29 agosto 2008 – Pancho Pardi: La controriforma del governo per sottomettere la giustizia alla politica

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di Pancho Pardi

Controriforma della giustizia.

Il testo è ancora ignoto. Il centrodestra punta a una trattativa preventiva, non per concedere qualcosa all’opposizione ma per ottenerne una disponibilità generica, che una parte di essa è già pronta a dare: Violante si è già pronunciato. Tenere nascosto l’articolato è strumento tipico di trattativa coperta.

Tuttavia sono chiare le intenzioni. L’azione del governo non ha alcun interesse per l’efficacia della giustizia. Vuole solo sottometterla alla politica. In questa luce non stupisce che il punto di partenza conclamato sia la Bozza Boato con cui la Bicamerale del 1996 aveva affrontato la materia. La giustizia all’inizio non era prevista tra gli argomenti di cui la Commissione avrebbe dovuto occuparsi ma Berlusconi la impose come condizione preliminare per poter partecipare all’operazione. Poi, ottenuto ciò che gli premeva, la fece fallire.
Oggi, dal governo, riprende l’argomento per poter liquidare in modo definitivo l’indipendenza e l’autonomia della magistratura.

Modifica dell’obbligatorietà dell’azione penale. Richiede la modifica dell’art. 112 della Costituzione: “Il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale”.
In realtà è necessaria la modifica di almeno altri tre articoli di cui il 104 è quello decisivo.
Infatti, nelle intenzioni dichiarate dalla maggioranza l’azione penale sarà sottoposta a un indirizzo espresso dal Parlamento sulle priorità di indagine. La volontà è dichiarata: sarà la politica a stabilire ciò di cui la giustizia deve occuparsi.
La motivazione è che l’obbligatorietà dell’azione penale è del tutto aleatoria e la sua attuazione selettiva è sottoposta all’arbitrio del pubblico ministero. Il governo propone con la massima chiarezza che l’arbitrio sia invece esercitato dal Parlamento. Ciò contrasta in modo diretto e inconfutabile con gli articoli 101, 102, 104 della Costituzione. Art. 101: “I giudici sono soggetti soltanto alla legge”. Art. 102: “La funzione giurisdizionale è esercitata da magistrati ordinari istituiti e regolati dalle norme sull’ordinamento giudiziario”. Art. 104: “La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere”.
Chiunque sostenga la necessità di abolire o anche solo modificare l’obbligatorietà dell’azione penale si assume la responsabilità di forzare la Costituzione in quattro essenziali articoli, a soli due anni di distanza dal referendum popolare che a schiacciante maggioranza ha confermato la Costituzione vigente.

Separazione delle carriere tra magistratura inquirente e giudicante. Richiede la modifica dell’articolo 107 della Costituzione: “I magistrati si distinguono soltanto per diversità di funzioni. Il pubblico ministero gode delle garanzie stabilite nei suoi riguardi dalle norme sull’ordinamento giudiziario”.
L’obbiettivo della modifica è apertamente dichiarato ed è omogeneo alla contestuale modifica dell’obbligatorietà dell’azione penale: la sottomissione del pubblico ministero alla potestà del potere esecutivo. Anche qui dunque si esercita una forzatura contro gli articoli 101, 102 e 104.
La sottomissione del pubblico ministero alla volontà del governo tronca all’origine l’autonomia e l’indipendenza della magistratura e impedisce il controllo sul ruolo della politica nelle attività corruttive. Con la realizzazione dei due capitoli della controriforma lo stesso disvelamento della corruzione diventa impossibile. I giudici possono essere perfettamente indipendenti e non condizionabili, ma se il pubblico ministero non può indagare su certi reati i giudici non potranno emettere giudizio su di essi. In questa luce va vista la stretta relazione con l’annunciata legge sulle intercettazioni, che impedisce ai magistrati di usarle e ai giornalisti di parlarne.

Modifica del Csm. Richiede la modifica dell’articolo 104: i componenti del Csm “sono eletti per due terzi da tutti i magistrati ordinari tra gli appartenenti alle varie categorie, e per un terzo dal Parlamento in seduta comune tra professori ordinari di università in materie giuridiche ed avvocati dopo quindici anni di esercizio”.
La critica classica sostiene che i membri togati sono scelti dalle correnti interne all’associazione nazionale dei magistrati (quindi indirettamente dai partiti) e che i membri cosiddetti laici sono scelti direttamente dai partiti. Può essere verissimo. Ma se il problema è il dominio della politica, il rimedio è peggiore del male.
La proposta circolante stabilisce infatti una tripartizione ancora più determinata dalla politica. Il Csm sarebbe infatti diviso in tre parti: un terzo di laici, un terzo di togati espressi dalla magistratura e un terzo indicato dal Presidente della Repubblica. Avremmo quindi un Consiglio superiore della magistratura in cui la magistratura potrebbe essere in minoranza. Niente male per ridimensionare la presa della politica sulla questione.
Fa parte per adesso del folklore l’idea di estrarre a sorte solo i togati del Csm. Ma l’esperienza insegna che se le cose possono peggiorare peggioreranno. Con la stessa cautela va considerata la proposta della Lega di far eleggere dal popolo i pubblici ministeri. Puro analfabetismo costituzionale. Ma oggi gli analfabeti costituzionali governano.


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