Abbiamo bisogno di santi e di sante?
don Franco Barbero
In questi giorni lo scenario spettacolare romano, anticipato dai giornali e da tutti i mezzi di comunicazione, ha creato un’orgia di emozioni e di immagini per cui il pensiero diventa raro e difficile. Soprattutto, viene valutata come ostilità preconcetta qualunque osservazione che si ponga domande inconsuete.
Ho letto alcune riflessioni di Vito Mancuso e di Alberto Melloni, che ho trovato in larga parte condivisibili. A mio avviso, però, ci sono domande e considerazioni ulteriori, che non trovo esplicitate o appena accennate.
Ne propongo sette.
1) A me crea problema, rispetto alla mia fede, il fatto stesso che esista l’istituzione della “canonizzazione – santificazione”. Santo è solo Dio. In questo mi ritrovo pienamente in sintonia con la tradizione ebraica e islamica. Mi preme preservare la “santità” assoluta di Dio.
2) Non trovo affatto che, come scrive Vito Mancuso, la teologia dell’incarnazione sia “il farsi uomo da parte di Dio in Gesù di Nazareth: come il Figlio, infatti, da vero Dio è diventato uomo, così i suoi discepoli migliori da semplici uomini giungono alla possibilità di partecipare alla condizione divina denominata santità” (Repubblica 23 aprile). Preferisco pensare che l’incarnazione sia leggibile, sulle grandi tracce delle cristologie funzionali, nel fatto che la natura e la persona esclusivamente umane di Gesù di Nazareth siano il luogo in cui Dio si manifesta, cioè l’epifania, l’icona e il “simbolo” di Dio. Figlio di Dio non designa Dio, ma indica il testimone e il “vettore” di Dio per noi cristiani.
3) Mentre credo che sia preziosa la memoria di quei fratelli e di quelle sorelle che hanno dato una testimonianza di fedeltà al messaggio di Gesù, non vedo l’opportunità di una “canonizzazione” con cui la gerarchia dichiari santo chi viene proposto come “canonico”, cioè autenticamente cristiano e cattolico. Si tratta di un’operazione che molte volte avviene manipolando la storia della persona che, in tal modo, viene ricondotta dentro l’obbedienza e l’ortodossia cattolica. Senza contare che questa “santomania” ha annoverato nel calendario dei santi degli autentici carnefici, dei guerrafondai, centinaia di “benefattori” dell’istituzione ecclesiastica e di sterminatori degli “eretici”, persone sessuofobiche, misogine e omofobiche. Le canonizzazioni sono modalità spettacolari e liturgiche con cui l’istituzione ufficiale celebra se stessa e si autolegittima.
4) In un momento in cui si registra un indebolimento di consenso e si verificano tensioni interne tra correnti e movimenti ecclesiali, le gerarchie compiono un’operazione di ricompattamento, dando un colpo al cerchio e uno alla botte. Si accontenta la “chiesa conciliare” che si rispecchia in papa Roncalli e si consolidano i legami con tutta quell’area tradizionalista e anche reazionaria che si rifà a papa Wojtyla.
5) Né possiamo dimenticare che i santi, come le madonne, incrementano il turismo religioso e il mercato del tempio dal quale i commercianti, tanto sacri che profani, traggono benefici tutt’altro che spirituali.
6) E poi, lasciando passare il “giusto” tempo perché la gente dimentichi la persona reale e si crei il mito, la gerarchia prepara la prossima “infornata”. Potrebbero figurare tra i prescelti anche Romero, don Milani e simili… Oh infinite metamorfosi della potenze sacerdotali che sanno trasformare il diavolo in acqua santa…
7) La credibilità evangelica di papa Bergoglio è a rischio in questa “conciliazione”, in cui avverto, al di là dei riferimenti ai due papi, la mancanza di una riflessione teologica rigorosa, sostituita da un trionfalismo cattolico che coinvolge, ma non fa crescere, il popolo di Dio. Certo, mettere in scena in un colpo solo quattro papi, “due in cielo e due in terra”, resterà nella storia dello spettacolo, ma in questo trionfo della mondovisione, in questa “orgia mediatica”, non vedo tanto incarnarsi il Vangelo, quanto un cedimento alla mondanità.
(28 aprile 2014)
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