8 luglio, la lettera aperta di Mariella Gramaglia e la risposta di Flores d’Arcais

MicroMega

Caro Paolo,
ti scrivo d’impulso, per la stima che porto alla limpidezza della tua infaticabile testimonianza civile, dopo un punto di non ritorno: la manifestazione di piazza Navona.
Qualcosa deve inevitabilmente cambiare nelle strategie e nelle forme di comunicazione di coloro che hanno a cuore la democrazia.
Lo stile innanzi tutto: la compostezza, il ragionamento, addirittura il silenzio collettivo, come forma estrema di testimonianza, si addicono meglio dei fescennini al lutto che portiamo per la decadenza del nostro paese.
Bada che non mi sfuggono le radici della furia e dello sberleffo: anni di impotenza della sinistra, imbarazzanti competizioni personali, miserie e trasformismi, hanno reso difficile, talvolta quasi patetico, lo sforzo, cui io mi sono sottoposta a lungo, di distinguere fra ceto politico e rappresentanti del popolo. Nella società dello spettacolo tutto si confonde e si consuma: non sappiamo più se le parole estreme vengano davvero dal tumulto dello sdegno, oppure servano a “bucare il video”, magari ad alimentare inedite carriere.
Potremmo decidere innanzitutto una distinzione? Che i cittadini facciano i cittadini e i comici i comici? Non per escludere nessuno dalla sfera pubblica, al contrario per accogliere tutti su un piano di parità, perché prendano la parola basandosi sul proprio senso di responsabilità e sulla percezione dei propri limiti. Nessuno può essere esente dalle critiche più severe in democrazia, con l’unica delicatissima eccezione del Presidente della Repubblica, garante di quei brandelli di patto sociale che ancora ci uniscono. Al contrario solo i cittadini attivi possono curare la nostra società malata e svolgere un ruolo di supplenza e di resistenza, magari lungo di anni. Forti, come tu sei sempre stato, del coraggio della loro indipendenza dalle lusinghe e dagli ottundimenti che derivano dall’appartenenza alla “casta”. Tutto ciò impone autorevolezza, limpida riconoscibilità della testimonianza. Troppe energie occorrono per tenere viva una fiaccola per le prossime generazioni: continuare a nutrire la democrazia di valori, di equità sociale, di calore solidale, malgrado i brividi xenofobi che percorrono il paese, battere la destra, ridisegnare un centro-sinistra degno di fiducia. Troppe per sprecarle nel cordoglio rabbioso, nella partecipazione allo sport nazionale della barzelletta da bordello.
Potremmo decidere una seconda distinzione? Che nello spazio a difesa della democrazia venga accolto a pieno titolo chi non disegna cesure nella sfera dei diritti? Non può esserci una dimensione “mega”, quella delle tv, dei processi a Berlusconi, del “lodo Alfano”, appannaggio del movimento, e una dimensione “micro”, quella della lotta contro la raccolta delle impronte digitali dei piccoli rom, confinata nell’agenda di quel che resta della sinistra radicale. Ho visto con piacere il rilievo che hai dato alla testimonianza di Alexian Santino Spinelli, ma ho colto sensibilità tiepide in tema di xenofobia nel mondo del grillismo e dell’Italia dei valori.
Potremmo, infine, lasciare in ombra gli esercizi d’alcova dei potenti? Intendimi, non voglio parlare in nome di un’omertà femminile di maniera. Nulla può ferire di più un persona come me del sospetto, ancorché non provato, che chi dovrebbe spendere tutta se stessa per rappresentare la forza femminile al massimo del prestigio istituzionale, sia depositaria dell’incarico in forza di propensioni cortigiane. Ma di nuovo la favola, pur nei suoi tratti estremi, parla di molti. Non hanno profittato quasi tutti di leggi elettorali che hanno espropriato i cittadini della possibilità di scegliere i propri rappresentanti per promuovere parenti e sodali, figurine d’occasione e specchietti per ogni tipo di uccellino di passo? Ne è passato del tempo dal periodo in cui le donne più autorevoli dei partiti – almeno di quelli di sinistra – potevano dire la loro sulle candidature femminili. Ora sono solo gli uomini a parlare in proposito. Che anche in questo esercitino un potere che segue le infinite vie dei vizi personali è parte del grande quadro. Parte della battaglia politica che ci aspetta. Non merita la miniatura oscena della misoginia.
Insomma, caro Paolo, ho l’impressione che dobbiamo prepararci a una lunga ascensione in montagna, non a una bisbocciata fuori porta. E per le ascensioni in montagna bisogna organizzarsi bene, pensare a cosa mettere nello zaino, a cosa appesantisce e a cosa è indispensabile, scegliere con cura i compagni, che conoscano i pericoli dei sentieri, che non mollino la corda, che non corrano avanti per piantar la bandiera.
Io continuo a contare su di te.
Mariella Gramaglia

