194, ben vengano le assunzioni di medici non obiettori
Maria Mantello
La Regione Lazio sarà la prima ad avere ginecologi assunti per far valere il diritto della donna all’interruzione volontaria di gravidanza. Medici non obiettori quindi.
Finalmente un’operazione concreta che semplicemente riporta nel giusto alveo la 194, varata nel 1978 per tutelare il prioritario diritto della donna a abortire legalmente, ma che di fatto è stata trasformata nella terra promessa dell’obiettore-ginecologo, fino a impedire l’interruzione volontaria di gravidanza.
Il rifiuto del medico a praticare l’Ivg fu un compromesso in omaggio al fronte clericale, che si cercò di giustificare con l’argomento che i ginecologi avevano scelto questo mestiere quando l’aborto volontario era vietato.
Ma come ben sappiamo quel codicillo è stato il grimaldello eversivo della 194, facendo crescere a dismisura i medici obiettori (ragioni di carriera?).
Tanto che il Consiglio d’Europa nel 2014 e nel 2016 ci ha così ammonito: «A causa dell’elevato e crescente numero di medici obiettori di coscienza, l’Italia vìola i diritti delle donne che alle condizioni prescritte dalla legge 194 del 1978, intendono interrompere la gravidanza».
Nel Lazio questa violazione del diritto della donna all’Ivg, è assolutamente calpestato visto che in alcuni ospedali pubblici non c’è neppure un non obiettore. Il policlinico romano dell’università di Tor Vergata, solo per fare un esempio, oscilla tra il 99% e il 100%. E visto che questi medici sono anche docenti, c’è da chiedersi se la formazione di ostetrici e ginecologi avvenga più all’insegna del confessionalismo o della scienza.
Il Vaticano, abituato ad uno Stato chierichetto, si agita se qualcuno gli scompagina la piazza. Ecco allora che la sua ira funesta non ha tardato a farsi sentire, chiamando le sue consorterie a raccolta per stoppare sul nascere le assunzioni di non obiettori.
Un modo molto strano di procedere, visto che negli ospedali di proprietà vaticana – finanziati però da tutti i cittadini italiani – il personale è assolutamente a marca Cei, e i ginecologi rigorosamente obiettori.
La Giunta Zingaretti spezza il circolo magico dell’eversione clericale della 194. Non è una guerra di religione, ma semplicemente rigore da parte dell’amministrazione statale di garantire il superiore legale diritto della donna ad abortire in tutta sicurezza. Se ne facciano una ragione i clericali e i loro cammellati baciapile. La scelta spetta alla donna e la rispettino i “sacri” cantori della sofferenza che vorrebbero negare l’aborto anche di fronte al pericolo di morte della madre.
Il loro ideologismo ipocrita è stato sconfitto da tempo. Vale appena ricordare la sentenza n°27 del 18 febbraio 1975 della Corte Costituzionale, che specificava: «l’interesse costituzionalmente protetto relativo al concepito può venire in collisione con altri beni che godano pur essi di tutela costituzionale e che, di conseguenza, la legge non può dare al primo una prevalenza totale ed assoluta, negando ai secondi adeguata protezione […] non esiste equivalenza fra il diritto non solo alla vita ma anche alla salute proprio di chi è già persona, come la madre, e la salvaguardia dell’embrione che persona deve ancora diventare».
Erano gli anni Settanta, gli anni delle conquiste, della rivoluzione copernicana delle donne. E la Consulta apriva un varco alla legittimazione dell’interruzione volontaria di gravidanza a tutela della salute psico-fisica della donna che vi ricorreva.
Dopo altri 3 anni di durissime lotte, di accesissimo dibattito pubblico, di vittime di aborto clandestino – sta tornando in auge grazie agli obiettori! – nel 1978 finalmente la 194 arrivò.
Confermata dal referendum del 1981 promosso dalle forze reazionarie per abrogarla. Il 68% degli italiani votò no, contro il 32% di sì. L’interruzione volontaria di gravidanza restava, a garanzia del diritto alla scelta piena della donna. Un diritto minato però col collaborazionismo di Stato, lasciando che le forze curiali tessessero negli ospedali reti carrieristiche in controllo cattolicista.
Oggi è sotto gli occhi di tutti l’uso strumentale che è stato fatto dell’obiezione di coscienza.
Dietro essa si scudano negli ospedali personale medico e paramedico anche al di là della pratica concreta dell’invento di interruzione di gravidanza (chirurgico o farmacologico che sia), addirittura facendo mancare l’assistenza dovuta alla paziente già ricoverata. Crudeltà su crudeltà. Altro che Misericordia! Una volta praticato l’intervento, infatti, c’è anche il rischio per la paziente di essere abbandonata a se stessa, se magari si imbatte a cambio di turno in un obiettore che si sente autorizzato a negarle le dovute cure. A meno che non ci sia rischio per la vita. Come ha stabilito la Corte di Cassazione il 2 aprile 2013, confermando la condanna al carcere e all’interdizione dalla professione per un medico che si era rifiutato di soccorrere una paziente che aveva abortito e rischiava un’emorragia: «Il diritto dell’obiettore affievolisce fino a scomparire, di fronte al diritto della donna in imminente pericolo a ricevere le cure per tutelare la propria vita e la propria salute».
Insomma solo se stai per crepare. Una eccezione a tutela del medico obiettore?
Allora ben vengano i legittimi bandi di concorso finalizzati ad uno specifico obiettivo, come appunto quello di assumere medici non obiettori per garantire l’interruzione volontaria di gravidanza.
Ma forse, è venuto il momento di esigere che un medico, se fa il ginecologo, debba anche praticare l’interruzione volontaria di gravidanza. Altrimenti faccia altro!
(24 febbraio 2017)
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