Antemio Procopio è il protagonista di un romanzo fin qui sconosciuto, e oggi fortunosamente ritrovato, di Emilio De Marchi; l’autore, per intendersi, del meglio noto Demetrio Pianelli. Modesto impiegato, anche Antemio Procopio, non del Demanio, come il Pianelli, ma del Catasto, dalla vita oscura e senza speranza di luce, perché impastoiata da vicende familiari complesse e neppure tragiche. Tragiche, al massimo, per il grigiore irredimibile dei loro minuscoli attori, incluso il protagonista.
D’accordo. Basta così. La si smette qui con questa ingenua fola. Ci s’è provato. Ma solo per scherzo. Lettrici e lettori non se la sono del resto bevuta nemmeno per un attimo. Sanno bene che Antemio Procopio fu un imperatore romano d’Occidente. Uno degli ultimi, di quelli il cui nome non si fa proprio mai. Meglio: il cui nome veniva eventualmente fuori, per (richiesta di) puro esibizionismo nozionistico, in esami universitari di qualche disciplina filologica minore, a cavaliere tra storia romana e storia medioevale. Poniamo, “Storia dell’Impero romano d’Oriente”.
Fu un imperatore d’Oriente, infatti, che lo mise lì, Antemio Procopio, come fantoccio, per contrastare il potere, in Occidente, d’un generale goto che, a sua volta, di imperatori-fantoccio ne aveva già prima prodotti, quindi eliminati un paio. Eliminò infine anche il povero Antemio Procopio.
Di Antemi Procopi, nel mondo non c’è mai stata mancanza né mai ce ne sarà. Ci sono epoche, tuttavia, particolarmente feconde, per il tipo, del resto facilmente riproducibile in serie. In epoche del genere, circolano onorati da titoli, cariche, premi reboanti e di grande effetto. Non si sa come e perché. O, magari, si sa benissimo come e perché, ma lo si tace caritatevolmente. E capita che, di tali titoli, cariche e premi, un Antemio Procopio non riesca peraltro a trattenersi dal farsi incontinentemente bello: “Guardate tutti come porto bene lo scettro. E che scettro! Lo scettro di Cesare”.
Ritiene, chi si pavoneggia così, che scettro, medaglia, carica non solo garantiscano per lui ma persino lo onorino. Ed è ignaro del fatto che, invece, tutto ciò illustra e onora ben poco. A rendere illustre uno scettro sono sempre (state) circostanze eccezionali dei suoi titolari. Ivi incluse ovviamente le qualità umane eccezionali. Spesso eccezionali solo per caso. In quanto irrimediabilmente umane, forse sempre per caso.
Che prima di un Antemio Procopio, sia insomma stato un Marco Ulpio Traiano (per non fare un nome a caso) a fregiarsi del titolo di Cesare e a coprirne la relativa carica dice poco del valore dell’Antemio Procopio né lo illustra. Anzi, se quel valore è scarso o non c’è, invita crudamente a constatare lo stato di degrado di titolo e carica e delle procedure per la loro assegnazione: il paragone diventa infatti ineludibile.
Dalla grande politica tardo-antica a più frivole sfere esemplificative, tipiche di questa modernità tanto tarda e matura, da potere essere detta putrefatta. Ennio Flaiano, Primo Levi hanno reso illustri, coi loro nomi, noti concorsi letterari italiani. Ciò dice qualcosa delle qualità di qualche Antemio Procopio in séguito onorato di allori che si fa forse fatica a dire i medesimi? E se Alcide De Gasperi e Palmiro Togliatti furono un dì rispettivamente a capo del Governo italiano e di un’importante forza politica dell’opposizione, ciò significa che si sono collocati o si collocano alla loro altezza tutti coloro che, fino a oggi, hanno ricoperto e ricoprono funzioni comparabili?
L’epoca presente non pare propizia all’eventualità straordinaria di qualche Cesare. Molto propizia invece alla proliferazione degli Antemi Procopi. Ogni volta che si parla di onori, di titoli, di cariche per un Antemio Procopio è opportuno ci si pensi. Come lo è quando capita di incontrarne un esemplare e solo la certezza di sprecare il fiato trattiene dall’invitare anche lui a riflettere. Antemio Procopio per Antemio Procopio, al posto di passare da imperatore falso e fantoccio, potrebbe infatti risultargli più spiritualmente soddisfacente e onorevolmente dignitosa una vita vera da oscuro impiegato al Catasto, con l’inestimabile annesso premio d’un veloce oblio.
Il destino è però la cosa più intima e propria di cui chiunque disponga. Mutarlo è impossibile. Gli inviti a farlo sono di conseguenza inutili.
(3 marzo 2020)
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