7 settembre 2008 – Pancho Pardi: Per gli ultrà del dialogo a Berlusconi tutto è concesso
di Pancho Pardi
Paolo Franchi sul Corriere lamenta che Veltroni non possa procedere sulla strada del dialogo sulla giustizia perché è impacciato non solo dal giustizialismo di Italia dei Valori ma anche dal filogiustizialismo di una parte cospicua del suo partito, come dimostra l’ovazione a Di Pietro alla Festa fiorentina del PD.
Dalla versione garbata di Franchi a quella più irruenta di altri commentatori, colpisce l’accettazione incondizionata dell’asimmetria della politica italiana. A Berlusconi nessuno dice mai sul serio che deve dialogare. Lui può fare quel che gli pare, sia quando è all’opposizione (spallate, family day, manifestazioni oceaniche) sia quando è al governo (leggi ad personam a raffica, annichilimento dell’interesse pubblico da parte di pochissimi interessi privati). Può rifilare ai cittadini contribuenti la gigantesca fregatura della bad company mentre la polpa buona dell’Alitalia viene data ai capitani coraggiosi cooptati nel mondo meraviglioso dei conflitti d’interesse, delle tariffe dorate e dei futuri affari immobiliari dell’Expo milanese. Può ricusare il suo giudice naturale solo perché non ha apprezzato la sua pessima politica giudiziaria. Può sostenere che i magistrati sono la metastasi della democrazia. Può ridurre, come ha fatto in questo scorcio di legislatura, le Camere elettive a strumenti di mera esecuzione della volontà governativa, ovvero della volontà sua.
Invece con Berlusconi si deve dialogare. Del resto il povero Veltroni l’aveva fatto subito. Quando Fini si rifiutava di entrare nel PdL, Veltroni invece di assistere dalla finestra allo scannamento reciproco dei due massimi esponenti si sbilanciò nel dialogo solo con il monopolista e dichiarò che Berlusconi era l’unico interlocutore per la riforma della legge elettorale e per le riforme istituzionali. Ottenne l’unico risultato di rilanciare un leader in bilico.
Non si può dire che il dialogo gli abbia portato bene. Il leader in bilico è tornato in sella, ha vinto le elezioni e non mostra alcuna gratitudine per chi lo aveva eletto interlocutore unico.
Ora vuole stravolgere l’assetto della giustizia a suo esclusivo vantaggio: cancellare l’obbligatorietà dell’azione penale e dare al Parlamento (quindi sottrarre alla magistratura) la primazia nella sua programmazione, separare le carriere dei giudici e dei pubblici ministeri (per sottomettere questi ultimi al governo), cambiare il Consiglio superiore della magistratura per ridurvi in minoranza la magistratura stessa. Tre misure che congiurano verso un solo obbiettivo: stravolgere l’equilibrio tra i poteri costituzionali in un senso tutto a favore del potere esecutivo, ovvero del governo: del potere suo.
Dialogare su questa operazione significa solo accettarne presupposti, logica e finalità. Quale vantaggio i cittadini ricaverebbero dall’alterazione profonda dei rapporti tra i poteri costituzionali è cosa che anche Paolo Franchi potrebbe chiedersi.
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