23.01.09 – Federalismo, le ragioni dell’astensione

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Giannini cautamente critico su Repubblica e Battista quasi entusiasta sul Corriere commentano l’astensione dell’opposizione sul federalismo fiscale al Senato. In verità in entrambi i casi, titoli e articoli, si parla di astensione del PD e a stento si trova cenno all’astensione di IdV, mentre spazio maggiore è dato al voto contrario dell’Udc. Che dire? La stampa ha i suoi prediletti. Ma non è su questa inezia la polemica.
Il tema comune dei due articoli è il superamento a lungo auspicato, soprattutto da Battista, della logica di contrapposizione totale tra le due parti e l’accesso a uno stile meno guerreggiato del dibattito parlamentare. Qui rischia di nascere una nuova dolciastra retorica.
In via preliminare va ricordato che la contrapposizione frontale è stata voluta dal centrodestra quando a inizio di legislatura ha imposto l’ultima definitiva legge ad personam con l’impunità garantita al presidente del consiglio. Prassi continuata col ricorso costante a decreti legge non emendabili e votati spesso col ricorso alla fiducia. Metodo forzato per imporre leggi contro l’interesse pubblico come nel caso di Alitalia: eclatante ma non unico.
Quanto al cuore della vicenda va detto che il federalismo fiscale era un tema molto particolare. Considerata nelle sue aspirazioni dichiarate, chi potrebbe essere contrario a una semplificazione della fiscalità che dia maggiori poteri agli enti territoriali? Questo è il motivo per cui PD e IdV hanno esercitato in Commissione un’azione tesa a contrastare l’idea originaria di un federalismo egoista a vantaggio delle regioni forti e a modificare la legge, articolo per articolo, per ispirarla a principi di equità e solidarietà. Quanto questa intenzione sia riuscita è troppo presto per dirlo. Limitiamoci per ora a sostenere che l’impegno andava in quella direzione.
Era indubbiamente interesse della Lega che alla fine il federalismo fiscale venisse approvato. A questo scopo la Lega ha inaugurato uno stile di lavoro molto dialogico. E d’altra parte, senza questo stile, dati i numeri schiaccianti l’opposizione non avrebbe potuto influire sul testo. C’è in tutto ciò un aspetto positivo: la Lega ha capito la lezione del referendum del 2006 che ha annichilito la riforma costituzionale. Ha capito che una riforma di rilievo non può essere imposta con la brutalità di un voto di maggioranza. Berlusconi non la pensa nello stesso modo.
Attribuire alla Lega il maggior interesse per la legge significa ammettere che il PdL aveva varie perplessità, diverse a seconda delle sue componenti. Forza Italia teme il dilagare della Lega al Nord; AN tende a proteggere le regioni del sud (magari non tutte) e le garanzie che ad esse concedeva il centralismo statale. Il disagio preventivo del PdL ha avuto anch’esso il suo peso nel modificare le intenzioni originarie della Lega. Ma, con tutte le riserve, l’approvazione della legge resta comunque un successo della Lega.
Alla domanda “Perché l’opposizione avrebbe dovuto favorire il successo della Lega?” la risposta più semplice è: non poteva lasciare nelle sue mani l’argomento della semplificazione fiscale dello stato. Si può obbiettare, e qualcuno l’ha già fatto, che non sarà questo il risultato del federalismo fiscale. Non è improbabile, ma dirlo prima poteva solo qualche intelligente editorialista. L’opposizione sarebbe stata facilmente accusata di processo alle intenzioni e di disfattismo. E in ogni caso, avrebbe rischiato di escludersi dalla partecipazione al merito di un processo che, non si sa mai, potrebbe dare qualche effetto positivo. Con un espressione classica, l’opposizione non poteva lasciare quella bandiera tutta nelle mani della Lega.
La spiegazione potrebbe essere più lunga e sofisticata, ma annoierebbe il lettore. Questo è, in sostanza, il motivo per cui l’opposizione si è impegnata nella prassi emendativa e alla fine si è astenuta. Nel PD l’astensione è stata anche il prodotto di una media tra chi voleva il voto favorevole e chi lo voleva contrario. Resta comunque la ragione più centrale: come poteva l’opposizione votare contro una legge che aveva contribuito a modificare, secondo le sue intenzioni, in meglio?
L’astensione dunque ha un significato di impegno alla vigilanza sul cammino dei decreti attuativi. Il federalismo fiscale è infatti una legge delega di cui bisogna sorvegliare con la massima attenzione i successivi decreti delegati emanati dal governo. Ciò permette di sostenere, volendo, che potrebbe essere una scatola vuota che sarà riempita di contenuti effettivi solo in corso d’opera. Ma, se anche così fosse, a maggior ragione l’opposizione sarebbe tenuta a controllare con severità tutto il processo attuativo. E in questa sede futura impegnarsi affinché il federalismo fiscale non prenda una deriva tipicamente italica: moltiplicazione di commissioni, uffici, funzioni ancillari, consulenze, organi provvisori che diventano eterni…E’ tema specifico dell’attenzione parlamentare e dell’indagine giornalistica mettere di fronte all’opinione pubblica, fin dai primi accenni, la tendenza a scivolare in quella direzione.

Ritengo essenziale tenere ben distinta la questione del processo legislativo e della sua conclusione, astensione compresa, dalla retorica che ne può nascere. E’ certo che nel PD qualcuno vede in questa vicenda l’inizio di nuove intese tra maggioranza e opposizione. Ad esempio, la giustizia viene candidata come secondo passo di questa nuova fase. Non ci si può stupire, dato che in Italia la politica, quasi tutta, ritiene di essere ostaggio della giustizia.
Ma qui sarà inevitabile stabilire con la massima chiarezza l’atteggiamento da adottare nei confronti dell’anomalia italiana. Il successo del centrodestra, esaltato dalla legge Calderoli, e la scomparsa della sinistra dal Parlamento distorcono in profondità tutta la rappresentanza politica. E’ un panorama cui molti si sono abituati con qualche gradimento. E ciò favorisce anche una certa assuefazione all’anomalia: avere un monopolista televisivo al potere fa parte ormai del paesaggio della repubblica.
Per di più, purtroppo, Berlusconi oggi è trionfante e una parte del PD (spero solo una parte del PD) vi si è rassegnata. Un partito incerto e in calo di consensi può pensare che il fenomeno debba ormai esaurirsi per via fisiologica e forse ritiene perfino utile provare ad accelerarlo spianando la strada alla definitiva aspirazione: l’ascesa al Quirinale.
Per questo motivo la collaborazione al federalismo fiscale e l’astensione nel voto non devono in alcun modo essere viste come l’inaugurazione di un nuovo costume. Sono un semplice passo della prassi parlamentare. Ripetibile su temi neutri, ma da evitare in ogni modo sui temi spinosi. Non è affatto auspicabile che sia adottato per la giustizia e per l’informazione.
I cittadini non hanno niente da guadagnare dalla sottomissione della magistratura al potere politico. E già oggi si vede bene che cosa significhi il controllo sulle fonti d’informazione principali. L’intera vicenda della Commissione di Vigilanza sui sistemi radiotelevisivi pone un solo quesito elementare: alla fine quanto sarà aumentata la presa di Berlusconi sulla Rai?
Su questi temi l’opposizione non ha niente da mediare. Può solo lottare. Non rinunciare. Non rassegnarsi. Tantomeno a vedere il campione dell’interesse privato assumere il ruolo di garante dell’interesse pubblico.

Pancho Pardi



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