30.10.08 – La vera battaglia comincia ora

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Ieri era l’86mo della Marcia su Roma. Oggi il Senato della Repubblica (ma forse bisognerebbe dire del Regno, considerando che siamo tornati a una sorta di regime monarchico, prima dell’avvento del costituzionalismo, in cui la legge è fatta dal sovrano), ha festeggiato la ricorrenza approvando il decreto 137; detto Gelmini. La manomissione della Scuola pubblica è compiuta, almeno a livello legislativo. La ministra ride, livida, davanti alle contestazioni che percorrono l’Italia; il suo principale ride, ancor più livido, e minaccia, pettoruto, nel suo nuovo look giovanilistico da buttafuori di nightclub. E mentre ritocca in su l’indice di gradimento che il popolo italiano gli riserba, stando ai sondaggisti da lui ingaggiati, ribadisce il concetto che la maggioranza va avanti per la sua strada, ma avverte, per la seconda volta in 48 ore, che la televisione pubblica rema contro, e non offre a quel medesimo popolo l’immagine serena, anzi gioiosa, e naturalmente laboriosa, che egli si aspetta e pretende venga data.
Sono arrivato a Catania, per un convegno, stamane. Giunge la notizia ferale dell’approvazione del decreto. Qualcuno mi mormora all’orecchio: è finita, non c’è più nulla da fare. Ribatto: la lotta comincia ora. E se molliamo adesso non sarà soltanto l’Università, il nostro luogo di lavoro, a essere messa sotto tutela, a essere disfatta culturalmente e finanziariamente, a vantaggio delle sedicenti fondazioni e scuole d’eccellenza di provata fede berlusconiana, et similia: ad esser sconfitta, dico, con enfasi, sarà l’Italia.
Esco dalla sala, Piazza dell’Università è gremita, Ragazzi e ragazze delle Superiori sotto il Municipio (uno dei più indebitati d’Italia, ma si sa: sono amici degli amici, e nulla li turba) gridano e si affollano. Altri studenti, qualche decina di metri più in là, seguono una lezione di fisica, seduti sulle pietre calde di una giornata che pare estiva. C’è speranza, mi dico: c’è ancora da sperare, e dunque, c’è ancora da combattere. La politica non si fa soltanto in Parlamento, e nelle riunioni di partito. La politica può scaturire dal basso, può essere generata dal disagio e dalla percezione della catastrofe. E questi ragazzi sembrano esserne consapevoli. Questa vicenda li farà maturare, ragiono dentro di me. Sembrano capire che se si molla ora saranno – saremo – non semplicemente battuti, ma disfatti. E con noi la scuola, l’Università, il Paese. I “facinorosi” crescono, insomma. E cominciano a turbare il sorriso del nuovo duce, che se ieri era solo increspato, oggi è diventato un ghigno funebre. Le vittorie possono rovesciarsi in sconfitte e le sconfitte preludere a vittorie. Lui, e i suoi, insistono: quattro fessacchiotti di studenti di sinistra ingannati dai soliti mestatori della Sinistra: i “cattivi pastori” di cui parlava il fascismo – quello che andò al potere il 28 ottobre 1922 – per convincere il popolo italiano che i moti del dopoguerra erano fittizi, organizzati dai “caporioni” socialisti che portavano il gregge, ossia la massa proletaria, sulla cattiva strada. Il “ragionamento” è ripreso, reiteratamente, da questo nuovo, modernissimo regime in progress, che festeggia oggi una nuova tappa verso lo scardimento dello Stato repubblicano, dei suoi servizi, dei suoi apparati istituzionali, e, prima di tutto, di quel che ad esso rimane di moralità. No, non è finita. La posta in gioco è assai più alta di quella, pur importantissima, rappresentata dall’Università e dalla Scuola. La posta in gioco è la democrazia: non come astratta forma di governo, ma come concreta esperienza storica faticosamente costruita con la caduta di quel regime andato al potere con la Marcia su Roma, il 28 ottobre ’22. Oggi, 29 ottobre 2008, comincia la vera battaglia contro. Che sarà anche una battaglia per. Per una idea di università e di scuola; per un’idea di società.
Angelo d’Orsi



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