30.10.08 – Scontri, violenze e vecchi proclami
"Una goccia nell’Onda" : il diario quotidiano dal movimento di Gaia Benzi, studentessa di lettere e filosofia all’Università La Sapienza di Roma.
La ricostruzione dei fatti è stata lunga, ma ormai sembra chiaro che quello di oggi è stato un evento – se non formalmente voluto – informalmente permesso, forse addirittura desiderato da chi in questi giorni ha pontificato sulla violenza di un movimento in realtà pacifico. Sono parole dure, ma credo di poterle ben argomentare, grazie soprattutto alle testimonianze raccolte nel pomeriggio.
Ore dieci: arrivo a piazza Navona – non senza difficoltà. Attraversando vicoli e vicoletti del centro m’imbatto in una lezione all’aperto del dipartimento di Antropologia: una cinquantina di persone sono sedute per terra e prendono appunti in silenzio, composte. Mi faccio strada fra decine di camionette e centinaia di agenti, per sbucare infine in una piazza ancora vuota. Mi accorgo sin da subito che la maggioranza dei partecipanti alla protesta ha meno di diciotto anni, tanta voglia di farsi sentire e tanta disorganizzazione. Sono ragazzini, allegri e determinati, ma pur sempre inesperti e senza un vero e proprio coordinamento unitario. Abbandonati al centro della piazza, due carretti mandano musica a tutto volume; uno dei due, scoprirò in seguito, sta lì a nome di Blocco Studentesco, movimento di estrema destra che negli ultimi due giorni si è accodato alle manifestazioni liceali. Uno degli slogan che va per la maggiore difatti recita: "Né rossi, né neri, ma liberi pensieri". Nessuno che prenda in mano il microfono per informare i presenti dell’esito della votazione, o per fare un discorso – uno qualsiasi.
Piano piano la piazza si riempie. Arrivano altri licei, ognuno con il suo carico di quindicenni elettrizzati. Sorrido al pensiero delle mie, di manifestazioni adolescenziali – all’epoca contro la Moratti. Urlano slogan e ridono e cantano tanto. Ballano. Ad un certo punto, sembra scoppiare un tafferuglio al centro della piazza, tutto interno alla manifestazione; ma dopo pochi minuti ritorna la normalità: nulla di che, forse qualche ballo troppo acceso, forse qualche insulto e qualche corsetta senza esiti. Mi siedo su un gradino aspettando il corteo degli universitari.
Ore undici e qualcosa: arriva la Sapienza, ma la piazza è piena, sembra quasi non ci sia spazio. Impegnata in una conversazione, rimando il momento in cui mi dovrò alzare e ricongiungermi alla facoltà. Così assisto da lontano alla seguente scena: gente che corre, grida, una gran confusione nel vicolo che sta alla mia sinistra – alle mie spalle, il senato. Dal camioncino invitano alla calma, a non correre; non si capisce. Dopo poco, ecco sbucare un’ambulanza; gli universitari si sono ormai inseriti nella manifestazione, occupando lo spazio lasciato vuoto dai liceali andati via poco prima. Tutto sembra tranquillo.
Mezzogiorno. Mi alzo, faccio un giro. Mi dirigo verso piazza delle Cinque Lune, giusto per vedere lì che aria tira; ho anche fame, forse prenderò qualcosa al bar. Ma non faccio in tempo a poggiare un piede sulla scalinata d’ingresso del locale che mi trovo circondata dai quindicenni di prima, stavolta impazziti, che urlano: "Correte, correte!" e sembrano trascinarmi nella direzione opposta. Un’amica mi tira per la giacca: "Guarda!", urla, e indica con la mano quelli che riconosco subito come l’incubo degli ultimi giorni.
Una ventina di energumeni, col volto coperto, coi caschi in testa, con mazze, catene, cinture, tirapugni, si fanno largo tra la folla seminando il panico fra gli studenti medi, che fuggono terrorizzati alla vista dello squadrone in assetto da guerra. Subito un cordone di universitari si frappone fra loro e altri studenti, ma dura poco. La gente scappa, ma non succede niente ancora per un po’. Finché, come previsto, scatta la guerriglia.
Per dieci minuti si assiste a una vera e propria battaglia campale, che non ha risparmiato né giornalisti, né ragazzini, né tantomeno oggetti: iniziata, sia ben chiaro, da chi a quella battaglia era venuto preparato, e con la netta intenzione di farsi valere. "Dobbiamo andarcene!", mi grida Francesca, e insieme cerchiamo Beatrice, persa nella mischia. Ci allontaniamo, e la ritroviamo tremante, quasi in lacrime, spaventata, scampata per un pelo ad un bestione che la inseguiva, sangue alla testa e bastone alla mano, con aria ben poco amichevole. Intorno a noi regna la confusione più totale, e se qualcuno al microfono del secondo carretto invita tutti a calmarsi, alzare le mani e dissociarsi da quel che sta accadendo, la maggioranza degli studenti è semplicemente atterrita da quanto ha appena visto. I più piccoli piangono, e si accasciano a terra; i più grandi pensano a calmarli, a farli sentire un po’ più al sicuro.
