27.02.09 – La resistenza profonda

MicroMega

Il diario dal movimento di Gaia Benzi, studentessa di lettere e filosofia all’Università La Sapienza di Roma.

Gli aggiornamenti di questo spazio seguono ormai i ritmi che l’università ha imposto al movimento nelle ultime settimane. La sessione d’esami è piombata nelle nostre giornate con tutta la sua naturale violenza ed ha giocato, nella tentata e non riuscita normalizzazione del dissenso studentesco, un ruolo fondamentale. Seguendo logiche chiaramente estranee alla serenità degli studenti, il rigido calendario degli appelli ha compresso i nostri spazi e, tramite l’inquadramento asfissiante dei tempi di vita, ha imbrigliato e in parte prosciugato le nostre forze, le nostre potenzialità.
Tuttavia, l’Onda non è affatto morta. Non solo perché tante sono le cose che siamo riusciti a fare in questi mesi e che continueremo a portare avanti: grandi e piccole vittorie, grandi e piccole battaglie; ma anche perché, malgrado le differenze di fase, ciò che abbiamo messo in campo ultimamente arricchisce le manifestazioni oceaniche di ottobre, novembre, dicembre, e prepara al futuro.
Prima di proseguire, però, mi sembra opportuno fare il punto sull’atteggiamento che i media hanno tenuto verso di noi fra gennaio e febbraio. Più che per tigna, per correttezza: per poter finalmente spiegare a tutti voi come mai è da tanto che non leggete delle nostre imprese sulle prime pagine.
Come avrete sicuramente notato, uno dei difetti della nostra informazione è quello di essere soggetta a "mode" che, scavalcando i direttori di testata, decidono l’ordine e la rilevanza da attribuire alle notizie. D’altronde, non mi sembra di commettere eresia sottolineando quanto sia opinabile che l’inaspettato successo del Festival di Sanremo abbia più spazio nei palinsesti della sfilza di licenziamenti, esuberi e cassintegrati che stanno sconquassando la nostra penisola da Nord a Sud. Anche il clima politico può essere rilevante: quando un partito – come, ad esempio, il PD – molto vicino a un giornale – come, ad esempio, La Repubblica – che ha sempre dedicato attenzione alle nostre istanze perché favorevoli alla sua linea, improvvisamente cambia idea, e si trova a sostenere il governo per far passare una legge – come, ad esempio, la legge elettorale europea – che gli conviene – almeno, così crede -, può accadere che il giornale cambi volto anch’esso, e osteggi ciò che prima osannava. O viceversa.
Insomma, è difficile decretare l’importanza di un evento basandosi sulla posizione in classifica che l’informazione nostrana gli ha accreditato. I numeri, ovvio, fanno la loro parte: sarebbe stato impossibile ignorarci quando a scendere in piazza eravamo oltre un milione. Ma se ciò che dicevamo era importante allora, perché non è più importante adesso? Semplice: ora bisogna occuparsi del testamento biologico, delle intercettazioni, delle ronde e via dicendo. Noi siamo passati di moda – come un cappotto autunno/inverno che per la primavera/estate non vale più.
Non che i nuovi temi sopra citati non siano da tenere in grande considerazione! Ma il nostro compito – in quanto partecipanti di un movimento – non è quello di seguire le mode, bensì di dettarle, continuando a coltivare le battaglie che riteniamo giuste, malgrado il silenzio assordante che mira a inghiottirci.
Detto ciò, passo ad elencare alcuni degli episodi che si sono susseguiti da inizio gennaio ad oggi, fine febbraio, nella convinzione di fornire non tanto un quadro preciso, quanto piuttosto una suggestione fedele di ciò che l’Onda ha continuato e continua ad essere.
