19.01.09 – La questione morale da sola non basta
Il termine “Questione morale” è sempre meno adatto a definire la materia che oggi si intende con questa espressione.
Il termine è ambiguo perché tende a racchiudere in una dimensione soggettiva ciò che invece, per essere efficace in politica, dovrebbe appartenere a una dimensione oggettiva. Proviamo a spiegare.
E’ certo lodevole che chi si occupa di politica sia spinto da un impulso morale, si attenga a una disciplina etica, pratichi l’onestà. Ma pensare che tutti quelli che fanno politica si ispirino a un codice così rigoroso è davvero irrealistico. E oltretutto, poiché si possono dare diverse interpretazioni dell’etica, non c’è nemmeno alcuna garanzia del risultato auspicato. Senza difficoltà si possono immaginare orientamenti etici che producano comportamenti contrastanti. Interpretato sotto questo esclusivo profilo, il caso Englaro ne è la dimostrazione più recente. Ma la linea adottata dal centrodestra dimostra anche come si possa strumentalizzare l’etica a fini politici: il ministro Sacconi ha messo a sacco l’Etica.
Da parte sua l’esperienza della politica può mostrare con relativa facilità come morale, etica e onestà siano categorie buone per delineare il politico ideale ma poco adatte al politico reale nel momento in cui deve affrontare le difficoltà della competizione politica. Per di più la materia si presta all’equivoco. Le doti classiche della politica sono le molteplici ragioni dell’opportunità, che tra cinque e seicento Machiavelli e Guicciardini e il gesuita Graciàn hanno mostrato quanto poco abbiano a che fare con le virtù. Ma è lecito immaginare che quelle ragioni possano anche essere adoperate a fini etici; perciò non è affatto detto che debbano essere ritenute sempre come antitesi a quelli.
Bisogna poi aggiungere che l’idea di imporre un’etica si scontra con due obiezioni formidabili. La prima ha carattere di principio: dato e non concesso che si possa dare definizione univoca dell’etica, essa in ogni caso è tale solo se è adottata da una consapevole volontà individuale. In caso contrario, se è imposta da un’autorità superiore, questa di fatto si configura o come teocrazia o come Stato Etico. Nel primo caso funziona, nel senso più largo, l’antica formula “cuius regio, eius religio”: la religione adottata dal re si estende ai suoi sudditi. Nel secondo caso lo Stato Etico si arroga il dominio delle coscienze, non concede autonomia sostanziale ai cittadini e nega la libertà individuale.
Messa da parte l’obiezione di principio, si deve sempre fronteggiare l’ironia inesorabile di chi sbeffeggia il postulato dell’etica come manifestazione di moralismo. Qui l’etica si presta al suo stesso rovesciamento: il moralismo non è virtù ma difetto di conoscenza della natura umana. Essendo questa portata più all’interesse che al bene, il moralismo è solo vana prescrizione volontaristica: pretesa che gli uomini siano buoni più che intenti ai loro interessi.
La critica del moralismo è sostenuta da realistico scetticismo: gli esibizionisti della virtù non saranno poi Tartufi ipocriti? Solo i predicatori possono pretendere che gli uomini siano buoni e onesti. Naturalmente anche gli elettori possono volerlo, ma la questione essenziale è questa: la legge non può prescriverlo. Qui siamo al punto. Bisogna dunque chiedersi che cosa può la legge, scritta e non scritta.
La legge non può intervenire sulla natura umana ma può, se vuole, intervenire sugli interessi degli uomini. Non si tratta dunque di stabilire codici etici ma di individuare il criterio più preciso per tenere separati l’interesse privato e l’interesse pubblico. L’uomo politico può essere, nel suo foro interiore, un perfetto immoralista ma non può essere sanzionato per questa sua attitudine, su cui peraltro non c’è organo in grado di giudicare, fino a che l’immoralismo non si traduca in reati. Se invece un uomo politico, che magari faccia professione esibizionistica di moralità, vuole mescolare l’interesse privato con l’interesse pubblico ( e l’esperienza ci dice che se può spesso lo fa) la legge deve riuscire a impedirglielo.
