17.11.08 – Diaz, Manganelli e omertà

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Da sette anni il giornalista inglese attendeva di apprendere perché nella notte del pestaggio nella scuola Diaz (Genova 2001) è stato picchiato e, rannicchiato a terra, preso a calci fino a subire la perforazione del polmone a causa di una sua stessa costola rotta. Adesso Covell e le altre vittime sono costretti a riflettere, e noi con loro, sulla fine del processo di primo grado, chiuso come si sa solo con la punizione, lieve, di alcuni agenti e di qualche superiore, mentre l’intera catena di comando è stata risparmiata.
E tutti siamo costretti a riflettere sulla novità: Antonio Manganelli, attuale capo della polizia, ha deciso di far conoscere la verità. Ha detto proprio così, e la deduzione elementare è che quella accertata dal processo non lo sia o lo sia solo in parte. Nel mondo politico si è alzato un coro di elogi nei suoi confronti. Tutti sono ansiosi di sapere da lui che cosa è veramente accaduto e perché. Tutti si rimettono a una testimonianza che è tardata sette anni. Sarà un pensiero elementare, ma non avrebbero invece dovuto chiedere: perché solo ora Manganelli ritiene di dire cose che è ragionevole pensare sapesse già da prima? E una domanda tira l’altra: se ora ci viene annunciata la verità, perché nessuno si è adoperato prima per togliere l’opaco velo di omertà che ha coperto i numerosi agenti di cui si conosce nel dettaglio il personale contributo alle violenze (vedi il notissimo caso di Coda di Cavallo) ma di cui è stata celata sempre l’identità?
E ai politici soddisfatti per la novità si deve chiedere: perché essere così contenti per un atteggiamento che è al massimo un ravvedimento operoso?

Pancho Pardi



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