“Al raid c’eravamo tutti…” di Ulderico Daniele

MicroMega

L’approvazione del “Pacchetto Sicurezza” da parte del neoinsediato Berlusconi IV sembra portare a compimento quella poderosa campagna di criminalizzazione delle presenze migranti che ha caratterizzato la campagna elettorale; campagna che ha trovato nei gruppi rom il suo obiettivo preferenziale, rendendoli vittime di aggressioni non solo verbali, ma sempre più esplicite e violente, e per di più diffuse ormai negli spazi della quotidiana convivenza.

Dopo la cacciata di Opera, le molotov di Livorno e i raid di Roma, gli attentati di italico razzismo contro i rom hanno assunto negli ultimi giorni una forma ancora nuova, che suscita timore nella misura in cui rappresenta umori profondi e consolidati nella nostra società.

Questa volta sono infatti uomini e donne – massaie soprattutto, e poi disoccupati, “scugnizzi” e addirittura pensionati a sentire le cronache locali – che si sono armati di spranghe, sassi e bottiglie incendiarie, e in pieno giorno hanno fatto irruzione in un campo sosta per cacciare fisicamente “gli zingari”. A motivare l’assalto l’ennesima accusa – anche questa tutta da provare – di un tentato rapimento di bambini, tratto che rappresenta una costante, mai comprovata da fatti, della percezione pubblica dei rom. Questa volta però l’accusa ha spinto alla mobilitazione diretta prima verso il campo sosta più vicino al presunto rapimento, in cui peraltro non sembra risiedere nemmeno la donna accusata, e poi verso altri campi sosta e luoghi frequentati da rom o rumeni, a Napoli, a Milano e in tutta Italia. L’obiettivo degli assalti è così divenuto “lo zingaro sotto casa”, quello del semaforo, dell’elemosina e delle baracche, non accusato di qualcosa in particolare, se non di incarnare quotidianamente “l’altro”.

Questo movimento complementare di mobilitazione di massa, addirittura in pieno giorno, sulla scorta della individuazione di responsabilità o colpe addossate ad un intero gruppo, rappresenta un ulteriore passo in avanti nella escalation di atti di intolleranza e di razzismo verso i gruppi rom.
In maniera sempre più tragiche ed evidente questi atti mettono in questione le basi fondamentali del diritto e della convivenza civile, perché al principio della responsabilità individuale e della legalità garantita dallo stato si sostituisce la stigmatizzazione e la “giustizia fai da te” che già le ronde di padana memoria andavano preannunciando.

La “questione rom” appare in questo senso come la spia più evidente, e mediaticamente utilizzata, di una più generale crisi delle possibilità e delle forme di convivenza nelle zone periferiche così come nei nodi centrali della società italiana; crisi che necessita di analisi ancora più accurate e profonde per sfuggire dalle semplificazioni e dalle mistificazioni generate dalla imperante retorica della “sicurezza”.
Lo scenario drammatico delle baraccopoli, le storie di miseria e di violenza che sono alle spalle delle biografie criminali e dei tanti costretti alla mendicità, possono essere comprese – e potranno essere modificate – solo a partire da una analisi più ampia, che prenda ad esempio in questione la fallimentare politica dei campi sosta, spazi di segregazione che hanno se possibile facilitato l’esclusione e la marginalizzazione dei rom. Ma, più in generale, la stessa vicenda dell’assalto di Ponticelli rivela come la “questione rom” si costruisca sempre all’incrocio di politiche sociali deboli, se non assenti, messe in atto anche delle amministrazioni di centro sinistra, e di malcelati interessi che puntano alla riqualificazione dei territori e necessitano l’espulsione di coloro i quali vengono percepiti come incompatibili con i progetti di sviluppo urbanistico, commerciale o culturale delle nostre grandi e piccole città (cfr. l’articolo sul Manifesto pg. 3, 15/5/2008).

A guardarla dai territori, dalle storie dei migranti e dei residenti che abitano gli sterminati e sempre più centrali spazi periferici delle città italiane, questa crisi di convivenza resa tragica dalle molotov di Ponticelli risulta avere radici ben più profonde, che mettono in questione i modelli di governo locale e le cosiddette politiche di integrazione per i migranti, in un orizzonte che va ben al di là delle più recenti contingenze politiche.

Non si può tuttavia non notare come questi ultimi eventi finiscano per costruire il clima ideale per l’emanazione dell’ennesimo Decreto Sicurezza da parte del nuovo governo. Raccogliendo questi umori profondi della società italiana, e in doveroso ossequio agli impegni delle campagna elettorale, il Berlusconi IV si apre con la proposta di rendere la semplice condizione di clandestinità un reato penale, quindi perseguibile con l’incarcerazione. Le immagini dell’assalto di Napoli potrebbero allora moltiplicarsi in un caleidoscopio fantasmagorico: appostamenti nelle piazze e nei parchi dove pericolosi criminali – badanti, muratori, fabbri o contadini – si raccolgono nei giorni liberi, retate di lavavetri e venditori ambulanti, con vigili urbani e poliziotti spalleggiati se non incitati dai commercianti, dai “residenti indifesi” e dai “cittadini impauriti”.

Al di là della evidente crisi della politica italiana, che a prescindere dagli schieramenti non fa che rincorrere le pulsioni più violente e intolleranti che dominano in larghe fette della società italiana, questa ritrovata assonanza fra società e classi dirigenti italiane non fa che rendere ancora più urgente quel lavoro di ricerca che a partire dall’analisi dei territori, delle storie e degli equilibri locali, possa ricostruire uno spazio di comprensibilità – e di intervento – per chi non voglia sentirsi costretto nella schiera degli assalitori o in quella degli espulsi.

Ulderico Daniele

tratto dal sito http://host.uniroma3.it/laboratori/osservatoriorazzismo/

(23 maggio 2008)



MicroMega rimane a disposizione dei titolari di copyright che non fosse riuscita a raggiungere.