2.02.2009 – L’Onda contro il “pacchetto sicurezza”
Il diario dal movimento di Gaia Benzi, studentessa di lettere e filosofia all’Università La Sapienza di Roma.
Malgrado le azioni di lotta siano sensibilmente diminuite – ma mai scomparse -, l’attività interna al movimento ha saputo rinnovarsi e reggere il duro colpo inflittole dalla sessione d’esami. In queste settimane un gran numero di conferenze ha trovato ospitalità nelle nostre aulee, permettendoci di sviscerare i temi più vari: dalla proposta della giunta laziale di un reddito regionale per i precari alla questione palestinese, dalla sanità clandestina ai rapporti fra cittadini e migranti. In particolare, il problema dell’esclusività della cittadinanza e di un suo generale e doveroso ripensamento ha fornito lo spunto per un dialogo intenso e costruttivo, avviato con le comunità migranti romane già a partire da novembre.
L’ultima tappa di questo lungo percorso – fatto di documentari, testimonianze, momenti di dibattito o semplice condivisione – ha riguardato, nello specifico, le norme previste dal "pacchetto sicurezza" che, entro metà febbraio, saranno legge. In un incontro con l’avvocato Salvatore Fachile, abbiamo esaminato i vari articoli, la loro composizione, i loro effetti e, soprattutto, il disegno globale che essi sottintendono.
Il discorso del dottor Fachile partiva da un presupposto tanto semplice quanto condivisibile: la nostra Costituzione è una costituzione rivoluzionaria, in quanto nata dal ferro e dal sangue della rivoluzione partigiana; frutto di un accordo fra le parti, fondamento della Repubblica democratica italiana, essa rappresenta il capillare ribaltamento dello Stato fascista. Lì dove c’era repressione, essa oppone libertà; lì dove c’era immunità, essa oppone controllo; lì dove c’era constrizione, essa oppone scelta, autodeterminazione, diritti individuali. Il pacchetto sicurezza è, nella sostanza, sfacciatamente anticostituzionale – pur nella forma di una legge dello Stato – poiché esso mira a distruggere, addirittura, gli articoli fondamentali, sorpassando, di fatto, la loro immodificabilità.
Chi compie un golpe, cambiando le regole del gioco improvvisamente, con un colpo di mano, un’azione militare, una mossa brusca, è rivoluzionario; chi quelle stesse regole tenta invece di modificarle agendo dall’interno, mantenendone le forme ma erodendone i contenuti, è detto sovversivo. In questo caso il pacchetto sicurezza, emanato dal governo, può dirsi a pieno titolo frutto di un disegno sovversivo dell’ordine costituzionale.
Esso colpisce soprattutto i migranti, in quanto soggetto debole, ultimo anello della catena sociale italiana; ma non solo, come vedremo. E lo fa in diversi modi, ognuno dei quali teso a smantellare i principi inviolabili di questo paese.
Innanzitutto, viene bypassato completamente il principio di separazione dei poteri, che dalla rivoluzione francese in poi è stato eletto a base imprescindibile della democrazia. Secondo questo principio, solo il potere giudiziario, previo equo processo, può togliere all’individuò la libertà personale che esso, per nascita, possiede, e rinchiuderlo in carcere. Anche nel caso della carcerazione preventiva, dev’essere un giudice – non un poliziotto e nemmeno un pubblico ministero – a doverne decretare la necessità. Il pacchetto sicurezza, seguendo una direttiva europea internazionalmente apostrofata come "vergogna", distrugge nei fatti questo meccanismo e le tutele legali che ne derivano: chi fa il suo ingresso in Italia senza l’autorizzazione scritta del prefetto cittadino – estenzione del potere esecutivo, dunque, non giudiziario – viene privato della libertà personale per ben 18 mesi, e carcerato nei cosiddetti Ctp – futuri CIE. Al potere esecutivo viene dunque concesso di incarcerare e privare della libertà gli individui. Non solo: all’interno dei Ctp, lo Stato non può nemmeno garantire il rispetto dei diritti umani, non avendo alcun controllo sulla gestione di questi, affidata a privati.
Come antifona è notevole. Ma non finisce qui: col reato di immigrazione clandestina, viene negato anche uno degli altri pilastri del diritto penale democratico, varrebbe a dire l’oggettività del diritto penale. Essa prevede come unico motivo di sanzione la presenza di un fatto – ovvero un comportamento – giudicato criminoso; in assenza di un fatto, l’unica cosa che sussiste è la qualità del soggetto stesso, la sua natura, e questa non può essere in alcun modo nè processata nè sanzionata. Era il Fascismo a giudicare in base alla natura del soggetto, al credo politico, alle idee e alla razza; la Costituzione repubblicana, distruggendo la cultura del sospetto, sancisce appunto l’oggettività del diritto penale. Nel reato di ingresso clandestino non v’è oggettività, poiché l’unica cosa sanzionata in questo caso è la qualità dell’immigrato, il suo essere straniero; e l’unico fatto che potrebbe essere indicato come passibile di sanzione è l’atto stesso dell’ingresso, non illegale in sé e per sé, ma reso tale dalla carenza di un documento amministrativo – l’autorizzazione dell’ambasciata del paese di provenienza, propaggine del suo potere esecutivo all’estero.
