Afghanistan, triplicate in un anno le vittime civili
di Luca Galassi, da PeaceReporter.net
Le vittime civili causate da bombardamenti Usa e Nato sono triplicate in Afghanistan in un solo anno. Lo denuncia l’organizzazione per la tutela dei diritti umani ‘Human Rights Watch’ (Hrw), lanciando un atto d’accusa contro le operazioni militari condotte dalla coalizione occidentale nel Paese. In un rapporto titolato ”Truppe a contatto’, l’organizzazione indica che raid contro presunti talebani, come quello del 6 luglio 2008 nella provincia di Nangarhar durante un matrimonio (20 morti), o quello più recente e controverso del 22 agosto a Azizabad (90 morti secondo testimoni e operatori Onu, 30 secondo i militari Usa), stanno gravemente minando il già esiguo sostegno delle popolazioni locali alla coalizione internazionale incaricata di ‘ripristinare le condizioni di sicurezza’ in Afghanistan, oltre a spingere il presidente Hamid Karzai a invocare per l’ennesima volta una revisione degli accordi che stabiliscono le regole d’ingaggio e la cessazione di raid militari nei villaggi.
Dubbia efficacia. Secondo Human Rights Watch, gli attacchi in cui muore il maggior numero di civili sono quelli compiuti durante operazioni di ‘rapid response’, che a differenza degli attacchi ‘pianificati’, sono condotti senza preavviso, in condizioni di emergenza durante le quali, ad esempio, è necessario fornire una risposta rapida e ‘efficace’ alla mancanza di truppe sul terreno. L’efficacia di tali operazioni è però assai dubbia, se è vero che – denuncia il rapporto – l’aumento delle vittime civili è anche determinato dalle infiltrazioni di talebani nei villaggi, che rendono problematico, per le ‘bombe intelligenti’, distinguere gli obiettivi civili da quelli ‘militari’. In alcune circostanze, i talebani utilizzano i civili come scudi umani per scoraggiare gli attacchi delle forze occidentali.
Scarsa trasparenza. Nel 2006, almeno 929 civili afgani sono stati uccisi in circostanze legate a scontri o attacchi. Di questi, 367 sono morti durante attacchi dei miliziani ribelli, mentre 173 sono stati vittima di raid da parte della Nato o delle forze Usa. Almeno 119 sono deceduti in seguito ad attacchi aerei. Nel 2007, le vittime sono state almeno 1.633. Di queste, 321 sono il risultato di ‘air strikes’. Le stime di Hrw sono tutte calcolate per difetto. L’organizzazione ha criticato i comandi americani per la scarsità di informazioni relativa alle morti civili, evidenziando che gli ufficiali Usa, prima di avviare un’inchiesta su eventuali errori, negano subito ogni responsabilità, addebitando la colpa ai talebani. Le inchieste da parte delle autorità Usa – sostiene sempre Hrw – sono unilaterali, ponderose, poco trasparenti, e hanno spesso come conseguenza l’erosione dei rapporti con le popolazioni locali, anzichè il loro miglioramento.
Cambiamenti ‘tecnici’? Gli effetti degli attacchi, il cui pedaggio di morte risulta essere pesante proprio nei casi di raid non programmati, o quando le regole di ingaggio vengono classificate con l’ambiguo termine di ‘auto-difesa preventiva’, vanno oltre la mera contabilità delle vittime. Un’inchiesta del governo afgano condotta per tre giorni dopo la distruzione di alcune case poco prima del 30 aprile 2007, ha evidenziato come numerosi civili siano in seguito fuggiti a causa di danni alle loro abitazioni o di timori di nuovi attacchi. Stessa cosa per gli abitanti dei villaggi vicini. Ciò ha prodotto un elevato numero di sfollati interni. L’unica avvisaglia di un possibile cambiamento di rotta nelle operazioni militari Nato potrebbe essere ravvisata da alcuni modesti cambiamenti che hanno ridotto il numero dei civili uccisi da attacchi aerei nella seconda metà del 2007. Tra questi, l’utilizzo di armi più leggere, il differimento degli attacchi in caso comprovato di pericolo per i civili stessi, e la ricerca casa per casa affidata ai militari afgani.
Misure che tuttavia non mettono al riparo dall’imprevisto. E l’imprevisto è in questo caso l’ennesima strage di civili avvenuta il 22 agosto ad Azizabad, piccolo paese nel distretto di Shindand. Gli americani, secondo il solito copione, hanno minimizzato il numero delle vittime (32-35), per poi veder pubblicate sul New York Times di ieri fotografie e fermi immagine della strage, dopo che, a fine agosto, una squadra di operatori delle Nazioni Unite aveva visitato il paesino e raccolto nuove informazioni e prove che i civili uccisi erano 90, sessanta dei quali bambini. Una visita della giornalista Carlotta Gall nell’area ha prodotto un reportage pubblicato oggi sempre dal New York Times nel quale le voci raccolte e le prove circostanziate della strage hanno avuto come conseguenza la riapertura dell’inchiesta sull’attacco. Le foto del quotidiano Usa e i fermi immagine ripresi dai telefoni cellulari mostrano cadaveri di civili, fra cui molti bambini, allineati nella moschea del villaggio. Fonti ospedaliere locali, inoltre, hanno detto al giornale che nel locale ospedale passarono 50-60 cadaveri, fra cui quelli di donne e bambini. "Alla luce di nuove prove su vittime civili nell’ operazione contro gli insorti del 22 agosto nel distretto di Shindand, provincia di Herat, ritengo sia prudente richiedere che il Comando centrale invii un alto ufficiale per rivedere l’ inchiesta Usa e le sue risultanze", ha detto il generale David McKiernan, aggiungendo che "il popolo dell’ Afghanistan ha il nostro impegno ad arrivare alla verità". Quante verità si nascondono negli attacchi Nato-Isaf-Usa, all’oscuro di giornalisti, macchine fotografiche e telefoni cellulari?
(9 settembre 2009)
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