14.11.08 – L’Onda, il fascismo e la Costituzione
No. Non parlerò della giornata odierna. Non racconterò manifestazioni, né attese, certezze, delusioni, e rinnovate speranze. I commenti abbondano e dunque, lascio ad altri il compito e il piacere.
Voglio parlare d’altro, sempre restando legato al filo rosso di questo blog centrato sulla protesta, sulla contestazione, sul rifiuto; ma anche sulle ipotesi positive: sul che fare, in definitiva. Voglio affrontare, sia pure sommariamente, un problema che comunque con l’Onda ha a che fare. Un duplice problema che mostra evidenti connessioni interne: voglio parlare del fascismo, detto semplicemente. Alberto Asor Rosa ebbe il merito, la scorsa estate, sia pure in un articolo discutibile, di dichiarare apertis verbis che il regime berlusconiano è “peggio del fascismo”; pur non condividendo l’analisi del fascismo storico compiuta dall’illustre studioso, accolsi la sua tesi di fondo, quasi con sollievo. “Il re è nudo!”: qualcuno doveva dirlo. Stavolta non ero stato io l’estremista. E volentieri mi accodavo…
Una tesi che, naturalmente, anche da parte di coloro che la sottoscrissero venne subito circostanziata, con una serie di distinguo, di precisazioni, di smussamenti di senso, di limitazioni di significato e così via. Ma perché occorre limare, smussare, ridurre? Guardiamo alle ultimissime vicende: un pacchetto di norme che chiamare razziste è davvero poco (siamo ormai ai primi posti nel mondo su questo terreno: e temo che non sia che l’inizio), che procede senza colpo ferire, ossia senza suscitare la ferma, indignata protesta dell’Opposizione, senza eccitare, se non in misura assai esigua, le nostre migliori “penne” a tuffarsi nel calamaio e a riempire fogli di analisi vigorose quanto dure, di condanna senza appello.
Guardiamo le azioni ormai quotidiane di gruppi dichiaratamente neofascisti, che agiscono se non con la protezione diretta delle “forze dell’ordine”, quanto meno in una sostanziale libertà d’azione: provocare, intimidire, minacciare, aggredire, picchiare. Che è quanto, del resto, il vecchio “picconatore” (che non vuole togliersi dalla scena in nessun modo), suggerisce di fare ai suoi amici poliziotti, quelli che, incriminati per la “macelleria messicana” di Genova luglio 2001, fecero gridare allo scandalo appunto il signor Kossiga, che giornalisti stolti e compiacenti si ostinano a chiamare “presidente”, o ridicolmente “presidente emerito”, ignorando anche il significato delle parole. Ma questo passa il convento, oggi in Italia.
Fascisti non su Marte, dunque, ma dentro le nostre città, annidati nelle caserme e nelle questure, e non solo; poliziotti fascisti che, dopo la sentenza di ieri, emessa da un Tribunale genovese sugli eventi genovesi, possono andare in giro a testa alta. Come non chiamare fascisti quei poliziotti e quei carabinieri, agenti di custodia, finanzieri che si accanirono in un turpe gioco sadico a umiliare e pestare, arrivando a veri e propri tentativi di omicidio, i ragazzi del Social Forum, ma anche le ragazze, i loro genitori, i loro nonni? Come non chiamare fascisti i loro dirigenti usciti tutti assolti dal processo genovese? Come non chiamare fascista l’irruzione nella sede CGIL a Roma da parte di un gruppo “di destra”? Come non chiamare fascista l’assalto alla sede Rai, per “dare una lezione” alla trasmissione Chi l’ha visto?, per aver osato trasmettere immagini inequivoche dell’aggressione dei ragazzini delle Scuole medie da parte di picchiatori professionisti?
Insomma, confesso di sentirmi un po’ proiettato all’indietro, in un altro movimento, quello degli anni Sessanta/Settanta, quando uno dei problemi principali del “movimento” erano appunto “i fasci”, come venivano chiamati. Oggi, una pubblicistica compiacente ne narra le gesta, dopo che grazie a Craxi e Berlusconi i loro eredi politici sono stati “sdoganati”; e come con Salò e la Resistenza ripartisce equamente torti e ragioni, tra “gli uni” e “gli altri”. Oggi, una politica ribalda e gaglioffa – Larussa! Maroni! Gianniletta! Bossi! Alfano! Calderoli! – rimuove senza tante cerimonie, come suol dirsi, il prefetto di Roma, Carlo Mosca, reo di voler rispettare la legge, e di informare le sue azioni a princìpi cristiani, in nome del confronto e non dello scontro, dell’accoglienza e non della paura e dell’odio.
Rispettare la legge! Che stoltezza! La legge, cos’è mai la legge? Impacci. Impicci. Impiastri. La legge sono loro. La legge è LUI. E dovunque il suo rullo compressore passa non crescerà nulla più. A meno che… A meno che un’Onda benefica, un’Onda ristoratrice, un’Onda anomala, coraggiosa e perseverante, creativa e propositiva, sia in grado di spazzare via quanto c’è da spazzare via: tanto, ma proprio tanto… E sull’onda di quell’Onda, noi tutti – sviluppando e tesaurizzando l’esperienza di queste settimane faticose ed esaltanti –, si possa, si voglia, ricostruire un Paese sulle sue fondamenta. Non scavandone di nuove, ma tenendo quelle che ci sono, sulle quali appunto edificare ex novo. L’Onda sia una barriera corallina contro cui si dovranno infrangere i tentativi di distruggere quelle fondamenta: perché questo, innanzi tutto, e al di là dello specifico oggetto del decreto (oggi uno, domani un altro), rimane l’obiettivo principale dei tremontini, brunettini, gelmini: i fedeli esecutori del programma “riformista” del Capo. Quelle fondamenta si chiamano Costituzione Repubblicana.
Angelo d’Orsi
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