Scompare anche il principio – tanto caro ai telefilm americani – secondo il quale non si può essere condannati due volte per lo stesso reato. Se un immigrato, infatti, viene scoperto in condizione di clandestinità – senza, cioè, il permesso di soggiorno -, il prefetto gli consegna il "foglio di via", secondo il quale è obbligato a lasciare lo Stato, a sue spese, entro cinque giorni. E’ un ordine del potere esecutivo, dunque; generalmente, quando un ordine di tale natura non viene rispettato è prevista un’ammenda, una multa. Per l’infrazione di questo specifico ordine, invece, anche in caso di riconosciuta impossibilità materiale a rispettarlo, viene prevista la detenzione fino a quattro anni. E, per di più, essa è reiterabile. Nel senso che, al suo rilascio, l’immigrato può nuovamente essere soggetto a controllo ed essere nuovamente trovato sprovvisto del permesso di soggiorno – cosa assai probabile, quasi scontata. E gli può nuovamente essere ordinato di lasciare il paese tramite "foglio di via", senza però sussidiarlo in tal senso e, trovatolo recidivo, è passibile di ulteriore detenzione. Un sistema che ipoteticamente permetterebbe ai prefetti e ai poliziotti di mandare in galera una persona per tutta la vita, con margini di libertà di cinque, massimo sei giorni.
Senza permesso di soggiorno, inoltre, viene negata la possibilità di contrarre matrimoni e forse – la proposta è ferma a livello d’emendamento – di riconoscere figli, grazie alla proibizione di accedere agli atti di stato civile. Tutte misure che incidono sulla vita privata delle persone, sulle loro scelte personali, senza avere tra l’altro alcun nesso con problemi o emergenze dette securitarie. Intervenire nel privato era, anche qui, prerogativa dello Stato fascista e delle sue leggi razziali.
Nel 1998 era stato introdotto – su spinta dei cattolici – il divieto per i medici di denunciare i clandestini, per un motivo non tanto umanitario quanto egoistico: se fossero stati portatori di malattie infettive, non curati avrebbero rischiato di contagiare "gli altri". Meglio dunque spingerli a curarsi, eliminando la paura di una denuncia. Oggi questo divieto si trasforma in un obbligo: l’obbligo di delazione, per il medico, dell’immigrato trovato privo di permesso di soggiorno. Forse quest’obbligo verrà mitigato dalla possibilità dell’obiezione di coscienza; ma sarà amplificato e corroborato dall’impossibilità, sempre per il medico, di curar
e quanti saranno privi di tessera santaria. I clandestini, in primis; ma non solo: anche i clochard, ad esempio. Inutile dire che la delazione è propria di quella forma mentis fascista che teoricamente dovremmo aver boicottato, e che il divieto di curare chicchessia è in contrasto con lo stesso giuramento di Ippocrate. La delazione sarà obbligatoria anche per tutti gli esercenti che trasferiscono denaro dall’Italia all’estero.
Sarà reato affittare un alloggio agli stranieri senza permesso di soggiorno, o assumerli come lavoratori. Dio solo sa quanto saranno grati a questi articoli gli sfuttatori di lavoro nero. Per chi agevola l’ingresso dei clandestini – anche senza ingiusto profitto – sono previsti fino a dieci anni di carcere; ma la nostra Costituzione non dice da nessuna parte che il confine è un valore fondamentale, da tutelare con norme tanto aspre.
Come ho già detto, non è solo la categoria dei migranti ad essere colpita. Tutti coloro che vivono le dinamiche di strada sono penalizzati, e anche chi fa opposizione sociale lo è. I writers, per esempio, per i quali sono previsti fino a tre anni di carcere. O gli occupanti che, al pari dei senza tetto, non potranno né eleggere né cambiare residenza senza un documento di idoneità alloggiativa; la residenza è, per intenderci, l’unica cosa che permette a un individuo di far parte della propria comunità, e di ricevere la tessera sanitaria. O i rom che, qualora fossero trovati a mendicare con un infante d’età inferiore ai quattordici anni, sarebbero passibili di arresto immediato. O anche solo i semplici manifestanti che provano a cavarsi dall’impaccio di un’identificazione e che, dichiarando false generalità, rischiano fino a tre anni di galera; se poi l’identità falsa è anche contraffatta con l’alterazione del proprio corpo, la galera sale a sei anni.
