Angelopoulos: “La mia povera Grecia senza più speranze”
Simonetta Robiony
Il regista: ho vissuto l’invasione nazista e la dittatura dei colonnelli, ma in fondo a questa crisi non vedo luce.
Theo Angelopoulos parla con tono doloroso della sua Grecia. La crisi economico-finanziaria che si è abbattuta sul suo paese lo ha lasciato sgomento. Non riesce a vedere come se ne possa venir fuori, eppure proprio di questo parlerà il suo nuovo film, L’altro mare, che comincia a girare a ottobre, a casa sua, con un cast interamente greco e una produzione internazionale. Dover riflettere sul gravissimo momento politico che sta attraversando la Grecia gli rende assai difficile tirarsene fuori per un momento, con un respiro di sollievo. E la voce spezzata ne è la prova. L’altro mare sarà l’ultimo atto di una trilogia cominciata nel 2004 con La sorgente del fiume e proseguita con La polvere del tempo, in uscita il 1 giugno, dopo diverse traversie distributive. Girato un paio di anni fa, in questo momento La polvere del tempo gli appare lontano e distante, nient’altro che un ricordo. Anche questa volta Angelopoulos, autore di film politico-storici ma anche visionari e mitici come La recita, Alessandro il grande, Il passo sospeso della cicogna, Lo sguardo d’Ulisse, il set dove morì Volontè e infine L’eternità e un giorno che gli valse la Palma d’oro a Cannes, fa un cinema immenso per ambizioni e immagini. La cifra è sempre quella sua particolare tecnica dell’inquadratura con piano sequenza che da un lato restituisce il tempo della realtà quotidiana e dall’altro lo immobilizza in una eternità straniante. Scritto con il poeta Tonino Guerra con cui ha spesso collaborato, interpretato da Willem Dafoe, Bruno Ganz, Irène Jacob, Christiane Paul, Michel Piccoli, attraverso la storia di Eleni, donna del 900 divisa tra l’amore di gioventù per Spyros e l’affetto adulto per Jacob, Angelopoulos ripercorre gli ultimi 60 anni della storia europea: dalla fine del conflitto mondiale che portò la Grecia a una guerra civile alla Berlino lucida e orogliosa del dopo la caduta del Muro. A raccontare questa storia un regista cinquantenne che dirige un film sui suoi genitori separati continuamente dal destino, naufraghi in un mondo che muta in continuazione.
Perchè ha chiamato come la mitica Elena di Omero la sua protagonista? Non mi pare le assomigli.
«Infatti non le somiglia. E’ solo perchè Eleni è un nome molto comune da noi. Non ho pensato nè all’Iliade né all’Odissea, però».
Tra poco il suo film esce anche da noi, eppure l’impressione è che ormai per lei quello sia un capitolo chiuso.
«E’ così. Quando finisco di girare un film non ci penso più. Quel che avevo da dire l’ho detto e sta là: la mia mente si concentra sul prossimo film».
Non è la prima volta che dirige una trilogia: come mai?
«Vero, l’ho già fatto in passato. Adesso, però, era più urgente. S’è chiuso un secolo, il 900, grande di speranze e catastrofi: mi pareva giusto ripensarci. Ma mentre due anni fa, quando ho girato La polvere del tempo, concludevo il racconto con l’immagine di un nonno che teneva per mano la giovane nipote, come se ci fosse una via verso la quale incamminarsi, oggi, davanti a questa crisi economica che sta devastando la mia gente, non vedo alcun sentiero libero da percorrere».
Teme che l’Europa abbandoni la Grecia?
«Non lo so. Non lo so. Le restrizioni sono tremende. Ho paura di disordini di piazza, scontri con la polizia, morti per le strade. L’animo dei miei concittadini è a pezzi. L’Europa è stata un sogno che s’è infranto troppo presto».
Non crede che lentamente la Grecia e gli altri paesi europei ne verranno fuori?
«Mah. Ho vissuto l’occupazione tedesca, sono fuggito dalla dittatura dei colonnelli, ho assistito alla fine del comunismo, ma non ho mai perso la speranza. Adesso non spero più. In gravi difficoltà economiche ci sono anche l’Irlanda, il Portogallo, la Spagna e perfino voi in Italia non state messi bene. Forse è l’Europa che ha fallito. Forse è la società occidentale che è entrata in crisi. Dovremmo reinventare un modello di sviluppo ma non abbiamo idea di come farlo».
Sono cadute le vecchie ideologie. Si può dire, Angelopoulos, che non siamo più figli di Hegel?
«Di Hegel certo, di Marx non ancora. La sua analisi del capitalismo, per me, è tuttora valida, pur se è da rivedere la soluzione a questi mali. L’Unione Sovietica non è stata una risposta efficace. Ne dovremmo inventare un’altra».
Noi, paesi del Mediterraneo, probabilmente dovremmo essere più attenti a quel che vivono i popoli africani.
«E’ una ipotesi. Certo è che noi, Francia compresa, sentiamo e viviamo situazioni analoghe. La Germania no. E’ diversa. I tedeschi sono efficaci, ricchi, potenti: non ci somigliano».
Come sarà questo terzo atto della sua trilogia?
«Ho pensato di concepirlo come una parabola, una sorta di metafora politica. Purtroppo intorno a me non avverto altro che pessimismo. Sarà un film nero. Le restrizioni per rimettere a posto il nostro bilancio pubblico sono feroci. Ho l’impressione che qualcosa sia morto per sempre. Non riuscirò, credo, a sperare di nuovo».
(31 maggio 2011)
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