Altero Matteoli (An) – Ministro delle Infrastrutture

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Anagrafe Nato a Cecina (Livorno) l’8 settembre 1940.

Curriculum Ragioniere, impiegato e dirigente; ex segretario regionale del Msi per la Toscana, ex consigliere comunale di Castelnuovo Garfagnana (Lucca) e di Livorno, poi dirigente di An; sindaco di Orbetello dal 2006; ministro dell’Ambiente nei governi Berlusconi-1 e 2; 7 legislature (1983, 1987, 1992, 1994, 1996, 2001, 2006).

Soprannomi l’Unno del Signore, Attila, il Sinistro dell’Ambiente. Segni particolari Due volte ministro dell’Ambiente, due volte si proclama contrario ai condoni sui reati ambientali, che poi regolarmente il suo governo regolarmente vara anche col suo voto.

«Sono contrario a ogni forma di condono», tuona a metà luglio del 1994. «Sono contrario: sarebbe un vulnus alla legalità», ammonisce a fine mese. «Sono contrario», ripete a tutti quelli che vede. «Ero contrario», sospira qualche giorno dopo l’approvazione della sanatoria. Scusi: e non si dimette? Muto. (…) Neanche il tempo d’impratichirsi e, dopo aver promesso di «riportare i pesci nel Tevere» e di «mandare i carabinieri dagli inquinatori», aveva messo la prima firma sotto il decreto per la depenalizzazione dei reati fissati dalla legge Merli sugli scarichi industriali. Secondo mandato, secondo tormentone. Nel luglio 2001, ricomincia: «Non mi piace l’Italia dei condoni. Anche se una misura del genere era stata presa nel 1994 quando eravamo noi al governo. Nel programma del Polo non c’è nulla del genere. C’è una legge che obbliga ad agire drasticamente contro gli abusi edilizi e dunque o il Parlamento cambia la legge o si deve procedere con le ruspe ». «Dal rapporto ecomafia di Legambiente emerge una preoccupante crescita dell’abusivismo edilizio. Io sono nettamente contrario al condono per non ridicolizzare il cittadino onesto che ha costruito secondo le regole», ribadisce nell’aprile 2003. Un condonino piccino piccino? «No. Se apriamo alla sanatoria dei mini-abusi, si sa dove si inizia, ma non dove si finisce!» «In nessun Consiglio dei ministri, finora, si è mai parlato di condono edilizio, io resto contrario a meno che non sia una minisanatoria per piccolissimi abusi, ma bisogna stare attenti perché l’appetito vien mangiando!» conferma in agosto. Un muraglione. Di panna. Col solito epilogo: «Ero contrario» (…). Uomo di cristallina coerenza, denunciò per anni il clientelismo e la lottizzazione della sinistra (vergogna!) sui parchi nazionali italiani. Detto fatto, appena ministro prese a piazzare, a tappeto, amici su amici. Possibilmente camerati. Al Gargano mise Giandiego Gatta, coordinatore di An a Manfredonia. In Val Grande Alberto Actis, leader di An a Verbania. Alla Maddalena Gianfranco Cualbu, uno dei dirigenti storici di An a Nuoro. Al Pollino Francesco Fino, un ex parlamentare di An. Alla Majella Gianfranco Giuliante, che i verdi ricordano come uno storico nemico del parco e presidente provinciale di An. Al Vesuvio Amilcare Troiano, un avvocato che fa gli abbattimenti delle case abusive, combatte la camorra e piace ai verdi ma è lui pure legato ad An. Alle Dolomiti bellunesi Guido De Zordo, missino di lungo corso già sindaco per An di Cibiana. Al Circeo Salvatore Armando Bellassai, già sindaco per An di Sabaudia. All’arcipelago toscano l’amico Ruggero Barbetti, coordinatore per l’Elba di An. Vuoi mettere i vecchi satrapi clientelari della Prima Repubblica? (in Tribù Spa di Gian Antonio Stella).

Nel luglio del 2006, nonostante il no del suo partito, Matteoli – indagato – vota a favore dell’indulto. Un «caso di coscienza».

