29.10.08 – La Gelmini è legge tra bugie e provocazioni
Oggi è passata in aula la legge Gelmini sulla scuola. Riguarda essenzialmente la scuola elementare. Ristabilisce l’uso dei grembiulini e il voto in condotta. Toglie la pluralità degli insegnanti e restaura il maestro unico. Fronteggia con classi separate le difficoltà di apprendimento dell’italiano da parte dei bambini figli di immigrati, mentre il modo più sicuro di imparare una lingua è l’interlocuzione con chi la parla. Ma nega queste stesse difficoltà delle classi miste interculturali e interlinguistiche prevedendo per esse il maestro unico. Dice di farlo per ricostruire il principio di autorità. Principio apparente e falsificato quanto l’autorità del capo del governo che si è fatto le leggi a proprio uso e consumo.
Non è una riforma ma solo l’applicazione affrettata dei tagli stabiliti dalla legge finanziaria 133. Rientra dunque nel contesto di un blocco del turn over che nel giro di pochi anni non rinnoverà 87.000 posti di insegnante e 44.000 di ruoli tecnici.
La maggioranza ha difeso la scelta sostenendo che non ci sono licenziamenti. E’ un affermazione ipocrita: il mancato rinnovo degli 87.000 posti impedirà a decine di migliaia di precari di entrare in ruolo dopo aver sacrificato anni della loro vita in un lavoro incerto e mal pagato.
Ma si sa: i precari sono anime morte cui non dare peso.
Secondo stampa e televisione schierate con la maggioranza è un vero scandalo che liceali e universitari approfittino della scuola inferiore per manifestare in massa. Al contrario si può sostenere che le lotte attuali sono l’effetto di saggia lungimiranza. Liceali e universitari sanno bene che con la Gelmini inizia un processo di attacco alla scuola pubblica. Comincia dal basso e vuole salire verso l’alto. E ci arriverà. Diversi motivi congiurano nella stessa direzione. La tendenza alla privatizzazione, l’ostilità generica verso gli insegnanti, che il centrodestra da sempre individua come avversari storici del centrodestra e in particolare del berlusconismo.
Gli studenti oggi difendono la scuola pubblica come bene comune. Hanno aperto un conflitto e trovato subito larghe alleanze. Quella con le famiglie è naturale: è insieme a loro che subiscono le conseguenze del danno. Quella con i professori è sottoposta a una selva di critiche interessate. Molti si affannano a dir loro: perché proteggete i baroni che vi danneggiano?
Si può dubitare che i professori che sostengono la lotta studentesca siano proprio i baroni che monopolizzano il potere. Per esempio sono tutti interni alla lotta i docenti a contratto, precari, che sono a loro volta vittime, talvolta consenzienti, del potere baronale. Per quello che ne so, appoggiano la lotta i professori più motivati, interessati al futuro delle ricerca, avversari dell’idea che si possa consegnare ai privati, e ai loro interessi privati, il controllo sullo studio e la ricerca.
Oggi a piazza Navona hanno fatto il loro ingresso sulla scena i provocatori neofascisti. Sono arrivati con un camion dalla musica assordante e hanno coperto l’altoparlante dei manifestanti pacifici che da più giorni, anche con la pioggia, hanno presidiato la Corsia Agonale, varco che unisce la piazza alla sede del Senato. Schierati in falange militare hanno picchiato gli studenti pacifici, mandandone qualcuno all’ospedale. Poiché la polizia finora si era comportata con equilibrio, stabilendo con i manifestanti pacifici anche un’atmosfera di quasi cordialità, dispiace dire che in questo caso si è schierata in ritardo, benché avvertita, e senza interporsi tra i violenti e i tranquilli. Quando i primi sono partiti all’attacco, la polizia stava alle loro spalle invece che davanti. E quando è passata alla carica ha colpito entrambi i contendenti, senza fare troppe differenze.
Per la serenità delle future, lunghe iniziative di lotta è necessario che questo incidente rimanga isolato e ridotto a caso non ripetibile. E’ essenziale che gli studenti non siano indotti a vedere nella polizia un’entità ostile. E’ utile ricordare che il governo che ne dispone è di gran lunga più temibile. Lo vedremo presto con la riforma dell’università o, più precisamente, con l’applicazione della legge 133 all’università. Con la sostituzione di un solo ricercatore su cinque e il conseguente blocco dell’avvicendamento delle generazioni, prepara la fine della ricerca. Sono preoccupati gli studiosi di tutto il mondo. Su Nature hanno scritto: la Gelmini contribuirà a svuotare i nostri laboratori; come faremo senza i giovani ricercatori italiani su cui eravamo abituati a contare? Leggere per credere.
Pancho Pardi
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