Aborto, un diritto da riconquistare

Filomena Gallo

41 anni dopo l’entrata in vigore, la legge sull’interruzione volontaria della gravidanza è fortemente disattesa: il 68% dei ginecologi sposa l’obiezione di coscienza. In difesa del diritto della donna ad una scelta libera e non condizionata, l’Associazione Luca Coscioni lancia “Aborto al sicuro”, una proposta di Legge regionale, prima in Lombardia poi in tutta Italia, per una reale applicazione della 194.
 
, avvocato cassazionista, Segretario Nazionale Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica
 

Prima del 1978, l’interruzione volontaria di gravidanza (IVG), in qualsiasi sua forma, era considerata dal codice penale italiano un reato (art. 545 e segg. cod. pen., abrogati nel 1978), che lo puniva con la reclusione da due a cinque anni, comminati sia all’esecutore dell’aborto che alla donna stessa. Il clima in cui si è vissuto fino agli anni sessanta era quello di una scontata immoralità dell’aborto volontario.
Con la diffusione del femminismo ed un cambiamento della sensibilità morale, la legge sull’aborto in Italia e la legislazione proibitiva fu radicalmente modificata, anche a fronte dell’elevatissimo numero di aborti illegali, che causavano spesso complicazioni gravi ed un grande numero di morti. Radicalmente non è un avverbio usato a caso: è con i Radicali, e con la loro campagna referendaria, che nel nostro Paese si solleva l’onda antiproibizionista. Nel 1975 si autodenunciavano alle autorità di polizia per aver praticato aborti, e venivano arrestati, il segretario del Partito Radicale Gianfranco Spadaccia, la fondatrice del Centro d’Informazione sulla Sterilizzazione e sull’Aborto (CISA) Adele Faccio e la militante radicale Emma Bonino. Il 5 febbraio una delegazione comprendente Marco Pannella e Livio Zanetti, direttore de L’espresso, presentava alla Corte di Cassazione la richiesta di un referendum abrogativo degli articoli nn. 546, 547, 548, 549 2º Comma, 550, 551, 552, 553, 554, 555 del codice penale, riguardanti i reati di aborto su donna consenziente, di istigazione all’aborto, di atti abortivi su donna ritenuta incinta, di sterilizzazione, di incitamento a pratiche contro la procreazione, di contagio da sifilide o da blenorragia. Dopo aver raccolto oltre 700.000 firme, il 15 aprile del 1976 veniva fissato il giorno per la consultazione referendaria, che però non ebbe seguito perché il presidente Leone fu costretto a sciogliere le Camere per la seconda volta.

Intanto, però, con la storica sentenza della Corte Costituzionale n. 27 del 18 febbraio 1975, l’aborto non è più identificato come un «affare di donne» ma è portato nello spazio pubblico e della legge, come una questione di cittadinanza.
Grazie alla sentenza 27 del 1975 furono definiti i termini del bilanciamento tra i diritti e gli interessi costituzionali coinvolti: da un lato la tutela del concepito, dall’altro il diritto alla vita e alla salute della madre.
 

La posizione giuridica della donna fu declinata in termini di diritto, mentre con riguardo al concepito la declinazione cambia, troviamo l’«interesse costituzionalmente protetto»; interesse a cui la legge non può dare una prevalenza totale; perché «non esiste equivalenza fra il diritto non solo alla vita ma anche alla salute di chi è già persona, come la madre, e la salvaguardia dell’embrione che persona deve ancora diventare».

La legge numero 194 del 1978, firmata 41 anni fa dal Presidente Giovanni Leone, fu direttamente attuativa dei «principi costituzionali indicati dalla Corte con la sentenza 27 del 1975». Essa è pertanto legge ordinaria a contenuto costituzionalmente vincolato, e come tale non sottoponibile a referendum.

Alcune delle sue disposizioni, infatti, si ispirano a quei «criteri di tutela minima di interessi ritenuti fondamentali dalla Costituzione che la […] sentenza n. 27 del 1975 aveva additato al legislatore, facendone l’oggetto di un vero e proprio obbligo dello stesso».

Una legge che ha una lunga storia, ma che nella nostra epoca, dopo più di 40 anni dalla sua entrata in vigore, deve purtroppo essere ancora difesa da chi ne chiede nelle piazze e in Parlamento l’abrogazione o da chi ne favorisce una applicazione non corretta.
 