Quindi invece di costruire codici etici, che hanno inevitabilmente connotati predicatori, è opportuno disciplinare i conflitti d’interesse, individuare le incompatibilità, separare l’uomo dall’occasione (altri direbbe dalla tentazione), garantire la trasparenza della scena pubblica. Attenzione: è opportuno che legge scritta vi sia e riguardi tutti i cittadini dal primo all’ultimo. Ma, prima ancora della legge, la società politica dovrebbe essere capace di vincolarsi agli stessi criteri ispiratori anche in sua eventuale assenza. Per il motivo elementare che la società politica ha doveri maggiori della società civile.
Il principio generatore dovrebbe essere: chiunque svolge ruoli di rilievo pubblico (soprattutto elettivo ma anche non elettivo, se di evidente responsabilità) deve essere messo in condizione sia di non usare a proprio vantaggio privato il suo ruolo pubblico sia di non ricevere vantaggi per il suo ruolo pubblico dalla sua condizione privata. Questa reciprocità va considerata non solo a proposito del singolo individuo ma anche nelle relazioni di parentela; e si potrebbe discutere fino a quale grado di parentela le relazioni possano avere rilievo per la regolazione dei conflitti.
Dalla disciplina dei conflitti d’interesse deriva la definizione delle incompatibilità. Di queste è più importante individuare la logica più che descriverne una minuta casistica. Chi svolge un ruolo di interesse pubblico (elettivo e non elettivo) deve poter sottostare a un controllo e non può in alcun modo e a nessun titolo partecipare alla stessa attività di controllo. La garanzia dell’efficacia sta prima di tutto nella severità della logica (separare l’uomo dall’occasione) e poi nella trasparenza della scena pubblica. Ma la trasparenza da sola non è mai sufficiente: basti considerare il caso di Berlusconi il quale proprio alla sola trasparenza fa appello quando dice che gli italiani l’hanno votato sapendo bene che era un monopolista televisivo e quindi hanno così cancellato, secondo lui, la rilevanza dei suoi molteplici conflitti d’interesse.
Per semplicità ricorriamo all’esempio più elementare per distinguere tra disciplina soggettiva e oggettiva. Una volta il figlio di un professore non poteva stare nella stessa sezione in cui insegnava suo padre. Un professore onesto poteva farsi un punto d’onore di non favorire il figlio, e nei rari casi in cui la coabitazione era inevitabile poteva addirittura adottare una severità maggiore nei suoi confronti. Qui l’onestà assicurava la disciplina soggettiva del conflitto virtuale. Ma poiché l’onestà non si può prescrivere e ancora meno verificare, la separazione di padre e figlio garantiva la disciplina oggettiva più efficace.
Il mondo è assai più complicato di questo esempio, e l’esperienza ci ha mostrato numerosi casi in cui professori hanno prodigato favori incrociati a figli di colleghi. Ma ciò non fa altro che allargare il contesto dei conflitti d’interesse senza mutarne affatto la natura intima.
L’analisi dei conflitti di interesse aiuta a definire le incompatibilità. Ma il quadro delle incompatibilità può essere anche più ampio e definito
da altre ragioni. Un parlamentare non può essere sindaco di una città o presidente di regione semplicemente perché non si può fare bene due mestieri così impegnativi. Semmai ci si può chiedere perché per la legge italiana un sindaco possa fare il parlamentare europeo…
Per concludere, nella società politica viene spesso riproposta la necessità di codici etici. Si è visto quanto il termine si presti a equivoci. Viene naturale sghignazzare quando un Tremonti, che ha passato la vita professionale a insegnare ai ricchi come non si pagano le tasse, scopre che “c’è bisogno di più etica nella finanza”. Quanta più etica? Una modica quantità? Anche i finanzieri possono diventare predicatori a buon mercato.
Ma è anche difficile ricorrere ad altra espressione quando questa si è imposta all’attenzione pubblica. Continuiamo pure a usare, per capirsi, “questione morale” e “codice etico”. Importante è riconoscere che morale ed etica restano espressioni vuote se non si riesce a disciplinare i conflitti d’interesse e stabilire le incompatibilità.
Pancho Pardi
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