18.11.08 – Villari, il presidente della destra

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Il nuovo presidente della vigilanza, senatore Villari, dopo aver incontrato Veltroni ha comunicato che resterà al suo posto sino a quando non maturerà una soluzione condivisa. Da destra si è alzato un coro di consensi per la grande correttezza istituzionale della quale avrebbe dato prova il neo presidente. Per fortuna nessuno si è ancora spinto sino al punto di paragonarlo ai padri costituenti.

In realtà Villari non ha inventato nulla di nuovo, questo metodo era stato suggerito sin dall’inizio di questa brutta vicenda da Berlusconi, Cicchitto e Gasparri e nessuno può fingere di non saperlo.

La destra vuole un diritto di veto sulle proposte delle opposizioni. Berlusconi intende dettare le regole sia quando si trova a svolgere il ruolo di presidente del consiglio sia quando si trova nelle vesti di capo dell’opposizione.

L’intesa raggiunta oltre 10 anni fa prevedeva, infatti, che alle opposizioni di turno spettasse il diritto ad indicare liberamente il proprio candidato. Così accadde quando fu nominato Storace così è accaduto quando è stato indicato Mario Landolfi. Questa ultima nomina arrivò nel pieno di una durissima offensiva berlusconiana contro Prodi, quando re Silvio si aggirava per le piazze e per le tv denunciando i presunti brogli elettorali e scaricando contro Prodi quintali di contumelie. Nelle stesse ore trovò, tuttavia, il modo di chiarire che per la commissione di vigilanza ci sarebbe stato un solo candidato "non discutibile e non contrattabile" e indicò Landolfi.

Il governo e la maggioranza di allora ritennero di rispettare un’intesa che era stata voluta e benedetta dalle massime autorità istituzionali. Nessuno parlò mai di scelte condivise e di pre-gradimento di Prodi e della maggioranza di allora. Se qualcuno avesse solo provato a farlo, il Parlamento sarebbe stato paralizzato per settimane e un manipolo di sedicenti opinionisti liberi avrebbero fatto sentire la loro voce grondante sdegno contro “il radicalismo tipico di una certa sinistra”. A parti rovesciate prevalgono silenzio, complicità, omissioni, editoriali dedicati al povero Riccardo in lotta contro la partitocrazia.

Lo scandalo non è rappresentato dal colpo di mano che si è consumato in commissione e neppure dalla intesa istituzionale ridotta a carta straccia, ma dalla possibilità che Villari possa dimettersi, anzi dal fatto che qualcuno, molto timidamente, abbia avanzato qualche dubbio sulla porcheria che si è consumata nell’aula della commissione.

Villari, se lo riterrà, resterà presidente della commissione. Sarà un presidente eletto dalla destra e dunque rappresenterà la maggioranza che lo ha espresso. Tutto il resto sono chiacchiere, artifici per spaccare le opposizioni e per nascondere la realtà.

Del resto Berlusconi, appena qualche giorno fa, aveva annunciato l’intenzione di “fare da soli”, prima in vigilanza subito dopo di ripulire la Rai dagli autori e dai programmi che gli fanno venire l’ansia, in altre parole quelli che ancora si occupano del malessere sociale crescente.

Il veto contro Leoluca Orlando sarà solo il primo di una lunga serie. Quelli che oggi si fregano le mani anche e soprattutto nel centro sinistra, scopriranno di essere stati trattati come inutili idioti.

Se fossi nei panni di Leoluca Orlando leverei ogni alibi al partito trasversale dell’inciucio e presenterei una rosa piena di spine da Furio Colombo a Antonio Di Pietro, da Bruno Tabacci a Pancho Pardi, da Rosi Bindi a Roberto Zaccaria.

Sono certo che Bocchino e soci non avranno nulla da ridire, o no?

Giuseppe Giulietti



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