Antilaicità, una storia millenaria

Michele Martelli



Se ti proponi di discettare di laicità, ti imbatti inevitabilmente nel suo contrario: l’antilaicità. Lo dicevano i logici medioevali e lo ripeteva il filosofo Baruch Spinoza, per ogni ente o concetto omnis determinatio est negatio: per sapere ciò che una cosa è, devi sapere anche ciò che non è. Ancor più difficile, al limite dell’impossibile, è il compito, se ti proponi di scrivere non una storia particolare, limitata nel tempo e nello spazio, della laicità, ma una storia generale, universale, mondiale del fenomeno, allargando smisuratamente il tuo orizzonte spazio-temporale, dalle prime comunità tribali fino all’epoca odierna, con incursioni storiografiche in numerosi paesi del mondo, dall’Occidente all’Oriente, dall’Africa all’Asia.

È quanto è accaduto a Raffaele Carcano, segretario dell’Uaar dal 2007 al 2016 (ora ne è coordinatore culturale), nel suo recente saggio, Storia dell’antilaicità. Cinque millenni di rapporti tra stati e religioni, Nessun dogma, Roma 2019. Un avventuroso viaggio nella storia mondiale, seguendo, in maniera talvolta sia diacronica sia sincronica, tre percorsi paralleli (corrispondenti alle tre parti del libro), che però in gran parte si intrecciano e sovrappongono, relativi rispettivamente al rapporto «tra le religioni e lo Stato», «tra gli Stati e la religione» e tra due differenti tipologie di laicità. Non è possibile in questa sede riferire nemmeno per brevi tratti questo lunghissimo, intricato e a volte dispersivo (almeno per il lettore meno motivato), ma sicuramente coraggioso viaggio esplorativo storico-globale sull’argomento. Posso però, a modo mio, sintetizzare, così, a volo d’uccello, le tre grandi tematiche affrontate nel saggio (le prime due, è appena il caso di dirlo, appartengono alla storia dell’antilaicità).

A) Le religioni, in ogni paese e in ogni tempo, senza eccezioni, dal cristianesimo alle religioni orientali (induismo, buddhismo, taoismo) hanno sempre cercato di subordinare a sé lo Stato in due modi: (a1) identificandosi direttamente con il potere politico (Stati ierocratici, ossia del governo diretto del clero, per es. l’Iran degli ayatollah khomeinisti); (a2) imponendo la propria supremazia sulla politica (Stati clericali, che privilegiano economicamente il clero, per es. quasi tutte le monarchie europee pre-’89, e Stati confessionali, dove è elevata a legge l’etica di una sola confessione religiosa, per es. i paesi arabi dove vige la sharia). – In tutti questi casi, siamo di fronte al tipico fenomeno dello Stato instrumentum fidei.

B) Anche gli Stati hanno sempre fatto una cosa inversamente analoga con la religione: (b1) con l’auto-deificazione, incorporando la religione (Stati teocratici, dove chi governa è elevato a divinità, o a suo supremo custode, per es. l’imperatore romano, anche pontifex maximus, o il re saudita, anche capo dell’Islam wahabita, o la monarchia sacra vaticana); (b2) imponendo la propria supremazia sulla religione (Stati confessionali pur essi, ma dove le religioni, – persino un’eventuale religione di Stato, – sono subordinate ai propri fini dal governo, per es. la Chiesa ortodossa nella Russia zarista, o quella cattolica nella Spagna franchista). – Qui siamo invece di fronte, in varie modalità, alla religione instrumentum regni.

C) L’ultimo tema, che innerva anche i primi due, è quello della laicità, distinta in due tipologie (già al centro, a dire il vero, seppure con criteri valutativi non po’ diversi, di un volume di Giovanni Fornero[1] stranamente non citato da Carcano), ossia: c1) la laicità debole, o laicità 1, consistente nel principio classico, lockiano e giurisdizionalistico, della separazione tra Stato e Chiesa, politica e religione («libera Chiesa in libero Stato», diceva Cavour), e c2) la laicità forte, o laicità 2, comprensiva della prima, e oggi prevalente, ma più ampia e problematica, consistente nel principio della garanzia dei diritti individuali sia nell’ambito civile sia in quello bioetico (divorzio, unioni civili, aborto, procreazione assistita, eutanasia, ecc.). – Qui siamo nella sfera dell’autodeterminazione individuale, dell’autonoma e libera scelta di ciascuno su questioni che riguardano la sua vita e la sua morte, scelta su cui nessuno può decidere al suo posto, da cui la religione statutaria deve essere esclusa, e che lo Stato deve garantire e proteggere con apposita legislazione.

