27.11.08 – Uranio impoverito, doppiamente vittime

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I soldati italiani impegnati nelle operazioni internazionali sono esposti a condizioni difficili. Talvolta sono condizioni di guerra. Le indagini in merito sono scarse e isolate. Di solito prevale la versione riduttiva: sono impiegati in operazioni di pace in teatri di guerra.
Per la verità non è stato sempre così: il confine tra l’operatore di pace e il soldato in guerra non è così facile da trattare. Anche per motivi ovvii: esposti ad attacchi i soldati devono comunque potersi difendere. Ed è assai difficile stabilire a priori i limiti dell’azione di difesa. Come sempre, è la fanteria la più esposta. Ma se da aerei o elicotteri partono proiettili e bombe è impossibile sostenere che si tratti di operazioni di pace.
Per la fanteria al suolo il rischio non è solo l’incertezza del confine tra difesa e attacco. C’è purtroppo una certezza: chi calpesta il suolo dei teatri di guerra sottoposti a operazioni di pace è esposto in modo irrimediabile alla contaminazione da uranio impoverito. Leggere a questo proposito Massimo Zucchetti "Uranio impoverito" (Clut 2005) e "L’atomo militare e le sue vittime" (Utet-Libreria 2008).
All’inizio il pericolo è stato non si sa bene se ignorato o trascurato. In Bosnia e Kossovo le autorità militari e civili hanno per troppo tempo minimizzato, e c’è ancora chi dice in giro che subire un po’ di uranio impoverito è come fumare troppe sigarette. Tanto per rimettere le cose a posto, finora i morti per questa causa sono 167 e i casi di contaminazione 2536. Ma le cifre sono solo provvisorie. I soldati italiani sono in Iraq e in Afghanistan, dove, soprattutto in Iraq, sono state gettate quantità spaventose di bombe e proiettili tutti all’uranio impoverito. L’esplosione fonde e vaporizza proiettile e obbiettivo. Da lì si diffondono polveri finissime che è inevitabile inalare o assumere per via liquida.
La malattia è insidiosa, può contaminare le persone vicine ai pazienti, ha conseguenze genetiche micidiali. Quasi sempre ha esiti letali. Ma la morte per uranio impoverito resta spesso ignorata, sepolta nel dolore delle famiglie, e valutata come un accidente di basso costo: 258,23 euro mensili. Tanto hanno ricevuto le famiglie di due soldati morti per linfoma di Hodgkin, effetto di contaminazione in Bosnia e Kossovo.
Ora si sta compiendo un ultimo delitto burocratico. Sono stati stanziati nove milioni di euro per le vittime dell’uranio impoverito. Ma pare che il provvedimento sia stato firmato da Tremonti solo il 19 novembre. E solo il 24 novembre la Corte dei Conti ha dato il via libera. Se entro oggi, 27 novembre, il CRA del Ministero della Difesa non iscriverà la pratica nei modelli A e B sul capitolo 1239, i nove milioni di euro non saranno spesi per il motivo per cui erano stanziati e finiranno, come si dice in economia, nel sacco dell’erario. Pare che sul capitolo 1239 restino per ora solo 3.000 euro.
I soldi non sono tutto, ma che una banale lentezza burocratica, a partire dall’anchilosi del polso di Tremonti, possa bloccare i risarcimenti, comunque insufficienti, per le vittime e le loro famiglie, è un’ingiustizia intollerabile.
Se accadrà, il governo non ha scuse e l’opinione pubblica dovrà manifestare la sua critica con la massima energia.

Pancho Pardi

Il trailer di "L’ITALIA CHIAMO’" (Italia, 2008), documentario di Matteo Scanni, Leonardo Brogioni e Angelo Miotto sulle vittime dell’uranio impoverito



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