Innanzitutto, alla protesta pura, semplice e schietta, è stata data continuità. In molti atenei d’Italia è stato difficile, per i rettori, celebrare normalmente l’inaugurazione dell’anno accademico: la Sapienza, l’Università di Calabria, quella di Trento, di Bologna, di Torino e di Genova hanno interrotto le feste in ermellino e toga al grido di "Non c’è niente da inaugurare", ricordando con la loro presenza e i loro cartelli lo sfascio verso cui stiamo allegramente collassando. Membri dell’esecutivo ed esponenti della maggioranza sono stati criticati duramente a più riprese: la Gelmini al Conservatorio di Milano – la prima e forse ultima volta che ha tentato un’uscita pubblica senza claque al seguito -, e il ministro Brunetta a Bologna; anche il Presidente della Camera Gianfranco Fini – prontamente ripulitosi a uomo delle istituzioni -, venuto alla Sapienza a discettare sulla "centralità del parlamento negli organismi democratici", ha ricevuto la sua dose di fischi – dov’era quando la finanziaria che distrugge la formazione pubblica veniva approvata in nove minuti? E persino Berlusconi stesso ha avuto occasione di ricordare la nostra esistenza, in quel della campagna elettorale sarda – dove il premier, malgrado le apparenze, non era candidato.
Ma questo è niente in confronto alle tante azioni compiute dagli studenti, su e giù per la penisola, volte a rivendicare diritti e portare avanti il progetto collettivo di auto-riforma dell’università. A partire dalle occupazioni: delle case dello studente a Roma ai rettorati della Statale e dell’Accademia di Brera a Milano, dal Senato Accademico dell’Orientale di Napoli (contro la chiusura della Facoltà di Studi Arabo Islamici) all’ufficio dei tirocinanti a Bologna – per citarne alcune, e tante ne ho dimenticate -; fino a gesti simbolici di altra natura, ma dal medesimo scopo, come l’autoriduzione sul biglietto d’ingresso della mostra "Da Corot a Picasso", a Padova. Tutti atti volti a sottolineare l’importanza, per noi studenti, di mezzi e risorse che oggi ci vengono negati: una casa per i fuori sede, uno stipendio per i lavoratori non pagati degli stage e dei tirocini, un accesso libero alla cultura e al sapere. Nemmeno la richiesta di spazi è stata tralasciata, e l’occupazione di aulee ha visto coinvolte innumerevoli facoltà disseminate per il paese; a Genova è stato occupato un edificio universitario in disuso che dal 14 gennaio è proprietà dell’Onda, e ha nome di Aut Aut 37.
V’è infine un altro piano su cui abbiamo cominciato a lavorare alacremente: quello delle vertenze interne e della resistenza legalitaria ai tagli del governo e allo sfacelo del tre più due. Mi scuso di poter riferire, su tale argomento, solo le iniziative promosse dagli studenti della Sapienza ma so per certo, però, che anche nelle altre università iniziative non dissimili sono nate e hanno avuto successo.
Nel nostro piccolo, noi siamo riusciti a sbloccare un po’ di fondi per prolungare l’apertura delle biblioteche in tutte le facoltà; stiamo lottando per un’ulteriore data d’appello ad aprile, che diluisca i folli ritmi di studio a cui siamo soggetti; abbiamo strappato un riconoscimento in crediti per i progetti di auto-formazione che stanno partendo e che proseguiranno, implementati, anche il prossimo ottobre: tutte cose concrete, che servono a migliorare subito, qui e ora, le nostre vite; piccole vittorie che rinfrancano lo spirito e dimostrano che vale la pena battersi, vale la pena sempre. Allo stesso modo dei coordinamenti scolastici, che stanno tenacemente resistendo alla riforma Gelmini attraverso gesti di disobbedienza e moduli burocratici: mi viene in mente quella scuola di Milano, che ha messo dieci a tutti gli alunni elementari, in tutte le materie, per protestare contro la riduzione dei bambini a pure cifre; o come la rete romana "Non rubateci il futuro" che sta promuovendo, anche a livello nazionale, una campagna per il tempo pieno costruita grazie alle richieste in segreteria, fatte dei genitori, del massimo delle ore disponibili.
A chi dice sempre che "la piazza non basta": certo che non basta. La piazza è stata
e sarà sempre luogo cruciale per il movimento; la piazza è la casa dell’Onda, la strada la sua forza: questo lo sappiamo. Ma sappiamo anche quanto le tappe intermedie verso la meta finale siano fondamentali, quanto le piccole vittorie contribuiscano a rendere più vicina e più plausibile la vittoria finale, quanto momenti di opposizione interna a quelle stesse istituzioni che contestiamo, che non ci piacciono e che vogliamo giustamente cambiare servano per continuare a immaginare un tale cambiamento.
