9.02.09 – Pietà l’è morta
Castelfranco Veneto. Un gruppo di insegnanti, di studenti, di professionisti, di pensionati attivissimi, ha creato un’Associazione (“Cittadini/e per la pace”). Volontari dell’impegno, appassionati della milizia intellettuale, piccoli eroi dell’azione culturale volta a resistere alla marea neo-oscurantista del Veneto già “bianco” e ora drammaticamente percorso dai lanzichenecchi della “Padania”. Conferenza su un tema classicamente storico: La guerra che continua nel dopoguerra: combattentismo, arditismo e nascita del movimento fascista. Una sera inclemente di pioggia. La sala della Biblioteca comunale è strapiena. Si cercano sedie, si rimediano quelle della sezione bambini; alcune ragazze, addirittura, si tengono in braccio, reciprocamente, a turno. Si parla del passato, ma uno spettro aleggia nella sala: quello del nuovo fascismo, il telefascismo berlusconiano, che sembra evocare, mutatis mutandis, taluni tratti del fascismo storico, a cominciare dal culto del Capo, dalla sua sete inesauribile di potere, dalla sua esigenza di apparire, dalla sua megalomania, dal suo disprezzo per il Parlamento; e dall’abbinamento tra uso della violenza (da Genova sino a fatti recenti; dalle sevizie in celle delle questure inflitte a prostitute, o comunque extracomunitari, e non solo; fino alla mano dura usata con i manifestanti un po’ dovunque, da Pomigliano d’Arco alla Val di Susa). Un po’ di cupezza si percepisce nelle parole di chi interviene nel dibattito e ancor più nei silenzi preoccupati degli altri, davanti alla ricostruzione storica che propongo, che non ha bisogno di proporre esplicite analogie. Esse affiorano spontanee nella testa degli astanti.
Sono espliciti i raffronti, invece, tra quella temperie storica e la presente, il giorno dopo, a Biella, dove un’altra associazione, i “Nuovi Partigiani della Pace”, ha organizzato un ciclo, che a differenza di quello degli amici veneti, è decisamente sull’oggi, con un tema specifico, anche se generico: Attualità del pensiero antifascista. Affronto la questione, che già si è più volte materializzata in questo blog, del passaggio in atto dalla democrazia alla postdemocrazia, e della lunga marcia storiografica, poi ideologica e giornalistica che ha visto il senso comune degli italiani trascorrere, con una sorta di beata indifferenza, dall’adesione ai princìpi dell’antifascismo all’anti-antifascismo.
È fosco, et pour cause!, il quadro che delineo agli ascoltatori: numerosi, anche qui, in un sabato pomeriggio: gente che invece di fare lo shopping o andare al cinema o a spasso, si reca a sentire conferenze e le anima con passione nei dibattiti che ne seguono. Parlo di un itinerario, a partire dalla metà degli anni Settanta (ricordate l’Intervista sul fascismo, di Renzo De Felice?), toccando un momento decisivo dieci anni dopo, quando ancora De Felice, in un’intervista a Giuliano Ferrara (!), sul «Corriere della Sera», dichiara ormai obsolete le disposizioni finali e transitorie della Costituzione, quelle vietanti la ricostituzione del Partito fascista, in qualsivoglia forma e denominazione. E più in generale, come ribadì qualche giorno dopo in un dibattito tv, sempre condotto da Ferrara, decretò la fine della pregiudiziale antifascista, e l’inattualità dell’antifascismo stesso. Il percorso storiografico era ormai divenuto una marcia politica, che fu suggellata a metà degli anni Novanta, poco prima che De Felce stesso morisse, dal libello Il rosso e il nero (libro intervista di Pasquale Chessa), una sorta di atto di guerra alla tradizione antifascista, da lui sprezzantemente bollata come “vulgata antifascista”, espressione poi insistemente ripresa fino alla noia dai suoi pallidi epigoni, Galli della Loggia per tutti.
L’attacco all’antifascismo era intanto divenuto, con la volgarissima strumentalizzazione dell’importante opera di Claudio Pavone (Una guerra civile, 1991), attacco alla Resistenza, al suo significato storico, al ruolo politico e militare da essa svolta, che venivano sminuiti o addirittura un po’ alla volta rovesciati: i partigiani furono pochi e folclorici, del tutto irrilevanti sul piano militare…e così via, fino ad arrivare, con il decennio seguente, alla ripresa in pieno dei peggiori luoghi comuni della pubblicistica neofascista dell’immediato dopoguerra. Ossia, la criminalizzazione dei resistenti, che giunse poi al grottesco con la spazzatura di Pansa.
