Antigone, Creonte e la tragedia di Eluana Englaro
Cara MicroMega.net,
In un tempo caratterizzato dal rapido defluire dei fatti dalla spasmodica attenzione collettiva verso l’oblìo più totale, credo sia impossibile rimuovere la tragedia di Eluana Englaro. Tragedia aggravata dalla circostanza che vede inquisito, per omicidio volontario, il padre Beppino, su denuncia di qualche associazione pro vita, pare depositaria di verità assolute ed inconfutabili che si vorrebbero imporre ad una società intera. Vorrei fare solo una breve riflessione traendo spunto proprio da un articolo pubblicato, circa tre mesi fa, sul sito del Comitato Verità e Vita nel quale si raffronta la tragedia dell’Antigone di Sofocle con quella di Eluana, accostando quest’ultima alla nota protagonista della rappresentazione teatrale ed attribuendo, nel contempo, il ruolo di Creonte al sig. Englaro.
“Pollà tà deinà k’ouden anthrōpou deinòteron pélei” questa frase pronunciata dal Coro nella famosa tragedia greca è stata tradotta, nel corso dei decenni, con una pluralità di significati, fra gli altri: ‘molti sono i prodigi e nulla è più prodigioso dell’uomo’ (trad. di F. Ferrari in Tragedie, Bur Rizzoli), ma anche “Molto vi è di tremendo, eppure nulla vi è di più tremendo dell’uomo”. Vale la pena non trascurare, nella comprensione di questo importante passo, ciò che il Coro afferma quasi subito dopo con riguardo all’uomo “…D’ogni risorse è armato, né inerme mai verso il futuro si avvia: solo dall’Ade scampo non troverà, ma rimedi ha escogitato a morbi immedicabili. Scopritore mirabile d’ingegnose risorse ora al bene ora al male s’incammina (…)” (trad. Bur cit.).
Fra le altre traduzioni, la più eloquente ed espressiva del nostro tempo, credo sia quella di Martin Heidegger che ci pone di fronte all’inanità dell’essere umano ed al suo inutile tentativo di arrampicarsi su vette irraggiungibili: “Di molte specie è l’inquietante, nulla tuttavia di più inquietante dell’uomo s’aderge”. Dunque, nulla è più inquietante dell’uomo che si erge di fronte agli Dei ed alla Natura stessa. Sofocle traccia, sin dai primordi del pensiero occidentale, un’ambigua linea d’ombra che esprime, nello stesso tempo, la forza dell’uomo e la sua estrema fragilità, insieme all’inquietudine che deriva dall’uso illimitato della tecnica e dell’ingegno. Proprio l’ineluttabilità della morte ed il suo essere un evento naturale è la profonda lezione di vita che il mondo antico, nonostante i secoli, ci tramanda con alcuni dei miti più importanti.
Orfeo, scende nell’Ade, tenta di riavere alla vita la sua sposa Euridice, ma Persefone gl’impone una condizione troppo umana per poter essere assolta, quella di non voltarsi mai indietro per scorgere il volto della sua amata, durante la risalita dagli Inferi. Persefone sa, sin dall’inizio, che Euridice non vedrà mai più la luce del mondo dei vivi e che Orfeo la perderà per sempre. Non più fortunato fu Meleagro al quale, sin dalla nascita, le Moire avevano predetto una vita che sarebbe durata sino a che fosse durato il tizzone acceso nel camino della sua casa. Fu così che sua madre Altea strappò via il tizzone dal fuoco, nascondendolo. Ma la complessità indecifrabile delle vicende umane fece sì che la stessa Altea, molti anni dopo, riporrà il tizzone nel fuoco determinando la morte del figlio, reo di aver ucciso i congiunti di lei.
E’ molto semplice (e tendenzioso, direi) attribuire ad Eluana il ruolo di Antigone ed al padre quello di Creonte, il sovrano-custode (o presunto tale) della legge umana. Forse, ripeto forse, non essendo chi scrive depositario di alcuna verità assoluta, sarebbe molto più aderente alla realtà del nostro Tempo, incapace di esprimere un’etica collettiva – così scioccamente presuntuoso e imbevuto di una tecnologia, certo spesso utile all’esistenza umana ma, altrettanto spesso, vana – se il ruolo di Creonte fosse interpretato dai depositari della Vita e della Verità, mentre il ruolo di Antigone fosse attribuito, per contro, al sig. Englaro, cittadino dal comportamento esemplare ed al quale auguro, naturalmente, di superare anche quest’ultimo dramma kafkiano che lo vede indagato per la morte di sua figlia, dopo aver rispettato un sofferto provvedimento giudiziario, fra l’altro. Antigone avvertiva il senso delle leggi non scritte che hanno il loro fondamento nell’umana pietà non solo verso i vivi ma anche verso coloro che non lo sono più o verso chi si trova sull’incerta linea di confine fra la vita e la morte. Oggi l’umana pietà dovrebbe indurci, con un po’ di serenità, a trovare una soluzione legislativa nella direzione del testamento biologico che rispetti la volontà del singolo e non quella delle ideologie, pro vita o pro morte che siano, ma pur sempre considerando che la materia mal si presta ad essere imbrigliata nelle maglie di una legge per quanto razionale essa sia. Il bene della vita e la sua irripetibilità appartiene a ciascuno di noi ed a nessun altro! Qualsiasi legge in discussione in Parlamento non può non porre al centro della decisione ultima la volontà del singolo, quali che siano le forme in cui la stessa è (o sarà) espressa.
Consiglierei a taluni esponenti ecclesiastici, ed alle associazioni ad essi vicine, di imparare la lezione di Gottfried Ephraim Lessing, uno dei più brillanti filosofi dell’Illuminismo tedesco, che un paio di secoli fa scriveva: “Non la verità di cui ci si crede in possesso, ma il sincero sforzo per giungervi determina il valore dell’individuo… l’ illusione del possesso rende pigri e presuntuosi; solo la ricerca tiene desti ed insonni. Se Dio tenesse nella sua destra tutta la verità e nella sua sinistra il solo eterno impulso verso la verità con la condizione di dover andare errando per tutta l’eternità e mi dicesse: "scegli!", io mi precipiterei umilmente alla sua sinistra dicendo: "Padre, ho scelto! La verità pura non è che per te solo! “.
Nicola Viola, Genova
(9 giugno 2009)
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