L’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel 2003, ha pubblicato un importante documento, una sorta di «manuale» sull’aborto sicuro (Safe Abortion: Technical and Policy Guidance for Health Systems, Geneva, 2003, in www.who.int.), dove si sottolinea che le legislazioni in materia devono rispettare alcuni standard necessari che assicurino il rispetto per la decisione della donna, che deve essere informata; inoltre deve essere garantita l’autonomia e la riservatezza della stessa in coerenza con i diritti riconosciuti, anche nel Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali del 1966 e nella Convenzione per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne del 1979.
 

Ecco i punti salienti:

a) informazioni complete, accurate, comprensibili relative alla procedura prevista dalla legge, la predisposizione di una consulenza volontaria che consenta alla donna di considerare le diverse possibilità e di decidere senza condizionamenti. Una consulenza riservata ed affidata ad una persona esperta;
b) la rimozione di ogni ostacolo all’accesso all’intervento abortivo, evitando in periodi di attesa e mancanza di privacy;
c) rispetto del diritto all’obiezione di coscienza e contemporaneo obbligo di indirizzare le donne verso colleghi non obiettori. Le strutture sanitarie che abbiano il compito di assicurare l’interruzione volontaria della gravidanza in osservanza di legge non possono rifiutare tale servizio, devono evitare che vi siano rischi per la salute o la vita delle donne;
d) è indicata tra i metodi di interruzione volontaria di gravidanza nel primo trimestre, l’aborto farmacologico.
 
Volendo confrontare queste indicazioni con la situazione italiana relativa all’applicazione della legge 194, è facile cogliere il mancato rispetto di molte prescrizioni dell’OMS. Ad esempio, in Italia:
– i medici obiettori non indirizzano la donna ad un medico non obiettore;
– la garanzia di riservatezza non è adeguatamente rispettata;
– vi è una ingiustificata resistenza all’uso di metodi più moderni e meno invasivi;
– vi è una rilevante restrizione degli attori e dei luoghi per le procedure abortive.
 

Inoltre, se le indicazioni dell’OMS sono violate in generale, nello specifico assistiamo all’introduzione di limiti ulteriori al diritto della donna ad una scelta libera e non condizionata, con metodi che tentano una “dissuasione” delle donne tramite una riprogettazione del colloquio e alla presenza di associazioni antiabortiste nei consultori.

Da anni l’Associazione Luca Coscioni si batte per l’aggiornarmento della Legge 194/78, per migliorarla, per renderla all’avanguardia rispetto agli altri paesi europei, attraverso le numerose richieste rivolte alla Ministra Lorenzin prima, e alla Ministra Grillo poi, volte a chiedere migliorie necessarie per garantire il diritto di scelta in materia di salute riproduttiva, soprattutto in un clima montante di odio contro le donne e le loro scelte in materia di gravidanza. Negli ultimi mesi, anche le notizie giunte da oltreoceano non sono state affatto confortanti: gli stati USA Alabama, Missouri, Lousiana, e forse dall’anno prossimo in Georgia, hanno recentemente emanato leggi che vietano l’aborto addirittura nei casi di stupro e incesto, con l’intento manifesto di chiedere l’annullamento della storica sentenza della Corte Costituzionale del 1973 Roe v. Wade.

