29.11.08 – “Giustizia per mio marito, morto di lavoro”

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A Campello sul Clitumno in Umbria il sindaco Paolo Pacifici ha voluto ricordare i 4 operai che morirono travolti dallo scoppio di un silos alla Umbria Olii. I familiari stanno ancora aspettando il processo. Il cosiddetto imprenditore ha persino cercato di farsi dare da loro un risarcimento di 35 milioni di euro. La magistratura ha archiviato. In sala c’erano familiari, tanti sindaci, cittadini, sindacalisti, giornalisti, tutti uniti dalla comune volontà di impedire che all’estremo oltraggio della morte si aggiunga la cancellazione della memoria su questi temi: Fiorenza Grasselli, moglie di una delle vittime, ha scritto e letto un lettera che merita di essere pubblicata, perché potrebbe diventare un vero e proprio manifesto da sottoscrivere, da far circolare, da sbattere sotto il naso a quanti continuano a blaterare di tragica fatalità.

Sono trascorsi due anni da quella tragica giornata del 25 novembre 2006, ma per me è come se fosse successo ieri. Quando salutai Giuseppe la mattina lui mi disse: "torno alle 14,30". Non sapevamo che non ci saremmo più rivisti.
Non mi andava che lavorasse anche di sabato e glielo dicevo spesso, ma lui era troppo affezionato al proprio lavoro!
Quando chiudo la porta di casa ora sono sola, intorno a me c’è un gran senso di vuoto. E so che lo stesso accade nelle altre famiglie dei colleghi di mio marito che quel giorno stavano con lui su quei maledetti silos. Oggi ho trovato la forza per venire qui, a parlare, e sono sicura che c’è lui vicino a me.
Ho trovato la forza, come sono riuscita a fare anche lo scorso anno, perché voglio sapere la verità.
Per impedire anche che qualcuno dica che queste sono cose che possono capitare tutti i giorni. Voglio che quello che è successo a Campello due anni fa non venga dimenticato e desidero che venga fatta giustizia.
Ho tanta paura che ci si dimentichi di noi e di quello che è successo.
Dopo due anni il processo ancora non è incominciato. Ma io penso che giustizia sia anche che il processo si faccia presto e che si scopra cosa è successo davvero e chi ha le colpe di quel fatto.
Se passano anni senza verità e senza risposte come si può onorare la memoria di chi è morto quel giorno?
Che giustizia c’è in un mondo dove celebrare il processo devono passare tanti anni?
Quando mio marito andava al lavoro lo faceva per la sua famiglia, per fare la sua parte nell’impresa in cui lavorava e nella comunità in cui viveva. E poi lui lavorava in questo ambiente e con queste mansioni da oltre 20 anni e mi diceva sempre che se un lavoro non era più che sicuro non lo avrebbe mai fatto.
E invece lo hanno anche accusato di essere stato lui ed i suoi colleghi a causare quel disastro.
Lo hanno anche accusato di essere stato lui ed i suoi colleghi a causare la loro morte.
Perché invece qualcuno non ha detto cosa c’era dove stavano lavorando e cosa potevano e non potevano fare lì sopra?
Per questo io sono sicura che non possono aver sbagliato loro.
Nessuno si alza la mattina per andare a morire.
Giustizia significa che la nostra storia, quella di mio marito e quella di tante altre famiglie come la mia, non cada nel dimenticatoio e che non si dica che si è trattato di una fatalità.

Fiorenza Grasselli
* vedova di Giuseppe Coletti, morto con altri tre operai (Maurizio Manili,Tullio Montini e Vladimir Toder) nell’esplosione dei serbatoi della Umbra Olii, a Campello sul Clitunno (PG), il 25 novembre 2006. Intervento letto il 25 novembre 2008 nel consiglio comunale di Campello sul Clitunno, nel ricordo dei 4 operai morti due anni fa, nella richiesta di giustizia e di memoria, incontro organizzato dalla municipalità e dalla "Carovana per il lavoro sicuro".

Fiorenza non vuole vendetta, ma giustizia, vuole impedire che altre donne possano provare lo stesso dolore. Quando il processo finalmente sarà celebrato,questo blog e il sito di Articolo 21 lo seguiranno. Essi si metteranno a disposizione delle famiglie e dei loro avvocati, affinché non si sentano mai soli e mai imbavagliati e zittiti. Facciamo nostra, infine, una proposta semplice e civile che Samantha Di Persia, autrice di un libro su queste stragi rimosse, ha rivolto a tutti noi: "Non chiamatele morti bianche, sembra quasi un nome dolce,queste sono morti sporche, anzi sporchissime…" . Questa richiesta la giriamo a tutti i giornalisti, a tutte le testate, alle agenzie, nella speranza che qualcuno voglia raccogliere l’appello e tradurlo in pratica quotidiana.

Giuseppe Giulietti



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