18.11.08 – Le conseguenze di una partecipazione reale

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"Una goccia nell’Onda": il diario quotidiano dal movimento di Gaia Benzi, studentessa di lettere e filosofia all’Università La Sapienza di Roma.

Sono ventiquattr’ore che osservo il foglio bianco invitarmi a riempirlo di concetti e parole; eppure, ancora stento a farmi avanti e scrivere. Fare un bilancio dell’assemblea nazionale, d’altronde, non è facile. Si tratta di sintetizzare un evento importante, complesso, variegato, che ha sollevato una molteplicità sconcertante di questioni; un evento che sì, oramai è accaduto – in termini strettamente temporali -, ma sembra ancora in fieri nelle assemblee locali e nel dibattito pubblico all’interno delle università. Un qualcosa che appare impensabile cogliere appieno, per la vastità degli scenari futuri che potrebbe delineare, e che probabilmente si chiarirà davvero solo in seguito, quando i frutti di questa due giorni saranno maturi e universalmente colti.
La posizione che ha prevalso – e che tuttora aleggia nei corridoi delle facoltà – è quella di attribuire, a quest’incontro nazionale, due facce, opposte e marcate.
Da un lato si è vista la voglia, sempre viva, di intervenire nei dibattiti, di esserci, di dire la propria e farla valere, e si è riscontrata – nelle parole e nei visi di tutti – la determinazione ferrea a non desistere, ad andare avanti. Dall’altro, però, hanno fatto capolino – o forse più – anche la stanchezza, la disorganizzazione, la nebulosità di alcuni argomenti e di alcuni processi: in poche parole, ha preso finalmente corpo quell’auto-critica necessaria, ma un po’ demoralizzante, che ha avuto il merito – innegabile – di far emergere i nostri limiti e le nostre debolezze.
Del resto, le grandi ambizioni insite nella natura stessa degli obiettivi che ci eravamo posti dovevano necessariamente scontrarsi con la realtà dei nostri corpi e delle nostre menti, umane e fallaci. Era inverosimile sperare di uscirsene con auto-riforma dettagliata dell’università in soli due giorni; e difatti i documenti presentati domenica, alla plenaria conclusiva, sono soltanto una bozza, una serie di linee guida che dovranno essere poi ridiscusse all’interno dei singoli atenei per acquistare concretezza e specificità.
La direzione dei gruppi di lavoro è stata, d’altro canto, quantomeno discutibile: un diffuso pressappochismo e alti livelli di confusione hanno generato, in parte del corpo studentesco, dei risentimenti, che sono montati fino ad innescare una vera e propria contestazione interna. Ma le tare che abbiamo tutti avuto modo di riscontrare nell’organizzazione dei dibattiti, delle assemblee – in sintesi, dei momenti comunitari -, sono state frutto di altre tare, ben più gravi, che hanno le loro radici nei processi decisionali messi in atto dal movimento a livello locale e, quindi, nazionale. Il punto centrale è il seguente: come si può conciliare la volontà di tutti di essere parte quanto più possibile attiva di ciascun momento dialettico, col concreto bisogno pratico di avere, in alcuni frangenti – e in particolare in frangenti come questo, dove tante sono le teste e tante le idee -, un’unica voce per un’unica realtà? E’ la vecchia "sfida dell’autonomia" con cui ho aperto questa serie di riflessioni – quasi – quotidiane. Che però, in questi giorni, è stata affiancata con vigore da una nuova sfida: quella della democraticità.
Ho detto più volte che a noi spetta l’arduo compito di dover ricominciare tutto da capo. Quali siano le esperienze che vale la pena recuperare dai modelli passati, non è ancora chiaro e definito. Ma pare che la genuinità di alcuni banali meccanismi democratici – come l’elezione diretta dei portavoce, e non la loro nomina casuale, per fare un esempio – sia ormai riconosciuta da tutti, e si sia fatta strada fino a conquistare il primo posto all’ordine del giorno nelle nostre assemblee. Si esprime, in questi casi, il desiderio, da parte della massa in mobilitazione, di crescere politicamente prendendo in mano in prima persona la gestione pratica di alcune realtà, che prima era affidata – con grande fiducia – ai più esperti, a coloro che venivano dai collettivi piuttosto che da movimenti precedenti; e quindi la richiesta mossa a costoro di farsi da parte, e di sottostare finalmente – al pari di tutti – ad alcuni meccanismi molto semplici di legittimazione, che avranno il solo scopo di migliorare l’efficacia delle nostre azioni e universalizzare la validità dei nostri interventi pubblici e dei documenti prodotti.
E’ questo un primo effetto dell’assemblea nazionale; altri, sono sicura, ne verranno.
Ma non sono stati solo gli elementi negativi ad essere terreno fertile di riflessione. Collegato al problema che ho appena esposto, vi è uno degli aspetti sicuramente più positivi di questo primo, grande incontro nazionale, un dato che va accolto con gioia e grande speranza: si tratta della continua e costante partecipazione di ciascuno di noi alla formazione della coscienza critica collettiva. Infatti, anche chi non ha trovato gli spazi – o il tempo – per parlare ai microfoni dei gruppi di lavoro e della plenaria conclusiva, non si è mai negato la possibilità di pensare, interrogarsi, e mettere in discussione ogni cosa – se necessario; ed è riuscito comunque ad esprimersi e comunicare agli altri le proprie idee, i propri bisogni.
Quello che si sta dando, in sostanza, è la concretizzazione di alcuni inviti fatti all’inizio della protesta e lasciati fermentare, in queste settimane, sotto forma di auspici: e cioè il desiderio che tutti si sentissero direttamente coinvolti nella realtà che ruota loro attorno, e che su questa prendessero posizione; e che per questa fossero disposti a battersi. Per essere una generazione cresciuta in tempi di afasia e indifferenza totali, a me sembra che abbiamo compiuto una vera e propria conquista, facendo un grande passo avanti: abbiamo recuperato quella dimensione politica e pubblica della quotidianità che, di un regime democratico, rappresenta il sale.
Infine, abbiamo avuto modo di conoscerci e di confrontarci faccia a faccia tra di noi, abbracciando con uno sguardo – o un capannello – tutte le realtà italiane, scoprendoci a volte vicini, a volte distanti, ma sempre uniti nella volontà di fare per il meglio. E le conseguenze di tutto ciò, malgrado le sbavature, saranno di arricchimento generale: nuovo carburante per le nostre vite, oltre che per la pur importante protesta.

Gaia Benzi



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