Ma è difficile. A mente fredda, ripensandoci bene, quello che è avvenuto oggi è stato tanto più grave quanto più si era sicuri di trovare persone impreparate e indifese, come gli studenti medi. Certo, tutti sottolineano il fatto che i primi agguati seri sono iniziati all’arrivo degli universitari; ma chi quegli agguati li ha subiti sono stati i licei.
Volendo sopravanzare tutti, i nuovi arrivati hanno aggredito alcuni ragazzi che stazionavano accanto alle transenne all’ingresso di piazza Navona. I liceali hanno provato a parlarci, spiegando loro che davanti sarebbero potuti andare a turno, e per tutta risposta hanno ricevuto catenate e cascate in testa. Allora gli universitari hanno cominciato a far sfollare gli altri, mentre già un folto gruppo di persone correva a destra e a manca per allontanarsi dal vicolo, e si è generata molta confusione: ed ecco le grida che ho avvertito da lontano.
Ma già altri atti intimidatori avevano preceduto quest’episodio, a volte sedati dagli agenti, a volte no. Alcuni ragazzi di Roma Tre avevano avvertito la polizia già in mattinata che c’erano, infiltrati, alcuni violenti, manifestatisi apertamente nei giorni scorsi; poliziotti in borghese erano difatti in giro per la piazza, ma nulla più: le intimidazioni sono proseguite – quasi – indisturbate.
Quando la violenza si è poi scatenata dall’altra parte della piazza, la polizia si è ben guardata dall’intervenire subito. Nella diretta di Skytg24 era evidentissimo come gli agenti, in tenuta anti sommossa, si stessero limitando a girare intorno al cerchio degli scontri, allontanando chi da quel cerchio uscisse fuori per sbaglio, ma non sfiorando nemmeno in punta di manganello chiunque fosse al suo interno. Solo dopo un bel po’ che gli scontri proseguivano, si sono gettati nella mischia e hanno separato le due parti.
Ore dopo, chiacchierando con i poliziotti, insistendo sul loro "ritardo" inspiegabile, un universitario di Roma Tre mi riferisce di una mezza confessione strappata loro, sulla non troppa fretta che avrebbero dovuto avere a sedare eventuali degenerazioni violente. Ma è solo una voce, e la riporto come tale.
Un fatto è, invece, che gli studenti di Blocco studentesco hanno reagito con violenza alla violenza dei nuovi venuti, ma entrambe le parti sembravano essere molto ben attrezzate. Tuttavia non si capisce bene chi siano questi venti scimmioni che si sono presentati alla protesta senza invito: non sembravano nemmeno studenti, a dir la verità, ma uomini di almeno trent’anni – così mi riferiscono le prime linee, che seppur per poco li hanno visti in faccia. Giustamente dunque rettifico quanto ho dichiarato oggi nell’intervista, identificandoli con studenti di Forza Nuova – mentre non sono più sicura, ma anzi navigo nel dubbio.
Chi sono costoro? Sono esponenti dell’estrema destra, come si presume? O dell’estrema sinistra, come sostiene il Blocco? Ma poi, in fondo, ha importanza? Nella pratica delle future mobilitazioni, no: so
no criminali e disturbatori, dei veri e propri delinquenti che ci stiamo organizzando per isolare – qualora dovessero ripresentarsi – con un servizio d’ordine pacifico ma sempre presente; e, su richiesta dei licei di organizzare più manifestazioni in comune, stiamo pensando di mettere a disposizione qualcuno dei nostri – più grande, più esperto – anche per i loro cortei.
L’effetto più avvilente e devastante difatti è proprio questo: la paura – soprattutto fra i più piccoli e fra i loro genitori. Immagino del resto che fosse nelle intenzioni di chi ha organizzato questa "gita" il generare panico, sfiducia, terrore, in modo tale che la prossima volta, invece di scendere in piazza, lo studente si dica: meglio restarsene a casa, al sicuro; e se poi tornano e succede di nuovo, chi me lo fa fare di prendermi le botte? Oggi sono finiti all’ospedale anche dei ragazzini, non dimentichiamocelo.
Al di là del resoconto che ne daranno stampa e televisione, resta importante sottolineare che: non è stato uno scontro politico fra studenti; non è stato uno scontro interno al movimento, bensì esterno; è avvenuto sotto gli occhi quantomeno titubanti delle forze dell’ordine. E la tranquillità con cui i fermati sono saliti sulle camionette potrebbe dare spazio a tante altre riflessioni.
Ognuno può trarre le conclusioni che desidera; ma la domanda che bisognerebbe porsi, a mio parere, è in primo luogo la seguente: da tutto questo, chi ci guadagna?
Gaia Benzi
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