Fedina penale Indagato a Livorno per rivelazione di segreti e favoreggiamento verso l’ex prefetto di Livorno: l’avrebbe avvertito di indagini e intercettazioni su uno scandalo di abusi edilizi all’isola d’Elba, consentendo a lui e ad altri indagati di inquinare le prove e di distruggere carte e addirittura computer, con gravi danni per le indagini. I presunti abusi edilizi, secondo la Procura di Livorno, sarebbero stati commessi dai costruttori Franco Giusti e Fiorello Filippi e dal direttore dei lavori Uberto Coppetelli nell’edificazione del «Centro servizi» a Procchio, splendido sobborgo turistico di Marciana Marina. Nell’estate del 2003 il pm Antonio Giaconi chiede al gip Germano Lamberti il sequestro preventivo di una parte del cantiere (ritenuta abusiva dopo un accertamento del Corpo Forestale), che fra l’altro devasta l’incantevole patrimonio ambientale della zona. Ma il 20 giugno il giudice respinge la richiesta. Si scoprirà poi che, in cambio del suo diniego, Giusti e Filippi gli hanno promesso la vendita a prezzi di favore di due appartamenti: il primo nel complesso residenziale in costruzione nei pressi di Rio Marina, sempre all’Elba; il secondo nello stesso Centro servizi che il giudice avrebbe dovuto sequestrare. Promesse, secondo l’accusa, «da lui accettate». Si scopre pure che, a combinare il tutto mettendo in contatto il gip Lamberti e i suoi presunti corruttori, è stato il prefetto di Livorno, Vincenzo Gallitto. Non basta. Sempre secondo l’accusa, salta fuori un’altra tangente: Giusti e Filippi, per ottenere l’approvazione del progetto per un’altra speculazione immobiliare a Cavo, presso Rio Marina, l’hanno affidato a Coppetelli che il viceprefetto di Livorno Giuseppe Pesce, commissario straordinario del comune, aveva provveduto a nominare consulente comunale per l’urbanistica e l’edilizia privata nonché presidente della commissione edilizia. Non potendo comparire col suo nome, Coppetelli avrebbe fatto firmare il progetto da un prestanome e l’avrebbe poi fatto approvare dalla commissione edilizia da lui stesso presieduta, in barba alle leggi urbanistiche che ne avrebbero imposto la bocciatura. Anche Pesce e Coppetelli sarebbero stati ricompensati «in natura», cioè con contratti preliminari di acquisto a prezzi stracciati di appartamenti nel complesso turistico «Costa dei Barbari ». Appena s’imbatte nei possibili reati del gip, il pm Giaconi è costretto a trasmettere il fascicolo alla Procura di Genova (competente a giudicare i magistrati livornesi). Questa prosegue le indagini e le intercettazioni disposte in gran segreto su Gallizzi, Pesce e Coppetelli (con i cognomi degli indagati criptati e iscritti sui registri con nomi di fantasia). E scopre che la cupoletta elbana ha ben altri santi in paradiso che un giudice, un prefetto e un viceprefetto. Salta fuori addirittura il nome del ministro Matteoli. È il 9 agosto 2003. Il prefetto Gallitto e il viceprefetto Pesce s’incontrano col giudice Lamberti a Portoferraio nei locali della Prefettura. Sono agitatissimi. Al punto che Gallitto, al termine di una telefonata dal cellulare, si scorda di chiudere la comunicazione. Così quel telefonino dimenticato acceso diventa un microfono infilato nel chiuso della riunione, per la gioia degli inquirenti che ascoltano tutto a distanza. E ben presto comprendono il perché di tanta agitazione. Gli indagati hanno saputo delle indagini e delle intercettazioni in corso. Sui controlli telefonici il giudice Lamberti non si dà pace: sa di non averli autorizzati lui e dice di aver lui stesso controllato se l’avesse fatto l’altra collega del suo ufficio, ma con esito negativo (non sa della secretazione dei nomi). È a questo punto che Gallitto gli parla della fonte sicura che gli ha spifferato tutto: il «ministro». Lamberti, scettico, ribatte: «Chi è andato a dire al ministro una cosa del genere!?». Più avanti Gallitto aggiunge: «Si beccano, si beccano. Ma non arrivava al ministro l’informazione…». Nel dubbio, scriverà la Procura di Genova,

gli indagati, notevolmente preoccupati dalla notizia dell’indagine, decidono di porre in essere una serie di attività di inquinamento probatorio, cancellando la memoria o addirittura distruggendo un computer del Coppetelli e facendo sparire dall’ufficio del Coppetelli i «preliminari nostri» (con ciò riferendosi ai contratti preliminari stipulati per l’acquisto di appartamenti nel complesso «Costa dei Barbari» in località Cavo dal Pesce, dal Coppetelli, dal Lamberti e dal Gallitto).

