A chi appartiene la nostra vita? Il diritto all’eutanasia e il libro di Flores d’Arcais
Angelo Cannatà
La sentenza della Corte Costituzionale è attesa per oggi: la legge che colpisce l’aiuto al suicidio sta per essere abolita. Non ci saranno sorprese, perché un codice penale ormai datato, intellettuali coerenti, e l’opinione pubblica più sensibile spingono in questa direzione. Da tempo, sul tema, voce attenta è Paolo Flores d’arcais e oggi – in , Einaudi – ne parla con estrema lucidità.
Che cos’è il potere? Qual è la sua vocazione? In tanti, da Platone a Foucault, hanno posto domande simili e la filosofia mostra che il potere “si dice” e si esercita in molti modi: Flores d’Arcais agita anche quest’argomento: “Il potere ha vocazione a diventare assoluto… e da sempre mira ad esercitarsi sul sesso, sulla nascita, sulla morte” (p. 124). Sono le battute finali del libro e, a ben vedere, la giusta chiave per coglierne il senso: il direttore di MicroMega ha scritto un’apologia filosofica del diritto all’eutanasia, e, nello stesso tempo, un’analisi lucida di tecniche (e inganni) messe in atto dal potere – non solo religioso – per limitare il diritto sulla nostra vita: “una prava volontà di potere impedisce che a ciascuno di noi sia risparmiato un fine vita colmo di dolore” (p. 11). Il testo è coerente e pone/anticipa domande su cui la Corte Costituzionale ha certamente discusso: “A chi appartiene la tua vita, amico lettore, a te o a me?” Ognuno decida, liberamente, della sua vita e della sua morte. E’ l’incipit di tesi svolte “logicamente”; “esistenzialmente”; “filosoficamente”… in un confronto serrato col mondo cattolico (pp. 85-120), per denunciare – tra l’altro – “la canagliesca amalgama ecclesiastica” dell’eutanasia liberamente scelta con quella orrenda imposta dal nazismo (p. 87).
È logico Flores: che significa “bene indisponibile”? Cosa nasconde questa formula civilistica? “A chi in concreto consegna la disponibilità della tua vita l’astratta indisponibilità giuridica della tua vita?” (p. 18). E ancora: è errato appellarsi alla religione, “nella sfera pubblica la volontà di Dio si esprime sempre per bocca di un uomo, è sempre la volontà di un uomo” (p. 29). E’ così. E tuttavia, leggendo il libro si constata che proprio a Dio molti – a corto d’argomenti logici – s’aggrappano: “La vita e la morte appartengono al Signore, Lui solo ne può disporre” ripetono di fronte alle sofferenze di un malato terminale. E’ giusto? “Il diritto alla vita – scrive il Nostro – non può essere la condanna a vita, se per me il vivere è diventato tortura” (p. 30).
Molti sono gli esempi presenti nel testo, da caso Lucio Magri, al caso Welby di cui si cita la lettera inascoltata al Presidente Napolitano: “Il mio corpo non è più mio… se fossi svizzero, belga o olandese potrei sottrarmi a questo oltraggio estremo ma sono italiano e qui non c’è pietà” (p. 53). La vita ci appartiene, perché mai dovremmo sottometterci a una Chiesa a un potere politico?, si chiede Flores. Eppure è quel che accade: siamo sottomessi a un potere che ci impedisce di decidere sul nostro fine vita; sia chiaro: un potere forte contro il quale si scontrò il radicale Marco Cappato per aver accompagnato dj Fabo verso l’eutanasia in una clinica svizzera: oggi, sul tema, c’è la decisione della Corte Costituzionale.
Ma torniamo al libro: è una miniera d’argomenti il testo di Flores, colto, acuto, profondo e di agevole lettura: si muove tra Sofocle e Montaigne e Hume e Leopardi, e mostra il paralogisma in cui cade Kant, per il quale è illecito togliersi la vita ma dà per “presupposto quanto dovrebbe essere dimostrato”. Giudichi il lettore la forza logica dell’autore (pp.69-74). Qui osservo, col Nostro, che dal punto di vista giuridico la sedazione profonda permanente è consentita dalla legge (la volle per sé anche il cardinale Martini), e della “persona” non restano, in questo caso, che le funzioni biologiche. E allora: “che differenza c’è tra lasciare che tali funzioni non più umane cessino un giorno o una settimana prima o dopo?” (p. 120). Sono stringenti gli argomenti; anche quelli in cui l’autore si confronta col Cardinale Tettamanzi e monsignor Paglia che vedono nell’eutanasia una “china pericolosa”: “trascina con sé la legittimazione di misure immorali, fino all’omicidio di ogni vita giudicata inutile o indegna come nel nazismo” (p. 106). Flores non ci sta e denuncia la malafede: il suicidio assistito poggia “sull’autodeterminazione” della persona, la pratica nazista “sulla prevaricazione”. Perché accostarli?
Infine: il lettore troverà pagine su Kung, Franzoni, san Filippo Neri che giustificano l’eutanasia (pp. 114-118), e un riferimento a Montanelli: viene meno la dignità di vivere – dice Indro – quando non si è più in grado di andare in bagno da soli (p. 94). Sembra poco di fronte agli argomenti della filosofia, invece riporta il problema alla dimensione quotidiana. È molto bello il libro di Paolo Flores d’Arcais, lo leggi e senti che un tema così delicato meritava la lucida intelligenza di chi l’ha scritto, e la sensibilità e l’attenzione di quanti – spero molti – ne gusteranno, pagina dopo pagina, la coerenza, la passione civile, i sillogismi. La vita è tua: sul tuo fine vita decidi tu. Il potere, almeno in questo, resti fuori e si limiti ad adeguare la legislazione alla nuova sensibilità della società civile.
(25 settembre 2019)
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