Terremoti, in Irpinia nessuna prevenzione. Una lettera di don Vitaliano al presidente Napolitano

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di don Vitaliano Della Sala

Signor Presidente della Repubblica, non so quanto tempo dei miei diciassette anni di sacerdozio è stato speso nella stesura di lettere di sollecito, pellegrinaggi presso gli Enti inutilmente deputati alla tutela dei beni artistici e alla ricostruzione post sismica in Irpinia. E ad occuparmi di mansioni che mi hanno sottratto ai compiti per i quali sono diventato prete. A un certo punto, volentieri avrei permutato la mia prima parrocchia a Sant’Angelo a Scala – una chiesa monumentale del XIV secolo – con uno spazioso e funzionale garage da adibire a chiesa, nel quale, libero da preoccupazioni di intonaci cadenti, statue da restaurare e marmi da lucidare, avrei potuto esclusivamente fare il prete e non il custode di un museo. Anche per questo, pensando cioè ai tanti confratelli abruzzesi che si dovranno adoperare per anni al restauro delle decine di chiese distrutte o danneggiate dall’ultimo sisma, ho seguito con particolare apprensione e sofferenza le dolorose vicende legate al terremoto che ha colpito L’Aquila. E mi sono tornate in mente le paure e le angosce legate al terremoto che, appena diciottenne, ho vissuto nel lontano 1980 in Irpinia. Un terremoto quello, spaventosamente più lungo e intenso, che colpì un territorio vastissimo uccidendo migliaia di persone; e la ricostruzione che si è trascinata fino ai nostri giorni, che è stata fatta male e ha sperperato migliaia di miliardi delle vecchie lire; si può dire che in Irpinia il terremoto non è durato un minuto e mezzo, ma dura da decenni, il “vero” terremoto non ci ha colpiti il 23 novembre dell’80, ma ha cominciato a colpirci dal 24 novembre dell’80 in poi. Il peggio fu che i soccorsi e gli aiuti, arrivarono in ritardo e furono insufficienti. Altri tempi, per fortuna. Anzi, proprio grazie a quel catastrofico evento, nacque la Protezione Civile, che in Abruzzo ha svolto un lavoro rapido e efficiente.

Di fronte alle case e agli edifici pubblici, relativamente nuovi e inspiegabilmente crollati a L’Aquila, che hanno ucciso decine di cittadini, ho sentito le Sue lucidissime parole; Lei non ha esitato a parlare di ”comportamenti dettati dall’avidità, dalla sete di ricchezza e di potere, dal disprezzo per l’interesse generale e dall’ignoranza dei valori elementari di giustizia. Persino quando oggi pensiamo all’Abruzzo, e soffriamo per le vittime dei danni provocati dal terremoto, un evento certamente naturale imprevedibile, non possiamo non ritenere che anche qui abbia contato in modo pesante, abbiano contribuito alla gravità del danno e del dolore umano da esso provocato, anche questi comportamenti: sprezzo delle regole, disprezzo dell’interesse generale e dell’interesse dei cittadini”.

Proprio queste Sue parole mi hanno fatto riflettere su quanto abbiamo perfezionato la macchina che interviene prontamente ad ogni emergenza, ma non quella che dovrebbe gestire la prevenzione. Mi chiedo: se malauguratamente l’Irpinia fosse nuovamente colpita da un sisma, siamo veramente certi che le case, le chiese, gli ospedali, le scuole, gli edifici pubblici … ricostruiti dopo l’80, resterebbero in piedi? Personalmente credo di no; e se interrogassimo gli irpini, sono certo che in maggioranza sono d’accordo con me. Basti ricordarle che nel 1981, un anno dopo il sisma, l’Irpinia fu inspiegabilmente classificata “zona sismica 2”, cioè di media sismicità, nonostante quello che era successo, forse per far piacere alla camorra che doveva gestire buona parte della ricostruzione, ai politici per interessi di bottega e all’industria del mattone che in questo modo veniva svincolata dalla realizzazione di opere più costose e complicate. Dall’81 al 2002 è stata realizzata buona parte della ricostruzione secondo quella classificazione. Ebbene, proprio nel 2002 l’Irpinia è stata riclassificata “zona sismica 1”, cioè ad alta sismicità! Cosa succederebbe se venissimo colpiti da un terremoto? L’evidenza dell’approssimazione, dell’impreparazione, della mentalità “criminale” con cui vengono gestite e classificate queste zone è sotto gli occhi di tutti alle falde del Vesuvio, dove si è permesso di costruire non solo contro tutte le leggi, ma anche contro le regole del buon senso; una malaugurata ma possibile eruzione del vulcano, provocherebbe migliaia di morti che si potrebbero evitare.

