28.04.09 – Il cinismo di Berlusconi sul 25 Aprile
Il coro di riconoscimenti a Berlusconi partigiano col fazzoletto al collo getta una luce imbarazzante sulla capacità critica della stampa italiana. Anche chi ha fatto lo sforzo non difficile di considerare la strumentalità del gesto ha poi ammesso che comunque il gesto ha grande valore. Qualcuno ha osato spingersi a dire che solo grazie a questo finalmente il 25 aprile è la festa di tutti.
Strana logica davvero. E’ da prima del 25 aprile del 1945 che erano già chiarissime le differenze tra le due parti combattenti. Alomeno dall’inverno del 1944, quando i repubblichini di Salò guidavano le SS nei rastrellamenti delle valli alpine e appenniniche alla ricerca dei partigiani affamati e male armati. E non si sta a dire qui che cosa facevano loro quando li prendevano. E’ da allora che si sa che i partigiani combattevano dalla parte giusta e i fascisti repubblichini dalla parte sbagliata.
Anche il perdono nei confronti degli assassini e dei loro complici è di antica data: la sua prima manifestazione, ancora oggi discussa, fu l’amnistia concessa dal ministro Togliatti, cui seguì in breve la rinuncia all’epurazione di chi si era distinto nell’approfittare del regime. I conti sono stati fatti da molto tempo. E per ammetterlo non è affatto necessaria la retorica dolciastra della memoria condivisa. Se qualcuno vuole accreditare la nobiltà della parte sbagliata liberissimo di farlo. Ma non ci chieda di condividere una falsa memoria. Per nostra e sua fortuna la parte sbagliata ha perso e solo per questo oggi può parlare. A patto di non pretendere di avere ragione.
La straordinaria novità del gesto di Berlusconi si riduce al fatto che, mentre si vanta sempre di fare le cose per primo, questa volta per ultimo, e con mille cautele, prende atto di una realtà irrefutabile: i partigiani avevano ragione e i repubblichini no. Perché tributare sulla base di questa più che tardiva ammissione il riconoscimento del ruolo di statista? Lo faccia chi ha così poca stima di sé da credere al carisma del venditore di pubblicità televisiva.
Basta mantenere un minimo di equilibrio per cogliere il cinismo profondo dell’operazione. Berlusconi non è uno storico revisionista nel pieno di un ravvedimento operoso. Poco tempo fa non è stato condannato per corruzione solo perché aveva imposto al Parlamento una legge che lo rendeva intangibile, ma il soggetto accusato di essere stato da lui corrotto è stato condannato. Ma questo ormai è il meno.
E’ il protagonista di un disegno di riduzione della democrazia, che per sua natura deve essere pluralistica e conflittuale, a un pastone plebiscitario incardinato sul rapporto a senso unico tra capo e popolo. La scenografia da studio Mediaset in cui ha parlato all’Aquila lo esprime con la massima efficacia visiva (e televisiva). Il capo buono e protettivo attorniato dal suo popolo reverente prepara un presidenzialismo a misura di sé stesso: culmine definitivo del suo uso privatistico dello stato. E semplicemente perché si è deciso ad ammettere la verità conosciuta viene premiato dalla stampa paludata con il riconoscimento della dignità ad assumere la carica. Gli è bastato essere l’ultimo a nominare i comunisti tra i protagonisti della Resistenza per avere dai loro eredi l’attestato che può salire al Quirinale.
E non gli basta. Deve perfezionare la mossa con il timbro personale della falsificazione: non più Festa della Liberazione ma Festa della Libertà: la sua festa, la festa del suo popolo, unito dietro di lui. Ha le mani in pasta in tutti gli affari importanti, è in grado di influenzare tutti i poteri economici che contano. Nutre una schiera di alleati fedeli. Domina nei mezzi di comunicazione. Può costruirsi il consenso che vuole. Non piccola parte dell’opposizione gli riconosce come merito ciò che è invece vantaggio smisurato. Non ha più voglia e bisogno di essere sfrenato. Può mostrarsi tollerante e comprensivo ora che è senza freni.
La resistibile ascesa sarà accompagnata dai salmi di chi vorrà prostrarsi. Ma anche di fronte a una forza che si dipinge irresistibile nessuno è obbligato ad arrendersi. E’ proprio nel momento della difficoltà che si misura la tempra dell’opposizione. Berlusconi al Quirinale: mai.
Pancho Pardi
MicroMega rimane a disposizione dei titolari di copyright che non fosse riuscita a raggiungere.