31.10.08 – Un paese che si ribella e riscopre l’impegno
"Una goccia nell’Onda" : il diario quotidiano dal movimento di Gaia Benzi, studentessa di lettere e filosofia all’Università La Sapienza di Roma.
Che sarebbe stata una grande manifestazione, lo sapevano tutti. Che sarebbe stata immensa, invece, lo si sperava, ma nessuno ci avrebbe messo la mano sul fuoco.
Invece è stata epica, sconfinata, madornale. E lo dico con tutta la parzialità della partecipante. Quando gli universitari hanno raggiunto Termini, alle undici e mezza, la testa del corteo era a piazza del Popolo già da un’ora; e noi avremmo impiegato un’altra mezz’ora abbondante prima di imboccare via Cavour. Avevamo in programma di distaccarci comunque dallo spezzone dei sindacati, ma anche qualora avessimo voluto accodarci del tutto non avremmo potuto, tanta era la gente. Incredibile, chi non l’ha visto non può immaginare. E’ come se Roma intera fosse scesa per le strade e avesse inondato ogni cosa, avesse riempito ogni vicolo, ogni slargo di grida, colori, di rabbia e indignazione e voglia di lottare.
E riporto con orgoglio la generale serenità di tutti noi: forti del numero e delle nostre convinzioni, abbiamo sfilato guardandoci intorno, ma senza ansia. Piazza Navona sembrava un episodio di un’altra epoca, di un altro mondo; nulla a che vedere con la grande prova di responsabilità, di pacifismo, di maturità e coscienza civica che abbiamo dato oggi. Nel nostro essere presenti, nel nostro stare lì a ribadire il diritto di ciascuno di noi ad essere parte attiva della società civile, della democrazia italiana, del dibattito politico e culturale di questo paese, abbiamo dimostrato a tutti quelli che volevano intimidirci che la forza della ragione, quando è consapevole di sé stessa, non ha rivali che riescano a fermarla.
Chiacchierando con una giornalista, ieri, mi ero sentita dire, un po’ stupita: "Voi siete la più grande forza riformista presente in questo momento nel panorama italiano. E’ bene che ve ne rendiate conto". Lusingata, ma confusa, lì per lì non avevo colto le radici di quest’affermazione. Oggi, invece, ripensando alle ore spese a fianco di bambini, genitori, insegnanti, precari, lavoratori e studenti come noi, mi trovo a pensare che forse aveva ragione. Forse è così, forse potremmo rappresentare per l’Italia una speranza, la speranza che, spinti da necessità reali, la si smetta di fare di politica propaganda e si ritorni a discutere attorno a un tavolo per trovare delle soluzioni.
Non si è risvegliata soltanto una generazione: noi giovani ci stiamo portando appresso le nostre famiglie, i nostri cugini, i vicini di casa, i nostri padri e le nostre madri, i disillusi di una volta e gli assopiti di ieri, e li stiamo trascinando alla riscoperta della bellezza dell’impegno attivo. Una bellezza semplice, come semplici sono i diritti che stiamo rivendicando. E improvvisamente casa, lavoro, giustizia, istruzione, non sono più cose che dovremmo avere, ma cose che esigiamo, qui e ora.
Io e gli altri eravamo commossi. Non solo le saracinesche erano tutte alzate, i negozi tutti aperti, i gestori disponibili; non solo la gente si affacciava dai balconi. Ma addirittura faceva sentire la sua voce con cartelli caserecci, con su scritto: "Siamo con voi", "Non mollate". E al vederli la folla esplodeva in un boato di gioia e liberazione, e quasi ci uscivano le lacrime nello scoprire che le persone, quando vedono combattere una battaglia coraggiosa, non restano indifferenti, ma si schierano.
Oggi ho visto, con i miei occhi, cos’è che fa paura a questo governo. Se questa nuova coscienza si espandesse, se le persone che hanno assistito al maremoto di oggi, guardando il telegiornale, si rendessero conto che mente, se ascoltando i politici cominciassero a trovare insopportabile la discrepanza fra la realtà televisiva e la realtà reale, se iniziassero dunque a vedere le cose con i loro occhi, come noi li invitiamo a fare, cosa ne sarebbe dei castelli di carta su cui fonda il suo consenso? Cosa succederebbe alle sue bugie sempre più spudorate, alle sue leggi vergogna, alle sue manovre assurde? Se le persone iniziassero ad aver voglia di alzarsi, aprire la bocca, ma soprattutto se ricominciassero a pensare che farlo serve a qualcosa, e non è sempre indifferente, cosa resterebbe dei loro metodi autoritari, delle loro imposizioni senza dibattito?
La cultura che basta al cittadino è quella necessaria per tracciare una ics sopra un disegnino a stampo: questa è l’idea di libertà e di democrazia che ci hanno venduto. Ora basta, però; anche il più stupido si rende conto che il re sbaglia, quando gli ordina "sii felice", ma con la pancia vuota.
Giulia ed io siamo distrutte mentre torniamo alla Sapienza, dopo un assedio di ore al ministero dell’Istruzione. Fianco a fianco, camminiamo ognuna assorta nei propri pensieri. "Sai", mi dice ad un certo punto, con naturalezza, "io voglio far cadere il governo". Lo dice così, senza entusiasmo, senza fomento; solo con fredda determinazione. "Già", sussurro, e poi ridiamo di quella che sembra una bella battuta. Ma continuiamo a camminare.
Ed io continuo a perdermi nell’idea stupenda di un paese che si ribella, senza violenza, alla violenza altrui; di un popolo che insegna al proprio parlamento il significato della parola "rappresentanza"; di un’Italia che esplode sotto la pressione crescente della nostra onda e, giorno dopo giorno, si riappropria della sua dignità.
Gaia Benzi
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