8 per mille, la Corte dei Conti e le mani in tasca alla Cei
Maria Mantello
La Corte dei Conti ha denunciato con forza l’inadempienza d’informazione sui meccanismi dell’8 per mille. Un favoritismo di Stato poco chiaro e perverso che procura incassi miliardari alla Chiesa curiale. Il problema centrale resta però la genuflessione della classe politica al Vaticano. Da tutto questo si esce davvero fuori eliminando il Concordato.
Poco più di 3 italiani su 10 firmano per l’8 per mille alla Chiesa cattolica. Eppure questa incassa quasi il 90% dell’intero gettito miliardario grazie al truffaldino meccanismo – introdotto ai tempi di Craxi – delle ripartizioni in percentuale di chi lascia indestinato l’8‰: «in caso di scelte non espresse da parte dei contribuenti la destinazione si stabilisce in proporzione alle scelte espresse», recita l’art. 37 della legge 222/ 1985, che permette alla Chiesa cattolica di fare l’asso pigliatutto.
Adesso la Corte dei Conti con la delibera 16/2014 (depositata il 19/11/2014), ha acceso i riflettori sul foraggiamento statale pro Vaticano, che gli italiani per lo più subiscono, visto che lo Stato non li informa su meccanismi e destinazioni, come ad esempio la «possibilità di destinare risorse per l’edilizia scolastica, tema molto sentito dai cittadini».
Chi firma per lo Stato, pensando di incrementare l’azione di assistenza pubblica, nella maggioranza dei casi non sa che questi denari vengono dallo Stato stornati spesso e volentieri alla chiesa cattolica per cerimonie di beatificazione, viaggi pontifici, e quant’altro. «Finalità – segnalano dalla Corte dei Conti – antitetiche alla volontà dei contribuenti». Così, si determina una «decurtazione, contraria ai principi di lealtà e di buona fede», dove «sono penalizzati solo coloro che scelgono lo Stato e non gli optanti per le confessioni, le cui determinazioni non sono toccate, cosa incompatibile con il principio di uguaglianza». In sostanza, sostiene il supremo organo di controllo dei Conti dello Stato, non è solo un tradimento della fiducia dei cittadini, ma anche della più elementare regola democratica: l’uguaglianza di fronte alla legge.
La Sezione centrale di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato della Corte dei Conti, quindi, denunciando lo smistamento di «molte risorse verso enti religiosi», «l’assenza di controlli effettivi e di trasparenza sulla destinazione reale delle risorse», «l’erogazione “a pioggia” ad enti, spesso privati» ha preso una posizione forte, che dovrebbe sollecitare lo Stato quanto meno a rivedere la materia. Ma dubitiamo che questo accada, vista la diffusa e strutturale defezione di laicità da sindrome di sudditanza governativo-parlamentare ai desideri vaticani, pertanto sospettiamo che il campanello d’allarme della Corte dei Conti verrà presto silenziato.
Tanto più che, mentre i politici nostrani sembrano nel migliore dei casi afasici quando si tratta di toccare gli interessi Vaticani, la Cei è prontamente intervenuta dalle colonne del suo quotidiano l’Avvenire (29/11/2014) per accusare la Corte dei Conti di «giudizi politici sorprendentemente netti e orientati da uno spirito anti-religioso, con una curiosa forma di comunicazione "polemica"».
Un avviso ai naviganti del Transatlantico e di Palazzo Chigi, affinché si isolino le rimostranze dei giudici contabili e si lascino le cose come stanno. A detta dei vescovi, l’8‰ sarebbe cosa buona e giusta: «sistema "inclusivo" che soddisfa un doppio interesse: delle religioni a svolgere con serenità la propria missione a vantaggio dell’intera popolazione, e dello Stato a consolidare il clima di collaborazione con le religioni, nell’interesse del Paese».
Vorremmo sperare ancora in qualche guizzo di orgoglioso senso dello Stato da parte dei politici, ma purtroppo siamo pessimisti. Così si continuerà a miracolare la Chiesa, lasciando mano libera alla propaganda vaticana che con i suoi suadenti spot pubblicitari vorrebbe far credere che vada tutto in carità.
Ma la virtualità non è la realtà, e se si fosse informati, si scoprirebbe che proprio le opere caritative sono il fanalino di coda nella destinazione da parte della Cei degli incassi da 8‰, che vengono impiegati in grandissima parte per il mantenimento e la gestione degli apparati clericali.
Vale appena ricordare i dati degli ultimi due anni. Nel 2012, dei 1.148.076.594,08 assegnati, ben 843.076.594.08 sono stati destinati al mantenimento del clero e alle spese di culto (catechesi, case canoniche, tribunali ecclesiastici, ecc.), e solo 255.000.000 sono stati impiegati in opere di carità e solidarietà sociale. Nel 2013, della quota assegnata (è in leggera flessione) di 1.032.667.596, sono stati stanziati per spese di culto e mantenimento clero ben 802.667.000, lasciando a quota 240.000.000, ovvero appena il 23% del totale, le opere di carità.
Ecco allora, che non è più tollerabile che gli italiani non sappiano come stanno le cose! La democrazia è questione di cittadinanza consapevole e attiva. Una politica alta, al di sopra e non sotto i confessionalismi. Per l’interesse del Paese, i cui interessi non è detto che collimino con quelli della Chiesa cattolica.
(1 dicembre 2014)
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