26 giugno 2008 – Pancho Pardi: Sua Impunità, metastasi della democrazia
di Pancho Pardi
Negli Stati Uniti il presidente Clinton è stato messo sotto accusa e portato ai limiti dell’impeachment per una vicenda di esclusivo carattere privato. E’ stato tormentato da un inquisitore implacabile, che, parteggiando manifestamente per i Repubblicani, lo ha sottoposto a una sequenza inesorabile di contraddittori al fine di dimostrare il suo comportamento menzognero e di conseguenza la sua inaffidabilità.
Quanto partigiana fosse l’iniziativa lo dimostra la timidezza esercitata in seguito nei confronti di Bush che non solo aveva vinto con i brogli in Florida (stato governato da suo fratello) ma ha poi manifestamente mentito al popolo e al Congresso sui motivi, inesistenti, della guerra in Iraq.
Clinton, il più intelligente e capace dei presidenti americani degli ultimi decenni, non ha mai rifiutato la legittimità dell’inchiesta, non si è mai sognato di ostacolare il corso della giustizia, non ha mai lamentato il fatto di dover sottrarre tempo prezioso alla conduzione della sua politica e alla risoluzione di affari di importanza mondiale.
Al contrario in Italia Berlusconi non solo si è sottratto a lungo ai processi ricorrendo al lavoro duplice di avvocati che erano allo stesso tempo deputati del suo partito (nel centrodestra chi non ha un conflitto d’interessi non ha diritto di parola) ma grazie agli avvocati deputati è sfuggito a numerosi processi tramite la prescrizione (e una volta ha avuto le attenuanti generiche solo perché era presidente del consiglio!). Altre volte è stato assolto solo perché la sua maggioranza aveva modificato la legge in merito.
Non contento di questa evasione dagli obblighi della giustizia, Berlusconi si permette ancora una volta di giungere alle offese più volgari, che un’opinione pubblica ormai drogata gusta come manifestazione naturale della sua spontaneità: tavola della serie "Si sa, lui è fatto così".
Con quello che i suoi apologeti della carta stampata chiamano "linguaggio del corpo" si è presentato alla Confesercenti dicendo che non ha abbastanza poteri e che i suoi avversari lo vorrebbero con le mani legate e a quel punto ha unito i polsi nel gesto figurativo dell’ammanettato.
Poi ha aggiunto che i magistrati che lo perseguono sono una metastasi della democrazia. In qualsiasi altro paese la stampa sarebbe insorta e le testate giornalistiche più autorevoli non avrebbero risparmiato le critiche più allarmate e sferzanti. In Italia invece prevale un atteggiamento corrivo. Pochi hanno ribattuto l’obiezione elementare: il voto non scioglie in nessun caso l’eletto dal vincolo delle leggi.
Troppo pochi si preoccupano per un atteggiamento che nega il fondamento intimo della democrazia rappresentativa: sono stato scelto dal popolo e quindi faccio quello che mi pare. Questo rapporto diretto, e distorto, tra popolo e capo, dove il popolo consegna la propria sovranità al capo, sta precisamente alla base della concezione fascista: il popolo che si invera nella persona del capo. Ne consegue che qualsiasi ostacolo alla sua azione si configura come impedimento illegittimo ed eversivo alle sue prerogative. Da qui l’appello del capo al popolo contro i poteri che si frappongono all’estrinsecazione della sua libertà, ormai sacra dato che riassume in sé la volontà popolare.
E’ evidente che in questo schema le assemblee elettive e la loro sovranità finiranno un giorno per apparire come una miserabile superfetazione che impedisce e rallenta la libera manifestazione dell’unica volontà di capo e popolo fuse insieme nella persona del capo.
Ma non basta. In italia il capo è l’unico che può usare appieno lo strumento del suo impero mediatico mentre tutti i suoi competitori ne sono privi. Gli alleati possono solo mendicare una partecipazione secondaria e subordinata, gli avversari possono contare solo sulle particelle di una lottizzazione partitica a sua volta inghiottita dal monopolio.
Il protagonismo civile si deve scuotere dal letargo dell’impotenza. Solo la libera cittadinanza può porre un limite invalicabile all’unica vera metastasi che affligge la democrazia italiana.
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