Qualche giorno dopo, il 13 agosto, altre telefonate intercettate chiariscono come Pesce e Gallitto abbiano saputo dell’indagine e delle intercettazioni. Il costruttore Filippi racconta al socio Giusti di un pranzo al quale ha partecipato in un ristorante dell’Elba con Lamberti, Pesce e Gallitto:

Giusti: Ma lui [Pesce, nda] c’era a mangiare?

Filippi: Sì, sì, ma non aveva fermezza.

Giusti: Madonna, di’ che l’ha richiamato il ministro…

Filippi: Bah, me l’ha un po’ detto anche a me, il ministro ha detto che sono indagati lui, il prefetto, Madonna…

Giusti: Son venuti tutti e due insieme, ma il prefetto è più tranquillo più… poi c’era anche il magistrato… ho sentito il magistrato, gli ha detto: «Ma aspetta a darti proprio…», ma lui è agitato, era…

Giusti racconta a Filippi che Pesce è andato da lui per farsi restituire il compromesso suo e di Gallitto e strapparli entrambi.

Filippi: Ma che t’ha detto lì in sostanza, qual è il problema?

Giusti: Ha di’ che l’ha richiamati il ministro Pisanu.

Filippi: Sì.

Giusti: Attraverso il Matteoli, no? Che loro sono indagati e poi, perché… senti, senti, chiaro il perché… Quando c’era lui e il Coppetelli è stata approvata la ristrutturazione a Cavo…

A questo punto gli inquirenti danno un senso a una strana telefonata che avevano intercettato l’8 agosto, il giorno prima del vertice in Prefettura. Una telefonata fra il prefetto Gallitto e un certo dottor Ezio Ronchieri:

Ronchieri: Mi dica tutto, devo dire qualcosa al…

Gallitto: No, volevo parlare con il ministro, perché lui voleva incontrarmi, adesso io non lo so quali sono i suoi programmi, ma io sono a Livorno e quindi ero pronto a venire anche, anche a casa.

Ronchieri: Io credo, io c’ho un appuntamento questa sera, che dobbiamo andare in un posto questa sera, io…

Gallitto: Lui mi disse, anche, anche a casa, mi ha detto, eh…

Ronchieri: Sì.

Gallitto: Anzi no, mi disse, mi disse dobbiamo vederci a casa e quindi io…

Ronchieri: Va bene.

Gallitto: Quando lui decide, io dalle tre in poi…

Ronchieri: Domani, oggi penso che abbia da fare.

Gallitto: Eh…

Ronchieri: Io glielo dico questa sera, e se non lo sente prima, vi mettete d’accordo per domani, insomma, non lo so.

Gallitto: No, no, si è rimasti d’accordo per oggi pomeriggio con lui.

Ronchieri: Ah, oggi pomeriggio, va bene, allora continui con la batteria [il telefono passante del Viminale in grado di rintracciare ministri e uomini politici, nda], perché non lo so come fare.

Gallitto: Ah, lo chiamo io, lo chiamo con la batteria, va bene, va bene, lo chiamo io con la batteria.

La Guardia di finanza scopre che il telefono dal quale risponde Ronchieri, lo 06-57225514, è del ministero dell’Ambiente. E che Ronchieri fa parte della segreteria del ministro Matteoli. Il fatto che l’indomani, in Prefettura, Gallitto comunichi a Pesce e a Lamberti le notizie sulle indagini e le intercettazioni fa ritenere ai pm che nel pomeriggio dell’8 agosto il prefetto sia riuscito a incontrare il ministro Matteoli e che

sia stato informato delle indagini in corso nei suoi confronti, nonché nei confronti del Pesce. Non emerge dagli atti dove avvenne l’incontro tra il Gallitto ed il ministro Matteoli, e quindi la comunicazione da parte di quest’ultimo delle notizie costituenti segreto d’ufficio.

Per questo la competenza territoriale sul reato deve risalire alla residenza del ministro, che abita a Casale Marittimo in provincia di Pisa. Ma, trattandosi di un reato ipotizzato a carico di un ministro, il pm di Genova Paola Calleri stralcia la sua posizione da quella degli altri indagati per gli abusi nell’isola d’Elba e il 10 agosto 2004 invia lo stralcio alla Procura di Firenze perché lo trasmetta al locale Tribunale dei ministri. Intanto chiede il rinvio a giudizio di tutti gli altri indagati. A questo punto s’innesca un ulteriore ping-pong di competenze. Il 12 gennaio 2005 la Procura di Firenze recapita il dossier al locale Tribunale dei ministri, che svolge le indagini e ascolta i personaggi coinvolti. A cominciare da Matteoli. Ecco la sua versione, come la riassumono i giudici fiorentini:

