“Accoglienza, sicurezza e legalità per tutti: no alle discriminazioni e al razzismo”

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"Come gruppo di preti abbiamo sentito l’esigenza di incontrarci e di esprimerci reciprocamente ragionevoli speranze insieme a motivi di preoccupazione e disagio. Vogliamo condividere in modo pubblico i pensieri, le considerazioni e le scelte che sono state per noi sostegno nel continuare, anzi intensificare l’impegno per la giustizia, la pace e l’accoglienza.

1. Siamo fortemente preoccupati di quanto sta avvenendo nel nostro Paese, tanto più nel contesto di un dibattito sulla sicurezza caratterizzato da toni e contenuti che ricordano periodi cupi della storia d’Italia e d’Europa: la decisione di prendere le impronte digitali ai bambini Rom ha suscitato giusta indignazione e ha rivelato – se ancora ce ne fosse stato bisogno – la vera faccia di una politica asservita soltanto agli interessi dei ricchi e dei potenti. La complessità del momento storico; gli accelerati e profondi cambiamenti nella nostra società e sul Pianeta; la diffusa incertezza che riguarda il lavoro e la vita quotidiana di tanti cittadini, la rapidità e l’ampiezza del fenomeno migratorio, gli atti di criminalità e violenza possono indurre comprensibili paure cui è necessario far fronte con pacatezza, con analisi e riflessioni, con provvedimenti adeguati.
L’analisi amplificata e strumentale di alcuni singoli episodi non ha consentito di esaminare in modo accurato il migliorato quadro generale dell’ordine pubblico nel nostro Paese; complice una strategia mediatica disattenta alle esigenze dei più poveri è stato generato un clima di paura che tende ad investire tutti i settori della vita pubblica e privata; immediata la tentazione di offrire risposte fondate sulla garanzia delle armi e dell’esercito, sulla penalizzazione pregiudiziale di alcune categorie di persone e sulla crescita del controllo con la conseguente limitazione del diritto alla riservatezza della sfera personale.
In questo modo le cause della paura possono essere facilmente attribuite sempre e solo agli "altri", con continue pericolose generalizzazioni: si alimenta un giudizio negativo nei confronti di tutti gli immigrati irregolari e un’ombra su tutti gli stranieri, si avvallano pregiudizi inaccettabili verso tutti i nomadi e così via. Se si riesce a far credere che l’insicurezza sia provocata sempre e solo da chi viene da altrove, la sicurezza non può che derivare dall’allontanamento; e così la presenza senza permesso sul nostro territorio diventa un reato; invece di arrivare alla loro chiusura e alla realizzazione di strutture diverse, i CPT diventano sempre più simili alle carceri, con detenzioni fino a 18 mesi… E così vengono completamente dimenticati le cause della presenza di migliaia di persone e i viaggi disperati la cui frequente trasformazione in tragedia nel mare o nei cassoni dei camion non fa quasi più notizia sui nostri giornali.
Certo che ci sono delle questioni aperte, ma non possiamo accettare che il dibattito sulla sicurezza possa riguardare soltanto "noi", nelle nostre città: è una condizione che riguarda il diritto di tutte le persone, per il solo fatto che vivono sulla faccia del Pianeta. Del male e del bene possiamo essere tutti protagonisti e responsabili: la sicurezza interessa i cittadini italiani quanto le donne straniere "badanti" nelle case; gli immigrati tutti, qualsiasi sia la loro condizione; i nomadi cittadini italiani e no, i loro bambini/e in particolare; tutti gli operai italiani o stranieri, assunti regolarmente o in nero, coloro che sono in carcere, italiani e stranieri; le donne prostitute; la sicurezza riguarda le donne che in percentuale drammatica subiscono violenza fra le pareti domestiche; gli adolescenti, i giovani, gli adulti coinvolti nella dipendenza dell’alcol e delle droghe; tutte le persone che soffrono solitudine e angoscia fino al suicidio.
L’insicurezza è strutturale, riguarda i milioni di persone impoverite e affamate, oppresse e sfruttate, vittime della guerra e di violenze tremende, condizioni di cui in un modo o nell’altro siamo complici; mentre pretendiamo sicurezza per noi contribuiamo all’insicurezza di gran parte dell’umanità. Riteniamo importante e doveroso affrontare i problemi e nello stesso tempo indicare le esperienze positive in atto, del tutto e volutamente taciute in questi mesi. Ci sembra inaccettabile anche il linguaggio della comunicazione: sembra di vivere in territori e città assediate, infestate dai nemici, di "essere in una guerra" che giustifica la valorizzazione del ruolo dell’esercito.
È demagogico dichiarare pubblicamente che tutte le persone clandestine devono essere allontanate e poi impantanarsi in precisazioni e distinguo relativamente alle "badanti", indispensabili alle nostre famiglie salvo poi ribadire l’allontanamento di tutti; e dimenticare sempre le migliaia di lavoratori nelle campagne e nell’edilizia regolari per il mercato del lavoro, irregolari per la legge. La questione dell’immigrazione segna e segnerà a lungo le nostre società e la convivenza pacifica fra persone diverse per cultura e fede religiosa, dipenderà dalle nostre scelte di oggi. Una doverosa e seria cooperazione internazionale; lo svincolarsi dalle complicità internazionali nell’impoverimento, nell’ oppressione, nella violazione dei diritti umani, nelle violenze e nelle guerre devono essere impegni prioritari della politica. E uniti a questi un’assunzione di responsabilità più seria e adeguata nella politica e nella legislazione sui flussi migratori per non favorire, come la legge attuale, la clandestinità; per non considerare gli immigrati una forza lavoro necessaria e poi una presenza indesiderata.
La demagogia e i massimalismi rispondono agli istinti e alle emozioni e non affrontano in modo veritiero e umano i problemi. Le impronte digitali ai bambini rom vengono giustificate con l’intenzione di salvaguardarli: in realtà attuano una discriminazione razzista dal momento che migliaia di bambini e adolescenti del nostro paese dovrebbero essere salvaguardati, specie quelli che vivono in condizioni di degrado e in zone controllate dalla criminalità.

