20.11.08 – Una grande occasione
Si susseguono le manifestazioni, le feste, i laboratori; l’Onda non occupa più le prime pagine dei giornali (perché questo capiti occorre una frase di Berlusconi dall’immenso repertorio di “detti e contraddetti” di questo cabarettista fallito che fa ridere quando vorrebbe far piangere e viceversa) e un processo molecolare di trasformazione interna è in atto, forse.
Intanto, un movimento nato davvero come, spontaneo, generale e trasversale, ha perso o si sta trasformando in un movimento studentesco, organizzato, e più concentrato su una fascia, quella numericamente di gran lunga prevalente, sin dall’inizio: la fascia studentesca, che sta perdendo, in certa misura, il contatto con docenti. Questi, nella stragrande maggioranza, pur avendo sinora espresso solidarietà spesso concreta, e continuando a solidarizzare, e talora a collaborare con le iniziative che vengono prese un po’ dappertutto, mostra segnali che destano preoccupazione: ecco affiorare, magari sottovoce, il volersi accontentare, in nome di un realismo timido, davanti alle mezze promesse governative, o alle piccole retromarce gelminian-tremontesche. Le esigenze della didattica, l’ordinaria amministrazione, la stanchezza, la routine e – diciamolo – l’impressione, talora, di essere fuori posto, per motivi generazionali, in situazioni assembleari o di intrattenimento… Tutto questo ha fatto sì che i professori stiano diventando via via una presenza di complemento: ma, aggiungo, pur sempre preziosa. E l’invito che muovo ai miei colleghi è a non mollare, a restare dentro l’Onda, il più possibile, non accontentandosi di surfarci sopra e, soprattutto, a non ritrarsi sulla battigia.
Si vanno, parallelamente, manifestando forme di separatezza tra ambienti universitari, mondo della ricerca non universitaria e istituzioni scolastiche, anche se in ciascuno di tali ambiti la mobilitazione prosegue. Rimane però il timore che un movimento dell’intera scuola e ricerca italiana – ossia quel complesso oggi sotto attacco dalla banda dei tre (T, B.,G., regia del Cav.) – diventi la protesta di una sua componente. E occorre scongiurarlo. A questo scopo, un presidio fondamentale di unità e continuità mi pare giunga dalla presenza del vasto precariato: che unito da ragioni materiali, ma anche da una forte voglia di lavorare davvero per un cambiamento delle modalità con cui fare ricerca e costruire, onestamente, una carriera nel mondo degli studi, appare sempre più il vero collante della protesta. La quale – questa l’altro cambiamento in atto – si sta palesando come una vera e propria riforma della riforma, un progetto, via via più articolato, di studiare, discutere nei dettagli, proporre e far circolare un progetto definito di “autoriforma”. In tal senso, a ben riflettere, questo movimento incarna un’occasione storica, ossia quella di provare davvero a invertire il senso di marcia di una istituzione, quella universitaria, popolata (per riprendere le parole di Piero Bevilacqua, uno dei docenti più attivi e propositivi in questa lotta), “da docenti anziani e immalinconiti e da giovani senza risorse e prospettive”.
Siamo, insomma, a un bivio decisivo: occorre rendersi conto della necessità contestuale di respingere in toto la “riforma” berlusconiana – una sciagura, se dovesse essere attuata – e di pensare e proporre una nostra vera riforma, una riforma che parta da coloro che, vivendoci, conoscono il mondo della ricerca, i suoi nessi con il mondo del lavoro da una parte, con l’attività didattica, ad ogni livello, dall’altra; una riforma che tesaurizzi le tante esperienze negative che si sono accumulate nei decenni, ma che sappia ricuperare, subito, migliaia di persone che sostengono sul piano didattico e organizzativo la vita degli atenei italiani, dando loro la possibilità di una stabilizzazione immediata, e restituendo loro l’entusiasmo con cui si sono affacciate a quel mondo. Entusiasmo che l’istituzione nel suo complesso, tra sordità interne e colpi esterni, ha provveduto e provvede con zelo a spegnere, giorno dopo giorno. E non si parli di “sanatorie”, di “immissioni in massa” di “nullafacenti” e altre amenità alla Giavazzi e Sartori, cattedratici di ogni sapere. Qui ci sono giovani e (ahinoi!) ex giovani, che hanno subìto una situazione vergognosa, per anni: a loro è non soltanto giusto, ma necessario dare spazio. Facendolo per la via maestra, certo, ossia i concorsi, ma concorsi che siano equi. Ma riformare i concorsi – che significa definire il modo più onesto e insieme efficace per la formazione delle commissioni giudicatrici – implica comunque salvare la cooptazione (meccanismo a mio avviso ineliminabile), conciliandola con il rigore “astratto”, per così dire, della selezione. E accanto a questo, occorre cogliere l’occasione per ripensare profondamente il sistema del 3+2, avvilente meccanismo che sta scompaginando quella ancora l’altro ieri, per così dire, pensavamo come la culla della scienza, ed è diventata una modesta scuola media, confusa e ingestibile, che sta umiliando docenti e studenti, sta deprimendo la funzione didattica, sta togliendo a tanti il piacere di insegnare e quello di apprendere.
Ebbene, se riflettiamo sull’Onda, ci renderemo conto che questa è davvero una grande occasione: da non perdere. E che, a ben vedere, il beneficio che può giungere dal movimento concerne tutta l’istituzione, e al di là, il mondo della ricerca extrauniversitaria e quello scolastico. E, più oltre, la stessa società italiana. Ma questo è discorso che farò in altro momento.
Angelo d’Orsi
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