Il ministro Matteoli si è protestato innocente, dichiarando di essersi limitato in una telefonata di fine luglio-primi di agosto 2003 ad informarsi, presso il prefetto Gallitto, sulla situazione degli incendi all’isola d’Elba e solo incidentalmente su un’ipotetica inchiesta penale a carico del prefetto di Livorno, giacché proprio quel giorno alcuni giornalisti avevano chiesto a lui notizie in tal senso. Il Gallitto aveva risposto di non saperne nulla. (…) Successivamente aveva ricevuto a casa sua a Casale Marittimo il prefetto Gallitto l’8.08.03, ma solo per parlare esclusivamente degli incendi all’Elba.

Una versione perlomeno singolare, se si pensa alla fretta forsennata di incontrare il ministro manifestata da Gallitto al telefono col suo segretario: davvero voleva vedere Matteoli a tutti i costi nel pomeriggio dell’8 agosto per soddisfare le sue curiosità sugli incendi nell’isola d’Elba? In ogni caso il Tribunale dei ministri respinge entrambe le richieste avanzate dai difensori di Matteoli (l’onorevole Giuseppe Consolo di An e l’avvocato Adolfo Larussa): sia quella di trasmettere il fascicolo per competenza al Tribunale dei ministri di Roma; sia quella di archiviarlo. I giudici fiorentini escludono che della faccenda debba occuparsi il Tribunale dei ministri, perché il reato di cui è accusato Matteoli «non è riconducibile alle funzioni proprie della carica istituzionale di ministro dell’Ambiente rivestita dall’indagato» all’epoca dei fatti:

Le notizie circa la pendenza di un procedimento penale e l’esistenza di intercettazioni telefoniche in corso che la pubblica accusa assume essere state rivelate dall’on. Matteoli a taluni degli indagati (…) presso la Procura di Genova non costituiscono certamente propalazioni di un segreto di cui il ministro dell’Ambiente poteva essere depositario né direttamente né indirettamente tramite i suoi subordinati gerarchici; le informazioni riservate che sarebbero state indebitamente comunicate non hanno infatti alcuna relazione con i compiti propri del predetto ministro, il quale non dispone certamente di alcun potere di informazione circa l’attività svolta dalla magistratura inquirente (…). Non sono emersi elementi che possano ragionevolmente far ritenere che, sul piano fattuale, la funzione di ministro rivestita dal Matteoli abbia in qualche modo svolto un ruolo determinante o comunque concausale nell’acquisizione, prima, e di propalazione, poi, di notizie segrete provenienti «in primis» da pubblici ufficiali appartenenti sicuramente a Uffici del tutto estranei rispetto a quelli facenti capo al ministero dell’Ambiente e la cui identità è rimasta peraltro ignota. Ne consegue l’incompetenza funzionale del Tribunale dei ministri a delibare il «fumus» della fondatezza dell’accusa, non avendo i reati contestati all’on. Matteoli alcun rapporto, se non di mera occasionalità, con la sua carica istituzionale di ministro.

Perciò, il 4 aprile 2005, gli atti vengono trasmessi alla Procura ordinaria competente per territorio. Che, almeno per Matteoli, è quella di Pisa. O almeno sembra esserlo, perché il gioco dell’oca giudiziario non è finito: la Procura di Pisa si dichiara a sua volta incompetente e il fascicolo torna alla casella di partenza: la Procura di Livorno (sotto la cui giurisdizione rientra Casale Marittimo).

Qui il pm è cambiato e quello nuovo, Mario De Bellis, chiede a tempo di record (è il 15 luglio 2005) l’archiviazione per entrambe le accuse. Fra l’altro, sostiene che le intercettazioni – unico elemento a carico del ministro – sarebbero inutilizzabili contro di lui perché disposte per le ipotesi di reato contestate agli altri indagati (corruzione e abuso) e non a lui, accusato di reati «minori» che non le consentono. Ma il gip Maria Sammarco è di diverso avviso e il 19 aprile 2006 ordina alla Procura di formulare l’«imputazione coattiva», cioè di chiedere il rinvio a giudizio per uno dei due capi d’imputazione: quello di favoreggiamento. Quanto alla rivelazione di segreti d’ufficio, invece, va accolta la richiesta di archiviazione perché

tale reato non risulta neanche astrattamente configurabile a carico dell’indagato (all’epoca ministro dell’Ambiente) non essendo questi depositario di notizie riservate o segrete sullo svolgimento di processi penali, di talché le sue eventuali divulgazioni sarebbero state rese come privato cittadino.