Ovviamente, nella fenomenologia storico-empirica, la realtà dei rapporti tra Stati e religioni, anche nei casi sopracitati a mo’ di esemplificazione, è molto più sfumata, labile, fluida, complessa e intricata di qualsiasi schema teorico e interpretativo. Tanto da rendere difficile stabilire se, in che grado e fino a che punto uno Stato sia laico o non lo sia. Tra i 37 paesi che hanno introdotto il principio della laicità persino in Costituzione, osserva Carcano, troviamo, tra gli altri, il Burundi, il cui presidente si dichiara però «cristiano rinato» e «visionario»; il Nicaragua, che ritiene laico l’insegnamento scolastico, ma vieta l’aborto; la Federazione russa, che non riconosce una religione di Stato, ma discrimina gay e testimoni di Geova; il Bangladesh, la cui formale professione di laicità convive con l’Islam religione di Stato e in cui i blogger laici sono perseguitati e assassinati; l’India, che non ammette discriminazioni confessionali, ma finanzia le scuole private religiose; l’Italia, che dona alla Chiesa cattolica l’otto per mille e l’esenzione l’Imu, e persino la Francia, che con Sarkozy e Macron è andata via via stemperando la sua proverbiale laïcité.

Opportuno rilevare alcune gustose «chicche» presenti nel saggio, tra cui: dopo l’’89 francese, fu la Nuova Zelanda ad approvare per prima, nel 1893, il suffragio universale (p. 218); il primo Stato a legalizzare l’aborto fu l’Urss, nel 1920, mentre il primo a costituzionalizzare l’«ateismo di Stato» fu invece l’Albania (p. 236) (superfluo aggiungere che uno Stato ateo è uno Stato confessionale, tutt’altro che laico); in Alsazia-Lorena vige tuttora il Concordato napoleonico (p. 242); e infine, ciliegina sulla torta, nella Russia putiniana, nel 2017, il patriarca Kirill benedisse i computer del Ministero degli Interni, contro il virus Wannacry (p. 293): l’esorcista del servo del Dio Web contro Satana-Virus?

Per finire, due osservazioni critiche e metodologiche di opposto valore:

a) discutibile, mi pare, la scelta di non citare nel testo le fonti utilizzate: non si tratta di acribia accademica, ma di trasparenza e controllo della ricerca; posto che, per la vastità degli argomenti trattati, fosse sconsigliabile la citazione diretta, il che è abbastanza ragionevole, credo però che si poteva optare almeno per una bibliografia sintetica ragionata, distribuita e raggruppata per temi, certamente utile e di facile consultazione per il lettore desideroso di saperne di più;

b) condivisibile, invece, l’avversione al dogmatismo che traspira ad ogni pagina del saggio, e soprattutto nella parte finale, rela
tiva all’oggi; la cortese, ma sorprendente polemica agnostica contro l’ateismo puro e duro (di Dio non si può dimostrare né che esiste né che non esiste, pp. 341, 346); la critica del pregiudizio che laici possano essere solo i non credenti o i religiosamente indifferenti; al contrario, lo sono legittimamente anche i credenti, purché rinunzino all’«argomento Dio» nello spazio politico-pubblico (si sa, cristiani furono anche alcuni difensori della laicità come Occam e Grozio); la tesi infine, quasi di sapore scettico, che la laicità non è come un vestito bello e confezionato, pronto all’uso, valido per tutte le stagioni, taglie, tasche e gusti, bensì una realtà fragile, in evoluzione, sempre a rischio, da definire volta per volta, e la cui affermazione storica dipende soltanto da noi, dal nostro impegno di lotta.

[1] Giovanni Fornero, Laicità debole e laicità forte. Il contributo della bioetica al dibattito sulla laicità, Bruno Mondadori, Milano 2008.

(3 luglio 2019)





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