Nel 1995, se non ricordo male, fu invitata ad Avellino l’allora Presidente della Camera Irene Pivetti, a parlare di “ricostruzione e speranza”. Fui costretto a gridare per prendere la parola contro i politici locali che stavano raccontando alla Pivetti che tutto andava bene nella ricostruzione post-sismica, anche se nessuno ebbe il coraggio di ricordare che stavamo a quindici anni dal terremoto e, nonostante i cinquantacinquemila miliardi di vecchie lire allora stanziati, la ricostruzione non era nemmeno al 50%. Una volta “conquistato” il microfono, dissi: “in questa sala, ai primi posti, ci sono le autorità e i politici, molti dei quali hanno contribuito a sperperare e spendere male i soldi per la ricostruzione; costoro hanno volutamente fatto della ricostruzione un problema infinito. Non so se le hanno detto, onorevole Pivetti, che in Irpinia non sono solo le chiese a non essere state ancora ricostruite, ma sono soprattutto le case e tanta gente, dopo quattordici anni e cinquantacinquemila miliardi di stanziamenti, vive ancora nelle baracche e nel disagio”. Anche allora in Irpinia c’erano, come oggi a L’Aquila, tante chiese da restaurare, perciò ricordai alla Pivetti: “siamo stanchi di ascoltare parole; parole che non restituiscono le case alla gente, che non ricostruiscono le chiese, chiese che spesso sono vere opere d’arte. Tante di esse, abbandonate all’incuria e trasformate da anni in cantieri, sono state depredate e spogliate delle opere d’arte che in esse erano conservate. Eppure c’era, e purtroppo c’è ancora, la Sovrintendenza che tali opere d’arte doveva tutelare. Ma quello della Sovrintendenza è un capitolo che non penso sia ora il caso di trattare; basti però dire che oltre i furti, con il poco sovrintendere, la Sovrintendenza ha consentito scempi, lavori fatti male, opere d’arte sfregiate, danneggiate per sempre”.

Girando oggi i paesi dell’Irpinia ricostruiti, pur non essendo né un tecnico, né un ingegnere, mi accorgo che i lavori eseguiti sembrano già da rifare: intonaci che cadono, lesioni evidenti, infiltrazioni di acqua.

Non mi sono ancora né abituato né rassegnato di fronte allo sperpero di risorse economiche, ai lavori male eseguiti e non ancora terminati, agli scempi che hanno contraddistinto la ricostruzione post sismica in Irpinia.

Tutti sappiamo che buona parte della ricostruzione in Irpinia è stata gestita dalla camorra, che spesso per far presto e per risparmiare, ha eseguito male i lavori, e si vede. Soprattutto lo “hanno visto” le Commissioni parlamentari di inchiesta che non hanno sortito nessun effetto concreto. Soprattutto, personalmente non mi fido della classe politica che l’ha gestita e non mi meraviglierei che, approfonditi controlli, dimostrassero che case, scuole, chiese ed edifici pubblici, non reggerebbero ad un evento sismico, e forse nemmeno a qualcosa di meno catastrofico.

Dopo il terremoto che ha colpito L’Aquila la preoccupazione e la paura in me sono aumentate: reggerà la casa ristrutturata nella quale abito ad un eventuale sisma? Reggeranno le case ristrutturate dei miei parrocchiani e degli irpini? Reggeranno le chiese ricostruite? E le scuole, molte delle quali sono state costruite molto pri
ma dell’80 e, dopo il terremoto, solo “imbellettate?

Nel suo recente libro “Politiche territoriali, l’esperienza irpina” la professoressa Anna Maria Zaccaria, irpina, insegnante alla Facoltà di sociologia di Napoli, scrive: “In breve, dunque, cosa emerge? È evidente che la grande disponibilità di ri­sorse finanziarie messe in circolazione dalla legge 219 non riesce ad innescare forme di economia autopropulsiva, in grado di sostenersi e di rigenerarsi autonomamente nel tempo. Comuni impreparati alla gestione di grosse somme, mancanza di programmazione e di pratiche di controllo, persistenza di logiche personalistico-clientelari a vari livelli, spesso anche nella definizione della priorità degli interventi, resistenza fuori misura della filosofia della emergenza: sono tutti elementi che hanno ostacolato la promozione di politiche di sviluppo economico di lungo periodo. Prova ne è che ancora oggi una quota consistente di finanziamenti non è stata ancora spesa”. E prosegue: “Ovviamente, con la ricostruzione, le migliori performance si registrano nel set­tore edilizio che, in termini di imprese, in questo decennio cresce del 168,4%. La crescita si riflette anche sull’occupazione. La ricostruzione post-sismica decreta il decollo dell’edilizia, nel settore privato in particolare ma anche in quello delle grandi opere pubbliche che più del primo richiama soprattutto imprese esterne. In una economia provata da anni di marginalità e dai disastri del sisma, il boom del mattone diventa trainante. Ma anche qui luci ed ombre. Da un lato si fanno strada dubbi, ancora oggi per certi versi irrisolti, sulla trasparenza delle trattative tra privati e amministratori pubblici che “il più delle volte ricorrono ad un ristret­to e selezionato panel di imprese di fiducia” (Grasso 2005,122) e sul rispetto del­le regole nelle assunzioni di manodopera. Irregolarità, lavoro sommerso, intrecci con la camorra: sono tutti temi ricorrenti sia nella stampa locale di quegli anni che nelle relazioni delle Commissioni Parlamentari istituite ad hoc”.

Signor Presidente della Repubblica, La prego: bisogna eseguire urgentemente e rapidamente controlli sulle opere pubbliche e sull’edilizia privata che sono state interessate da una discutibile ricostruzione post-sismica in Irpinia, per evitare di piangere domani, costretti ad esaltare in maniera sproporzionata la rapidità dei soccorsi, per non vergognarsi della mancanza di prevenzione.

(5 maggio 2009)



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