Sei anni sono ugualmente previsti per chi commette reati patrimoniali, quali il furto o il borseggio. Come se il patrimonio fosse un diritto costituzionale fondamentale al pari della salute, dell’educazione, della libera espressione, o come se rubare un portafogli sull’autobus, scrivere su un muro, mentire a un poliziotto o non avere una casa fosse più grave del commettere reato in atti pubblici, falsificare bilanci, truffare lo Stato.
Ovviamente l’obiettivo non dichiarato non è tanto arrestare tutti i graffitari d’Italia, nè mettere dentro tutti i presunti criminali di cui sopra. Il punto, semmai, è dare alla polizia il potere di arrestare. Allargare il bacino dei reati, aumentare le pene, sostituire le multe col carcere, per permettere alle forze dell’ordine, qualora fosse necessario, di usare i propri mezzi contro questo o quell’altro soggetto.
Il ragionamento è, in sintesi, il seguente: fra le tante magagne passibili di sanzione penale, tu qualcuna l’avrai pur fatta, mio caro fastidioso civile, attivista, deviato, disubbidiente che non sei altro. Allora io ti metto dentro, ti faccio assaggiare la prigione che, da sempre, è l’educatore più efficiente di tutti, il più efficace normalizzatore del dissenso. Non è un caso che la popolazione carceraria sia quasi raddoppiata negli ultimi quindici anni.
E qualora le leggi ordinarie non dovessero bastare, qualora ti incaponissi nel non capire che qui, oramai, il vento è cambiato, ci sono sempre le ordinanze dei sindaci. I quali hanno il potere di governare i loro piccoli feudi come meglio credono, a dispetto del buon senso e dei limiti politici e amministrativi del loro mandato, intervenendo – perché no? – nella vita intima delle persone. Perché non basta essere onesti: bisogna anche essere ben educati, puri, puliti, non sputare per terra, non bere all’aperto, non pisciare per strada, non urlare nè fare schiamazzi, non dormire sulle panchine. Personcine a modo, insomma, che sono brave, che stanno buone.
Se a questo aggiungiamo l’aumento esponenziale dei militari per le strade prossimo venturo; le ronde di cittadini che aiuteranno le forze dell’ordine a presidiare il territorio; le politiche repressive che istituzioni teoricamente neutrali, come l’università, stanno mettendo in campo per sedare la rivolta studentesca – il nostro rettore Frati continua, ad esempio, la sua opera incessante di normalizzazione attraverso commissioni, sgomberi, Digos fuori dalle facoltà -; il dibattito intorno alle manifestazioni di piazza, alla loro regolamentazione, ai nuovi limiti che verranno loro imposti; ecco, il quadro è completo.
Stando così le cose, è facile capire i motivi della nostra adesione alla neonata Rete contro il pacchetto sicurezza, alle loro istanze, la nostra partecipazione alle loro assemblee, al loro corteo. Ancora una volta siamo usciti dall’università per incontrare chi, come noi, sta spendendo tempo ed energie per una causa di vitale importanza e che ci riguarda tutti da molto, molto vicino. Se alcuni dei principi fondanti dello stato di diritto cominciano a saltare per gli stranieri, per i migranti, clandestini o regolari che siano – è ancora necessario sottolineare quanto sia facile, per un migrante, perdere il permesso di soggiorno? Basta essere licenziati, sfrattati, basta commettere una minima effrazione -, se iniziano, cioè, ad esservi delle eccezioni, nulla potrebbe più impedire a queste stesse eccezioni di estendersi, a questi principi di saltare per altre categorie. Forse per tutti.
Ebbene, arrivati a questo punto, è necessario fare una scelta. Noi, come Onda, l’abbiamo fatta: scendere in piazza ed opporci, con ogni mezzo, alla deriva militaresca del nostro paese, all’allargamento dei poteri delle forze dell’ordine, alla loro ipertrofica presenza, l’unico vero discrimine fra lo stato di diritto e quello di polizia. Perchè le azioni di lotta, come ho detto all’inizio, sono sì diminuite, ma non scomparse; perché gli incontri, i dibattiti, le conferenze, altro non sono che momenti di preparazione per nuove e più incisive battaglie; e soprattutto perché, se vorremo continuare a lottare, dobbiamo lottare per farlo, prima che sia troppo tardi e il cerchio si stringa attorno a noi fino a schiacciarci.
Gaia Benzi
(2 febbario 2009)
MicroMega rimane a disposizione dei titolari di copyright che non fosse riuscita a raggiungere.