Non essendo un giudice, o un pm, o un agente di polizia giudiziaria, infatti, Matteoli non era depositario di alcun segreto: semmai l’aveva saputo da qualche Mister X. Però, da chiunque l’abbia appreso, l’ha poi rivelato, aiutando gli indagati elbani a danneggiare le indagini inquinando e distruggendo le prove. E questo, per il gip, si chiama favoreggiamento personale. Il giudice definisce «significative » le intercettazioni in cui si fa il nome di Matteoli a proposito della talpa che ha avvertito gli indagati. In base alla sequenza delle telefonate, scrive il gip Sammarco, «si ha fondata ragione di ritenere che l’indagato [Matteoli, nda] possa aver messo al correnteil Prefetto dell’esistenza dell’indagine». Quanto basta perché Matteoli finisca davanti al Tribunale per essere processato:

Premesso che non è questa la sede per decidere se la versione del Matteoli (che afferma di avere esso chiesto al Prefetto se fosse questo sottoposto ad una indagine, e non il contrario, per essere stato in tal senso sollecitato da richieste di organi di stampa che davano tale notizia come reale) ovvero quella del Prefetto siano credibili (anche questo indagato si allinea al Matteoli in dichiarazione resa al Tribunale dei ministri, innanzi al quale gli altri indagati si sono invece avvalsi della facoltà di non rispondere), ma solo se esista agli atti di indagine materiale idoneo ad apprezzare la non infondatezza della notizia di reato, non ravvisa questo giudice la inutilizzabilità delle conversazioni in parola.

Le conversazioni intercettate fra il prefetto da un lato, i suoi coindagati e il segretario di Matteoli dall’altro, sono perfettamente utilizzabili:

È costante infatti l’orientamento per il quale, in ossequio al principio di conservazione delle prove legittimamente acquisite, se nel corso di intercettazioni autorizzate per reato con pena edittale che consente il mezzo investigativo, le indagini finiscono per degradare il reato stesso ad una diversa ipotesi di reato che non le consentirebbe per pena edittale, non per questo perde di utilizzabilità la intercettazione. Alle stesse conseguenze di utilizzabilità si perviene anche se, debitamente autorizzata la intercettazione per uno o più titoli di reato, le conversazioni offrono riscontro ad altra ipotesi di reato che non consentirebbe, ove valutato in assenza di connessione, il mezzo di prova prescelto.

Dunque, conclude il gip Sammarco,

i risultati delle indagini sino ad ora acquisiti consentono la formulazione della imputazione di favoreggiamento e la sede dibattimentale sarà la più giusta per poter apprezzare e verificare appieno le difese anche nel merito dell’indagato [Matteoli], a fronte di elementi a suo carico non insignificanti.

Matteoli deve essere processato per favoreggiamento personale. Il fascicolo torna nelle mani del pm che l’aveva iniziato, Antonio Giaconi. Il quale, il 4 maggio, rinvia a giudizio il ministro ormai uscente davanti alla sezione di Cecina del Tribunale

per avere rivelato a soggetti indagati nel procedimento della Procura della Repubblica di Genova (e precisamente Gallitto Vincenzo, Pesce Giuseppe ed altri) tale loro qualità e l’esistenza di intercettazioni telefoniche. Reati commessi nell’agosto 2003 presumibilmente in Casale Marittimo, luogo di residenza dell’imputato.

Prima udienza, il 20 ottobre 2006. Ma, il 17 maggio 2007, la Camera blocca il processo (394 voti favorevoli, 2 contrari e 32 astenuti), sollevando un conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato alla Corte Costituzionale contro il Tribunale dei ministri che, spogliandosi del caso in quanto Matteoli è accusato come comune cittadino e non come ex ministro, non ha ritenuto di chiedere alla Camera l’autorizzazione a procedere prevista per i ministri accusati di reati commessi nell’esercizio delle proprie funzioni. Così il processo, in attesa della Consulta, si ferma.

Assenze 219 su 1447 (15,1%).

Frase celebre «I bracconieri sono simpaticissimi… Sono stato l’altro giorno in Corsica con degli amici in barca. Mi sono divertito da morire. Abbiamo buttato i paranchi la sera e la mattina alle cinque li abbiamo tirati su. Oh! Cinquanta saraghi… Credo abusivamente. Credo» («Corriere della Sera», 20 agosto 1994 ).



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