebbene, stiamo cercando di non perderla.
Tanto – come diceva una mia vecchia professoressa -, se le capacità ci sono, prima o poi troveranno il modo di venir fuori e ottenere giustizia.
Gaia Benzi
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