30.03.03 – Lettera aperta al giornalista Alberto Severi

MicroMega

Gentile dott. Severi,

Mi chiamo Carlo Gubitosa, sono un giornalista freelance e assieme ad alcuni colleghi ho promosso la campagna "Giornalisti contro il razzismo", alla quale hanno aderito agenzie di stampa come "Redattore Sociale" e "Dire", l’Ordine dei Giornalisti dell’Emilia Romagna e più di 150 operatori dell’informazione.

Le scrivo in merito al suo articolo intitolato "Clandestini? Diversamente regolari", nel quale ha espresso le sue perplessità sulla nostra proposta di abolire dal lessico giornalistico alcuni vocaboli (clandestino, extracomunitario, vu’ cumprà, nomade, zingari), proponendo una serie di alternative che cercano di contrastare il pregiudizio e gli stereotipi: irregolari, rifugiati, richiedenti asilo, migranti, ambulante, venditore, rom, sinti.

Lei ha manifestato le sue riserve affermando che alcuni dei termini che abbiamo suggerito sono "troppo specifici". Dal nostro punto di vista il suo è un complimento, perchè pensiamo che le generalizzazioni alimentino l’ignoranza e il pregiudizio, e che ci sia bisogno di affrontare i temi delle migrazioni con precisione e proprietà di linguaggio.

L’idea da cui si è partiti per chiedere la messa al bando di alcuni termini dai ferri del nostro mestiere è proprio questa: il giornalismo che accomuna irregolari e richiedenti asilo sotto il generico marchio di "clandestini" ci sembra socialmente dannoso, e quindi chiediamo ai giornalisti lo sforzo necessario per accendere il cervello, imparare a valutare ciò di cui stanno scrivendo e scegliere caso per caso uno dei vocaboli più specifici ma anche più rispettosi che abbiamo proposto nel vademecum pubblicato sul sito della campagna.

Lei invece sembra preferire termini generici e approssimativi anche a costo di passare la linea di confine tra la cronaca rispettosa e la superficialità che alimenta il razzismo. E’ importante allora che a questo punto siano chiare non solo le adesioni alla nostra iniziativa, ma anche le posizioni come la sua, le adesioni alla "campagna invisibile" dei giornalisti che non hanno troppo tempo da perdere per scrivere in modo rispettoso, e che rivendicano come "ferri del mestiere" la velocità, la semplificazione, la superficialità, la genericità e il luogo comune delle frasi ormai entrate nel lessico anche se questo va a scapito della correttezza, del rispetto e dell’impegno contro la violenza verbale sempre pronta ad essere trasformata in violenza fisica per le strade.

Ridicolizzare le diverse posizioni è facile, e per farlo dalla nostra prospettiva le potrei dire che per comodità e semplicità, oltre ad annunciare senza troppi fronzoli "er tiggì pe’ e persone sorde" come lei ha suggerito nel suo articolo, potrebbe iniziare a definire extracomunitari anche gli svizzeri e gli statunitensi, e chiamare "clandestini" anche i cittadini di San Marino che entrano in territorio italiano per cercare lavoro senza permesso di soggiorno.

Ma al di là delle ridicolizzazioni che servono solo quando si hanno argomenti deboli, il succo della nostra proposta rimane immutato. Non si tratta di aderire a un bon-ton politically correct di matrice radical-chic.
Quella che chiediamo è una scelta di campo relativa alla professione: ora più che mai è importante capire chiaramente chi sceglie la semplificazione facile, al tempo stesso madre e figlia del pregiudizio razzista fatto di stereotipi, e chi invece prende la strada più difficile per raccontare una realtà complessa con un linguaggio all’altezza della situazione, utilizzando la lingua italiana nella sua varietà e nelle sue mille sfumature, che non saranno mai "troppo specifiche" se ci aiutano a capire meglio i processi sociali in cui siamo immersi.

Prendiamo atto del fatto che lei non ha troppo tempo da perdere e preferisce usare parole generiche, noi restiamo convinti che il rispetto delle persone inizia dal rispetto della lingua italiana e dei mille strumenti che ci offre per rappresentare situazioni e vicende umane molto diverse tra loro. Poi starà al lettore decidere quale di questi due approcci alla professione è quello che gli potrà restituire il ritratto più fedele della cronaca del nostro tempo.

Cordiali Saluti

Carlo Gubitosa

(30 marzo 2009)



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