Le stime legate all’aborto clandestino in Italia (in particolare per quanto riguarda l’assunzione di farmaci acquistati online e senza controllo medico) cominciano ad essere allarmanti e i rischi per la salute delle donne non possono più essere ignorati. Inoltre, come se non bastasse, la prevenzione e la contraccezione sono sempre meno obiettivi culturali e sociali perseguiti nell’agenda politica.
Le statistiche ci dicono che il 68% dei ginecologi sposa l’obiezione di coscienza. Ciò sta portando in alcune regioni (come il Molise) all’impossibilità per la donna di abortire. Un sondaggio che abbiamo condotto come Associazione Luca Coscioni attraverso SWG ci dice inoltre che ben il 31% della popolazione – in forte aumento rispetto al 19% del 2016 – ritiene che la 194 sia una legge che va cambiata: il 50% degli intervistati chiede, come noi, di accedere all’IVG farmacologica in regime ambulatoriale, presso i consultori o in autonomia con assistenza medica da remoto e il 27% reclama la gratuità della contraccezione.
Come Associazione Luca Coscioni con l’AIED e Amica (Ass. Medici Italiani Contraccezione e Aborto), abbiamo lanciato da tempo quattro proposte concrete per la tutela della salute riproduttiva: 1) regolamentare l’obiezione di coscienza perché in Italia il 40% di ospedali con reparto di Ostetricia e/o Ginecologia pratica l’obiezione di struttura, non ammessa dalla Legge 194 e l’aumento degli obiettori di coscienza anche nelle strutture con ambulatori di IVG, aggravano anno dopo anno il disservizio in molte regioni, limitando di fatto il diritto alle scelte riproduttive e alla salute di molte donne che vivono nel nostro Paese; 2) introdurre in ogni struttura la possibilità di scegliere l’aborto farmacologico oltre a quello chirurgico; 3) eliminare l’obbligo di ricovero di tre giorni per la procedura farmacologica; 4) risorse da investire in consultori e contraccezione.
Per una sanità efficiente e accogliente, contro i rischi dell’aborto clandestino ci siamo anche mobilitati per una proposta di legge di iniziativa popolare regionale per la reale applicazione della legge 194/1978, che mira ad introdurre a livello regionale in tutta Italia, a seconda delle criticità riscontrate, una serie di soluzioni che possano facilitare l’applicazione della 194.
La pdl regionale, "Aborto al sicuro", promossa da Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica e da Radicali Italiani ha già chiuso l’iter di raccolta firme per l’iniziativa popolare in Lombardia, con una grande mobilitazione grazie all’impegno di tantissime realtà politiche e di attivismo sociale capitanate dall’associazione radicale milanese Enzo Tortora. La pdl è già al vaglio di altre regioni e presto finirà sul tavolo di tutti gli uffici legislativi regionali del Paese. La proposta si articola in 10 punti:
1.    Le informazioni (procedure, accesso ai servizi) sull’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) saranno comprensibili, esaustive e facili da reperire anche online e per telefono.
2.    Qualunque consultorio o ambulatorio regionale potrà prendere appuntamenti in ogni territorio regionale, senza imporre alla donna estenuanti ricerche o code.
3.    Le attività, la qualità dei servizi e la loro omogeneità sul territorio saranno monitorate annualmente e sarà promossa l’implementazione e una maggiore efficienza dei servizi, ove necessario.
4.    I consultori familiari diventeranno i primari coadiutori delle attività ospedaliere per la fruizione dei servizi di IVG e saranno riqualificati per: fornire migliore assistenza (anche grazie all’eventuale potenziamento delle attrezzature) e partecipare ad alcune fasi delle procedure di IVG (es. aborto farmacologico, oltre alla certificazione).
5.    Tutte le strutture ospedaliere garantiranno la gestione dei casi urgenti in tempi brevi e certi.
6.    Sarà eliminato l’obbligo di ricovero per l’IVG farmacologica grazie a day hospital a più accessi, e si potranno svolgere alcune fasi della procedura anche presso il consultorio.
7.    Le strutture accreditate per le prestazioni di procreazione medicalmente assistita e di diagnosi prenatale dovranno assicurare continuità terapeutica alle donne che richiedano l’aborto in esito a diagnosi di anomalie fetali o di rischi per la paziente, accompagnando la donna nelle proprie scelte.
8.    Le donne che richiedono l’IVG riceveranno, durante o subito dopo la seduta, una consulenza contraccettiva e, se richiesto, saranno forniti e/o applicati gratuitamente contraccettivi (inclusi quelli a lungo termine) presso l’ospedale.
9.    Alle donne che non riescono a reperire farmaci contraccettivi di emergenza sarà fornita assistenza per immediato reperimento.
10.    La Regione istituisce e finanzia corsi di formazione e di aggiornamento sulle tecniche chirurgiche e farmacologiche di interruzione della gravidanza, sulla contraccezione, nonché su tematiche epidemiologiche, psicologiche e sociologiche correlate.
Si tratta di proposte semplici e concrete che consentirebbero non solo alle donne di trovare meno ostacoli nel loro percorso verso l’interruzione di gravidanza, ma soprattutto consentirebbero all’Italia di non fare sempre la parte del Paese incoerente, che con una mano ti “concede” un diritto e con l’altra te lo porta via.
(4 giugno 2019)






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