2. Ci riferiamo con convinzione, umiltà a una ricerca che sempre continua al Vangelo di Gesù di Nazaret; con la Chiesa, comunità di fede, ci sentiamo chiamati ad annunciare con coraggio e a testimoniare con coerenza il Vangelo nella storia. Come ribadito dal Concilio Vaticano II, il piano della fede e quello della politica devono essere considerati distinti ma non separati. Per questo non possiamo accettare che certi provvedimenti legislativi, come ad esempio "il pacchetto sicurezza", siano varati evocando l’identità e le radici cristiane in modo ideologico, capzioso ed evidentemente strumentale. Ci chiediamo anche se i 14 milioni di euro stanziati con questa finalità nella Regione Friuli Venezia Giulia – a fronte di un netto e facilmente documentabile calo dei crimini – non avrebbero potuto essere utilizzati per migliorare quella qualità delle infrastrutture e dei servizi che potrebbe garantire una vera prevenzione, concreto antidoto alla possibilità di delinquere.
Il Vangelo di Gesù ci insegna in modo incessante, incalzante e chiaro a praticare la giustizia, l’accoglienza, la pace, l’attenzione ad ogni persona, la condivisione della condizione di chi fa più fatica, di chi è più fragile, debole, in necessità… Questo è il messaggio cui attingere orientamento, luce e coraggio per le scelte politiche più rispondenti ai criteri di dignità e uguaglianza di tutte le persone, come del resto ci richiama anche la nostra esemplare e minacciata Costituzione repubblicana. Non riusciamo a comprendere le parole di compiacimento dei responsabili della Conferenza Episcopale Italiana sul nuovo clima politico esistente nel nostro Paese, peraltro ben presto smentite dall’ev
olversi della situazione parlamentare: secondo noi non c’è un vero confronto, anzi il dibattito in corso è inquietante per i suoi tratti disumani nei confronti dei diversi, degli stranieri e dei nomadi e per la sistematica identificazione tra i problemi e le persone, tra la soluzione delle questioni ed il rifiuto, la ghettizzazione o l’espulsione.
Ci sono sembrate incoraggianti le parole piene di delicata attenzione e di condivisione dell’Arcivescovo di Milano monsignor Dionigi Tettamanzi anche a proposito della presenza dell’esercito nelle città e anche le dichiarazioni della Fondazione Migrantes e di Famiglia Cristiana. Mai come adesso è importante evidenziare la necessità di segni in grado di concretizzare la fede e gli ideali: nel momento in cui la Chiesa contesta giustamente il reato di clandestinità dovrebbe contemporaneamente ampliare di. molto la disponibilità all’accoglienza nelle tante strutture di sua proprietà; esse potrebbero essere gestite in collaborazione fra volontariato e istituzioni pubbliche, diventando così un’alternativa concreta e sostenibile alla detenzione nei CPT. È preoccupante che questo.clima diffuso trovi consenso in tante persone, anche in chi si dichiara cristiano e frequenta la chiesa.

3. Quella della pace è la questione decisiva e dirimente tutte le altre; la si può perseguire soltanto attraverso un’educazione permanente alla pratica della non violenza attiva, al rifiuto di costruire, utilizzare e commerciare armi. Vogliamo ribadire la necessità di una progressiva riconversione ad uso civile dei siti militari – in modo particolare la base Usaf di Aviano – e di quel ripudio della guerra dichiarato nell’articolo 11 della Costituzione: essa produce morti, feriti, distruzioni, devastazioni dell’ambiente vitale; peggiora tutto e nulla risolve. Riconosciamo un segno di ragionevole speranza nella sentenza del Tar che blocca i lavori della base usar di Vicenza, rilevando da una parte l’inconsistenza di una decisione presentata a suo tempo come indiscutibile, dall’altra la gravità dell’impatto ambientai e e l’importanza fondamentale di compiere scelte tenendo conto della manifesta volontà dei cittadini.
Queste nostre considerazioni nascono da una quotidiana condivisione con persone che vivono momenti di amicizia, fatica, accompagnamento e arricchimento umano nella reciprocità: sono giovani, donne e uomini che vivono il cammino di liberazione dalla dipendenza; detenuti nelle carceri; sofferenti nel corpo e nella psiche; sono stranieri, tanti dei quali impegnati con dedizione, generosità, disponibilità operosa; sono persone che vogliono servire seriamente il bene comune nelle istituzioni e nella politica.
Sono considerazioni elaborate nelle nostre comunità locali in relazione con le comunità del Pianeta, nutrite ed interpellate dalla Parola, dall’Eucarestia e dalle provocazioni della storia che chiamano a esserci, a condividere e a prendere posizione."

don Pierluigi Di Piazza (Zugliano)
don Federico Schiavon (Udine)
don Franco Saccavini (Udine)
don Giacomo Tolot (Pordenone)
don Piergiorgio Rigolo (Pordenone)
Andrea Bellavite (Gorizia)
Don Alberto De Nadai (Gorizia)
don Luigi Fontanot (Fiumicello)
don MarIo Vatta (Trieste)
don Albino Bizzotto (Padova)
padre Alessandro Paradisi, monaco benedettino.

(9 settembre)



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