In realtà, come immediatamente aveva colto Alessandro Galante Garrone, nei tardi anni Ottanta, il vero bersaglio non era storiografico, ma politico; ed era rappresentato non dalla Resistenza in sé, bensì dalla Costituzione che da essa fu generata, e che in questi giorni bui, una vera e propria “notte della Repubblica” l’autocrate (che già in passato la definì “sovietica”) ha decretato, con temeraria improntitudine, “opera di filosovietici”.
A Biella come a Castelfranco, insomma, è emerso nella sua luce cruda, il tema della postdemocrazia, che è un processo in corso a livello europeo, ma che in Italia propone un’anomalia gigantesca, determinata da un dato semplice quanto macroscopico: il presidente del Consiglio è a capo di un impero finanziario e mediatico, secondo modalità che non si trovano in nessun altro Paese. Si aggiunga che tra le tante leggi personali che egli ha fatto approvare da un Parlamento di fantasmi (quasi tutta l’opposizione) e di servi (i “suoi” deputati, che egli tratta come si trattano, anzi come si trattavano, dipendendi stipendiati suscettibili di licenziamento), ve n’è una – unica al mondo – che rende improcessabile il primo ministro per qualunque crimine egli commettesse, anche in flagranza di reato. Legge regolarmente controfirmata dal Presidente della Repubblica, che, come sappiamo, nelle ultime ore, ha battuto un colpo, dimostrando di essere ancora in vita e di ricordarsi del suo ruolo di supremo garante della Costituzione.
Sul caso Eluana c’è poco da dire: è stato detto tutto. Ma un piccolo codicillo non sarà superfluo. Il diritto di Eluana a morire, ossia a rifiutare quel trattamento che la tiene in uno stato di vita artificiale, mentre è accertata la sua morte cerebrale, è sancito da un articolo della Costituzione, l’art. 32. E, per giunta, esistono sentenze della Magistratura, in particolare quella della Corte di Cassazione, che sottolinea il diritto della Englaro, esercitato da chi ne è tutore ai sensi di legge, ossia il padre, di rifiutare ogni accanimento sul suo corpo, che è una inutile, e spaventosa, tortura (sottoscrivo parola per parola quanto ha scritto Paolo Flores su questo spazio), per lei, e per i familiari che sgomenti, quanto dignitosi, assistono a una “sospensione di vita” che dura da 17 anni. Ma pietà l’è morta, per il papa, i suoi innumerevoli pasdaran (e poi si biasima l’integralismo, pensando sia islamico!), ma pure per gli esponenti delle forze politiche della destra che hanno inscenato una disgustosa appropriazione di quel corpo giacente inerte. E osano parlare di partito della vita… Il “rovescismo” non è solo storiografico, insomma. Nondimeno, anche in questo caso, dietro il cinismo abietto di Berlusconi, dei forzitalioti, dei leghisti, dei postfascisti e dei “teodem”, sotto forma di tentato spostamento del baricentro del potere dal Quirinale a Palazzo Chigi, si delinea un forsennato attacco alla Carta Costituzionale.
Insomma, sono vent’anni che ci stanno provando, a smantellarla quella Carta, che, come ha detto un partigiano a Biella, possono anche stracciare e gettarne i pezzi a terra, ma essa
rimane. O meglio – preciso – rimarrà, soltanto se noi lo vorremo e la difenderemo fino all’ultimo respiro. Queste piccole esperienze di provincia – Biella e Castelfranco, non prime, non ultime tappe del mio inesausto vagare sperando di trovare segnali che incoraggino a sperare, e magari di aiutarli a rafforzarsi – mi infondono una pur minima speranza: qualche forma di resistenza e di azione positiva è in atto, e risponde evidentemente a un bisogno diffuso. Di quella parte, minoritaria, ma non irrilevante, e forse crescente, di persone che si ribellano alla prospettiva di essere riportate alla condizione di sudditi, magari appagati dall’essere in lista d’attesa per essere chiamati alla Corrida o ad Amici.
Angelo d’Orsi
MicroMega rimane a disposizione dei titolari di copyright che non fosse riuscita a raggiungere.