Tutto questo si è dato e si continua dare, ci tengo a sottolinearlo, in un clima non facile per noi studenti e studentesse universitari – ma immagino anche per i maestri e gli insegnanti delle primarie e secondarie, per i genitori e i liceali. Non appena l’occhio incontestabile delle telecamere e delle macchine fotografiche si è allontanato dal movimento, la repressione dello stesso da parte dell’esecutivo si è fatta più pesante. Numerose sono le segnalazioni di cariche della polizia a cortei di studenti – oltre che a migranti e occupanti e, non ultimi, agli operai. Numerose le denunce per le manifestazioni non autorizzate di quest’autunno, ma soprattutto per le occupazioni di facoltà, di aulee e altri luoghi universitari, che seguono, evidentemente, a segnalazioni fatte dai rettori – uno su tutti: Luigi Frati. Numerose anche le aggressioni di fascisti ai danni di militanti del movimento – a Roma Tre e alla Sapienza, solo per citarne un paio che ricordo con precisione -, e i tentativi da parte di gruppi di estrema destra di intimidire gli studenti. Alla Sapienza il rettore Frati, oltre a denunciarci, ha anche deciso di sgomberare le aulee autogestite, di precluderci l’accesso a quelle in comune, e sta avviando un progetto che vede fantomatiche commissioni limitare la libertà di parola all’interno dell’ateneo attraverso lo strumento del veto contro le iniziative studentesche autonome – non sponsorizzate, cioè, da rappresentanze studentesche istituzionali – e che decidano sugli spazi da "concedere" agli studenti; i manifesti ci vengono sistematicamente strappati dopo nemmeno ventiquattrore, gli striscioni ci vengono sequestrati perché "non decorosi", la Digos ci aspetta fuori dalle facoltà ad ogni assemblea, ad ogni protesta, puntuale e solerte.
E in quest’atmosfera cupa, sono fiera di dire che noi siamo ancora qui. Siamo qui insieme ai migranti e ai lavoratori – con cui abbiamo mantenuto e intensificato i rapporti -, siamo qui insieme agli altri studenti europei in mobilitazione – le università francesi sono in sciopero permanente dal 2 febbraio -, siamo qui con le scuole: e a breve torneremo in piazza. Ma siamo qui soprattutto con quel senso di comunità che la cultura del fascismo mediatico vorrebbe sottrarci, insieme alla determinazione e alla voglia di combattere.
E’ tanto quello che stiamo continuando a fare, anche se sulla carta sembra così poco. Mantenere intatte l’autostima, la coesione, l’allegria e la speranza in questi tempi bui, sembrano cose banali, dei problemi esistenziali che non hanno niente a che vedere con la politica; ma non è così. Anche la disillusione, la frustrazione, il senso di sconfitta e la depressione potrebbero sembrare solo alcune delle tante emozioni che puntellano l’animo umano; eppure esse diventano arma politica nel momento stesso in cui ci spingono a chiuderci in casa, a non parlare con gli altri e a non ascoltarli, ad abbrutirci di fronte a uno schermo sperando ci possa restituire un surrogato di umanità. Altrimenti perché ci vorrebbero sempre spaventati, indebitati e precari?
Il senso di comunità, invece, spazza via ogni forma di repressione psicologica; è qualcosa che riesce a superare anche l’appartenenza al gruppo come fonte di fiducia in sé stessi. E’ diverso: è la sensazione profonda di essere protagonisti – ognuno di noi, singolarmente – di una storia importante, che vale la pena vivere e vale la pena raccontare. Ci aiuta a ricordare nei volti degli altri i motivi del nostro agire e del nostro esistere; e, mantenendo vivi i ricordi, mantiene vivi noi e le nostre identità.
E’ questo, soprattutto, che stiamo continuando a proteggere con cura, affinché possa arricchire le future manifestazioni di un significato nuovo, completo – personale e collettivo insieme -, e mi sembrava giusto porvi l’accento alla vigilia di un marzo che, con tutta probabilità, sarà di piena mobilitazione.
Il recupero della dimensione comunitaria è, d’altronde, premessa imprenscindibile di qualunque cambiamento concreto si voglia operare nel nostro paese.

Gaia Benzi

(27 febbraio 2009)



MicroMega rimane a disposizione dei titolari di copyright che non fosse riuscita a raggiungere.