26.11.08 – Decompressione

MicroMega

Il diario quotidiano dal movimento di Gaia Benzi, studentessa di lettere e filosofia all’Università La Sapienza di Roma.

Esco come stordita da questi ultimi giorni di assemblee. Non ho aggiornato questo piccolo spazio non perché non avessi materiale, o spunti di riflessione, o ricchi dibattiti da riferire; anzi, al contrario: il mio problema è stato proprio gestire la sovrabbondanza di tali elementi.
La maturazione del movimento si sta realizzando sotto i miei, i nostri occhi. Impossibile definirlo ancora come "apolitico"; tutto ciò che si fa, si pensa e si dice – nei corridoi e nelle aule delle facoltà occupate – è pervaso da una volontà costruttiva, difficile da imbrigliare o riassumere, espressione del tratto più caratteristico dell’agire politico: la progettualità.
Nelle assemblee d’ateneo, di facoltà, di dipartimento, le iniziative di protesta che si ritiene di dover mettere in atto sono marcatamente indirizzate a vertenze specifiche: occupazioni di mense, teatri, mezzi pubblici – per ribadire l’importanza dell’accesso alla cultura e ai servizi; assedi a rettorati e a consigli – per tramutare in istanze concrete le linee guida dell’auto-riforma; volantinaggi a tappeto nei luoghi di lavoro, nei punti di ritrovo dell’opinione pubblica, tra gli stessi studenti – per mantenere viva l’attenzione e rendere palese la natura contagiosa del nostro disagio. Un insieme di pratiche di lotta, diffuse e dislocate, eterogenee, che serviranno a preparare tanto le manifestazioni cittadine del 28, quanto lo sciopero generale del 12, e senza le quali ci sentiremmo di aver gettato la spugna.
Ma, d’altra parte, il cuore del lavoro che si sta portando avanti non può più essere ridotto alla semplice esternazione di dissenso. E chi, in questa settimana, ha dato una scorsa al calendario delle iniziative in programma, lo sa bene. Decine di incontri e di riunioni si accavallano a proiezioni di documentari, a dibattiti su temi che esulano – spesso – dal problema universitario in senso stretto; questioni di natura più specificatamente sociale vengono poste all’ordine del giorno lì dove prima si trovavano, isolati, i drammi del sistema dell’istruzione – a cavallo tra burocrazia e utopie varie.
I flussi migratori e i licenziamenti in blocco, il clientelismo sanitario e lo spreco di risorse pubbliche per opere inutili o dannose, la privatizzazione dell’acqua e gli stravolgimenti climatici sembrano saldarsi, così, ai nostri problemi particolari, diventando un tutt’uno con quella poetica del sapere critico che, in quanto studenti, ci sentiamo di proporre come parte saliente della controffensiva.
Si sta dando, insomma, un allargamento del dibattito interno, che comincia a interrogare sé stesso su un piano non tanto ideologico – che non ci appartiene -, quanto culturale.
Alla base di qualunque scelta politica, d’altronde, vi è sempre una cultura. Non escono dal nulla certe leggi, non spuntano per gioco né per sbaglio: sono volute, hanno un senso – per quanto nascosto -, e degli obiettivi ben precisi; così come chi le propone – sia esso un individuo, un partito o una scuola dottrinale.
E dunque nemmeno un progetto di auto-riforma può pensare di essere immune a questa logica stringente, che lo inchioda alle sue responsabilità nel momento in cui il modello di università – o, più in generale, d’istruzione – in esso contenuto sfiora, tocca o addirittura combacia con altri settori fondamentali di questo paese. I tre documenti dell’assemblea nazionale, allora, vengono ripresi in mano dai gruppi di lavoro e dalle assemblee, nonché dai singoli, con questa coscienza, e osservati nuovamente dall’esterno. La domanda che ci si pone è: quale immagine, radicata nella nostra mente, ha prodotto certe affermazioni; da che esigenze nascono queste richieste, che disegno sottintendono – se ne sottintendono uno.
Quando ho parlato di "poetica", mi riferivo proprio a questo: ad un quadro – ancora senza cornice – che stiamo cercando di dipingere collettivamente, raffigurante non tanto la realtà che viviamo, ma quella che vorremmo vivere, e il cui protagonista sia un metodo di analisi puntuale, libero e indipendente; un metodo – forse l’unico – capace di opporsi a quella scuola di pensiero che vorrebbe far pagare al pubblico gli errori criminali dei privati, facendo a pezzi la società.
Abbiamo noi forse una prospettiva globale, che possa portare ad un rinnovamento generalizzato? E se no – come, per ora, è -, esistono quantomeno alcuni punti condivisi, che riteniamo fondamentali perché funzionali alla nostra idea di merito, di giustizia, di equità, alla nostra concezione di miglioramento e progresso? Siamo in grado, tutti insieme, di creare una nuova base culturale che possa essere utile allo sviluppo dell’intero paese, che lo possa arricchire, e che possa rappresentare, nel lungo periodo, un terreno fecondo su cui innestare proposte concrete? Oppure dobbiamo limitarci a coltivare il nostro piccolo orto, ignorando l’altro, mettendo a posto un pezzo alla volta e sperando che il resto s’innovi da solo?
Le maglie dei dibattiti, dunque, si slargano, e a noi, trascinati dalla qualità dei nostri progressi, capita di travalicare gli obiettivi della partenza. Ma proviamo comunque a ricongiungerci ad essi nel finale, in una dinamica altalenante che vede slanci speranzosi e visionari susseguirsi ad altri, più pragmatici, fiscali, che ricordano a tutti la situazione politica attuale, le problematiche scottanti da affrontare adesso, di petto, le battaglie che è necessario combattere subito, qui ed ora, per sopravvivere alla crisi e poter dunque continuare le nostre riflessioni in pace, lontani dallo spettro del tracollo.
Addentrandosi nelle riunioni di dipartimento, poi, si ha una gradita sorpresa: le si scopre organo pulsante della protesta. Numerosi tavoli di studio, da queste nati, con ricche bibliografie e decine di contributi, stanno costruendo un patrimonio comune di notevole importanza, dando vita ad un sapere tecnico, qualificato, che possa essere strumento efficace per tutti nei cosiddetti workshop tematici. All’interno di essi si ribadisce la centralità – nella nostra opera di ricostruzione dal basso – di quel lessico giuridico ed economico che ci troviamo spesso a subire passivamente, mentre solo comprendendolo appieno, conoscendolo davvero, potremo ambire a contrastarlo. Del resto, più si va avanti in questo processo di approfondimento delle norme che regolano le nostre vite, a cui siamo – o dovremo – essere soggetti, più ci si rende conto che anche solo limitando la visuale ai nostri problemi abbiamo già tanto lavoro da fare. Data la complessità, la varietà di sfumature e la delicatezza dei meccanismi alla base della nostra condizione – attuale o futura -, l’articolazione specifica dell’auto-riforma merita ancora il primo posto fra le priorità, la nostra miglior concentrazione e le nostre più lucide energie.
Siamo dunque, oserei dire, in una fase di decompressione: come un sommozzatore, risalendo, è costretto a fermarsi, vedendo già la superficie, per poter rilasciare l’azoto accumulato durante l’immersione, così noi ora abbiamo bisogno di lasciar scorrere le nostre idee liberamente, di buttarle fuori e farle circolare, in un crogiuolo confuso di suggestioni che è necessario soprattutto esista, prima ancora che esista con chiarezza.

Gaia Benzi



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