14.11.08 – Vigilanza, gli errori dell’opposizione
La storia recente della Commissione parlamentare di vigilanza sulle telecomunicazioni è esemplare. Intanto quasi tutti la chiamano Vigilanza Rai. Non solo per brevità, ma perché pensano che solo quello debba fare. Invece la Commissione deve vigilare sulle telecomunicazioni: quindi anche su Mediaset e le altre emittenti minori. So che affermo l’esistenza di un compito impossibile, almeno nei confronti di Mediaset, ma l’impossibilità ne esalta la necessità.
Dall’inizio della legislatura la Commissione si è riunita per eleggere il presidente e i segretari. Una consuetudine istituzionale mai negata dà all’opposizione la presidenza delle commissioni cosiddette di controllo. L’opposizione attuale ha indicato in Leoluca Orlando, deputato di IdV, il proprio candidato per la Vigilanza. Ma Orlando non è mai stato eletto.
Infatti per circa quarantacinque volte in Commissione è mancato il numero legale. Lo faceva mancare con monotona regolarità l’assenza della maggioranza. Lo scopo era dichiarato: impedire la nomina del candidato alla presidenza indicato dall’opposizione e imporre invece un candidato, sempre scelto nell’opposizione, ma gradito alla maggioranza.
E’ un vizio originario di Berlusconi: la pretesa di volere un’opposizione diversa da quella reale. Il ritornello “con questa sinistra non si può dialogare” lascia intendere che se lasciassero fare a lui saprebbe ben fare una vera sinistra, naturalmente “moderna” e all’altezza della situazione. La pretesa reale è di essere allo stesso tempo maggioranza e opposizione.
Ma, per quanto desiderata, l’ubiquità politica è impossibile anche per lui. Dunque per porre rimedio la maggioranza ha fissato una regola di scambio tra la nomina del membro mancante, da più di due anni, in Corte Costituzionale e quella del presidente nella Vigilanza. Regola del tutto priva di fondamento: la prima carica è di assoluto rilievo costituzionale, mentre la seconda ha semmai rilievo istituzionale e, ancora di più, politico. Sono entità incommensurabili.
Il candidato della maggioranza per la Corte era Pecorella, avvocato di Berlusconi e deputato, specializzato nel difendere il suo cliente dai processi e soprattutto nel costruire leggi a sua favore in Parlamento. E’ stato a lungo addirittura presidente della Commissione Giustizia: monumento scultoreo al Conflitto d’Interessi, secondo solo a quello del suo datore di lavoro. Per di più Pecorella aveva, ed ha ancora, un procedimento a suo carico. Era immaginabile che un soggetto gravato da un procedimento giudiziario diventasse membro della Corte Costituzionale? Se ne sono viste di cotte e di crude, ma questa era veramente troppo. Non solo per l’opposizione ma soprattutto per la Consulta stessa.
Pecorella è stato poi affondato dalla stessa maggioranza, che gli ha fatto mancare un centinaio di voti, ed è stato così eletto l’avvocato Frigo, anche con i voti dell’opposizione. Dunque l’opposizione ha dato dimostrazione di serietà istituzionale. Ma la maggioranza ha continuato imperterrita a far mancare il numero legale per la Vigilanza.
Solo l’altro ieri si è decisa a comparire e a garantire il numero legale. Con perfetta faccia di bronzo ha perfino vantato il proprio comportamento come atto di responsabilità. Ma la sua comparsa non ha significato rinuncia al disegno di scegliere nell’opposizione il candidato da imporre. Dopo breve schermaglia di schede bianche, ha gettato la maschera concentrando i suoi voti su Villari, senatore campano del PD. Ci si può chiedere il perché della scelta. Forse aiuta la sua stessa biografia politica: ha fatto parte della corrente di Buttiglione, è passato a Mastella (che lo giudica “intelligente ma sfaticato”), è stato per un momento il candidato di De Mita per la carica di sindaco a Napoli, è entrato nella Margherita e da quella è approdato al PD.
Dunque la maggioranza ha interrotto una mai violata consuetudine istituzionale e ha imposto il proprio candidato alla Vigilanza. Qui si apre il sipario sulle debolezze dell’opposizione. Dal momento in cui c’è stato il numero legale questa non ha mai assicurato il pieno dei suoi voti: ci sono state alcune assenze e, peggio ancora, voti dispersi e schede bianche o nulle. Nel momento chiave sono mancati a Orlando cinque voti. L’opposizione non ha dunque mostrato la fermezza minima necessaria per sostenere il suo unico candidato.
Dentro le sue debolezze si annidano forse manovre che ancora è difficile decifrare. Qualsiasi candidato dell’opposizione votato in massa dalla maggioranza avrebbe avuto il dovere di dimettersi immediatamente. Invece Villari ha dichiarato che riferirà ai presidenti delle Camere e poi si rimetterà alla decisione dei gruppi parlamentari del suo partito.
Se ne deduce che non esclude una propria accettazione di quel voto del tutto anomalo. Nella repubblica dell’anomalia istituzionale sistematica, fondata non sul lavoro ma sul conflitto d’interessi, una scelta simile può essere perfino vantata come comportamento da uomo delle istituzioni.
Pancho Pardi
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