150 anni dopo, l’Italia peggio di quella di Cavour

MicroMega

Preg.ma Redazione di Micromega,

Siamo alle solite: chi tocca i fili, muore!

Vietato rivolgere domande al Presidente del Consiglio. Vietato rinviarlo a giudizio. Vietato esprimere opinioni sul suo comportamento e sulla politica del governo. Vietato da parte dei giornalisti di condurre inchieste giornalistiche. Vietato da parte della stampa straniera di giudicare le azioni e i provvedimenti attuati dal Presidente del Consiglio.

Ci avviamo al cento cinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia ma la situazione è per certi versi peggiorata rispetto al tempo di Cavour.

Il conte di Cavour durante una riunione nel circolo dei nobili di Torino su vantò del rispetto dei principi liberali che distingueva la polizia nel Piemonte sabaudo al punto da non esser, per rispetto della libertà individuale, inferiore a quella inglese.

Racconta una cronaca del tempo che tra gli invitati vi era un giovane cronista inglese che rivolgendosi al conte di Cavour gli disse: “Signor capo del governo, per tagliar corto alle discussioni accademiche facciamo una scommessa: prima di notte senza violare alcuna legge sarò imprigionato.”

Conoscendo il gusto per la scommessa degli inglesi e non volendo esser scortese, Cavour accettò, quasi per “onor di firma”.

La cronaca così prosegue: “Il giovane inglese, uscito di là, si truccò mirabilmente da cialtrone, indi, a sera inoltrata, si ridusse in una bettola di Piazza Italia dove bazzicava la gente di malaffare. Bevette vistosamente, poi, quando gli parve esser abbastanza brillo, estrasse per pagare un involto contenente alcuni biglietti da mille. Tanto bastò! Venne adocchiato, denunziato, ghermito. Quando fu in carcere, mandò al suo contraddittore due righe di lettera: Signor conte sono in prigione senza aver fatto niente, venga a liberarmi.”

Gli inglesi vittoriani si stupivano della possibilità che nell’Italia liberale si potesse esser arrestati senza alcun motivo.

E si stupiscono ancora per il fatto che nel nostro paese, dopo un secolo e mezzo, non si possa più rivolgere domande al Presidente del Consiglio, indagare sulle sue vicende private, rinviarlo a giudizio.

Ma quello era il XIX secolo, altri tempi, tempi bui. Certamente diversi dai nostri ossigenati dagli zefiri della democrazia e della giustizia e dell’uguaglianza di tutti i cittadini dinanzi alla legge.

Giuseppe D’Urso, insegnante molto precario.
Sempre da Catania, città in precario equilibrio finanziario.

(29 maggio 2009)



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