Cara Mariella, alcuni giorni fa il quotidiano che ci ospita pubblicò una prima pagina in cui campeggiava una gigantesca foto del presidente Napolitano su cui era sovraimpressa la scritta “L’ammorbidente”. Davvero il Napolitano-Morfeo di Beppe Grillo è attacco più pesante? Il Manifesto, quel giorno, ha esercitato seria critica politica o “bisboccia fuori porta”? La prima, a mio parere. I cento maggiori costituzionalisti hanno dimostrato oltre ogni ragionevole dubbio il carattere anticostituzionale del lodo-Alfano, dunque logica vuole (LOGICA, quanto di più sobrio, irrinunciabile, e opposto a ogni “bisboccia fuori porta”) che delle due l’una: o i costituzionalisti hanno ragione, e allora il “custode della Costituzione” non deve firmare l’obbrobrioso lodo. Oppure Napolitano sarà nel giusto a firmare, e allora hanno torto marcio i costituzionalisti, fra i quali molti ex-presidenti della suprema corte, che dunque è stata per anni sentina di ignoranza. A me sembra vera la prima ipotesi.
Quanto alla tua seconda distinzione, riconosci tu stessa che tanto piazza Navona quanto il sito www.micromega.net hanno dato tutto il rilievo ad Alexian Spinelli, rappresentante del popolo Rom. E la gran parte degli oratori il giorno prima si era fatto prendere le impronte in segno di solidarietà. Le “sensibilità tiepide in tema di xenofobia” le combatteremo sempre, ma non ne ho visto traccia a piazza Navona (e invece non ho visto il fiore dei dirigenti Pd a farsi prendere le impronte insieme a Camilleri, Ovadia, Celestini, e tanti altri “di piazza Navona”).
Infine, dovremmo davvero “lasciare in ombra gli esercizi d’alcova dei potenti?”. Io sono un libertario, penso che in fatto di sesso tra adulti consenzienti sia lecito tutto e di più e con chiunque. Trovo insopportabile la “pruderie” sessuofobico-cristiana dell’elettorato americano che chiede a Bill Clinton se ha avuto una relazione extra-coniugale. Clinton non doveva mentire (ed essere perciò perseguito per spergiuro), doveva avere il coraggio di rispondere “sono fatti miei”.
Ma se, in cambio di sesso, il politico eroga alla stagista, o velina, o chicchessia, qualche “altra utilità” che non gli appartiene in via privata ma che costituisce risorsa pubblica, questo non sarebbe più un privato “esercizio d’alcova” ma un (mis)fatto di rilievo enormemente pubblico, forse anche criminoso, forse la forma di peculato più grave che si dia.
Insomma, se l’imperatore Caligola ama i cavalli, sono fatti suoi. Ma se in forza di tale passione nomina un cavallo senatore, questo diventa un fatto pubblico. E rispetto ai tempi di Caligola, la democrazia dovrebbe essere con i potenti alquanto più esigente.
Ma io capisco benissimo, cara Mariella, il senso partecipe e solidale della tua preoccupazione. Dobbiamo trovare il modo di essere efficaci anche in questi tempi di democrazia dimezzata, in cui è “quasi patetico lo sforzo di dist
inguere fra ceto politico e rappresentanti del popolo” e insomma, fuor di perifrasi, (quasi) tutti i politici sono sempre più eguali tra loro.
Qui, purtroppo, la responsabilità dei media diventa definitiva. Nanni Moretti spara a zero sulla manifestazione e i suoi organizzatori (Furio Colombo, Pancho Pardi ed io) e giustamente ottiene le prime pagine: la notizia c’è. Dario Fo difende toto corde la manifestazione e, quasi ovunque, non ha nemmeno lo spazio di qualche riga nelle pagine interne. Nanni è certo uno dei maggiori registi del paese, ma in fondo Dario Fo è uno dei sei nobel italiani per oltre un secolo di letteratura. Se invece di un ragionamento sobrio e appassionato in difesa della manifestazione, avesse attaccato Moretti con la sua stessa apodittica virulenza, forse qualcosa sarebbe trapelato sugli schermi e i giornali.
“La compostezza, il ragionamento, addirittura il silenzio collettivo, come forma estrema di testimonianza”, dici tu. Di silenzio collettivo ce n’è fin troppo, direi, grazie ai media che – tranne le ovvio ed esigue eccezioni – sempre più autolimitano la loro libertà (incombe una legge che manderà in galera i giornalisti, hai sentito qualche voce di sciopero? Eppure è in gioco l’essenza stessa del giornalismo, la sua ragion d’essere), e grazie all’ombra di un’opposizione.
Compostezza e ragionamento? Senz’altro, è quello che MicroMega esercita da quando è nata ventidue anni fa. Cerchiamo pure, insieme, altre forme di azione politica efficace, visto che ogni novità si consuma in fretta, sapendo però che il vero pericolo nei tempi bui è introiettare la censura, e per paura di isolamento, di fronte a opposizioni deboli e corrive, dare spazio anche noi alle sirene della “servitù volontaria”.
Con un grande abbraccio
Paolo Flores d’Arcais

(13 luglio 2008)



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