L’“Appello per l’Europa” di Sindacati e Confindustria è un clamoroso errore storico

Enrico Grazzini



L’ “Appello per l’Europa” firmato qualche giorno fa dai sindacati CGIL, CISL e UIL e da Confindustria conferma purtroppo la profonda debolezza di analisi e di capacità propositiva delle organizzazioni dei lavoratori e dell’associazione nazionale degli imprenditori nel campo decisivo delle politiche europee e delle politiche macroeconomiche. L’Appello, farcito di enfatica retorica europeista, dimostra che sindacati e Confindustria – organismi della società civile ovviamente fondamentali per l’evoluzione e il progresso della società italiana – sono purtroppo ancorati a una ideologia vetusta, del tutto irrealistica e acritica nei confronti delle politiche della Unione Europea.

Siamo nel mezzo di una crisi conclamata della UE e dell’eurozona; l’economia europea è nuovamente sull’orlo di una crisi recessiva. Ma il documento ignora tutto questo. Difende a spada tratta l’Europa, esorta (giustamente) tutti i cittadini ad andare a votare alle elezioni europee di maggio, ma non accenna minimamente ad una analisi critica sulle pesanti conseguenze negative delle politiche di austerità che hanno colpito l’Italia e i Paesi europei negli ultimi dieci anni. L’appello ripropone quelle riforme (eurobond, investimenti pubblici, ecc) già avanzate da almeno due lustri, ma mai accettate dalla UE, e quindi purtroppo velleitarie ed illusorie. Non c’è nessuna analisi critica sulla crisi dei bilanci pubblici causata dal predominio dei mercati finanziari. Nessun accenno al fatto che la UE si sta disintegrando per contraddizioni interne. Solo stupefacenti affermazione sui presunti grandi successi della UE e vaghe proposte consolatorie.

La povertà culturale nell’affrontare gli attuali problemi europei e nazionali è tanto più grave considerando che quasi certamente la crisi dell’eurozona – che è il cuore dell’Unione Europea – è destinata a peggiorare (o a precipitare) già nel prossimo futuro a causa delle crescenti tensioni commerciali tra Europa e Stati Uniti, e soprattutto a causa dei probabili prossimi sgonfiamenti dei mercati finanziari previsti ormai da quasi tutti gli economisti – i mercati finanziari sono infatti da troppi anni drogati dalle politiche monetarie espansive attuate delle banche centrali di tutto il mondo, ma l’”effetto droga” non può durare in eterno! -. Se le analisi di sindacati e Confindustria sono così povere oggi, come potranno le due più importanti organizzazioni sociali italiane affrontare le nuove più gravi crisi che ci aspettano nel prossimo futuro? Le ormai prossime e vicine crisi metteranno a nudo la fragilità genetica del sistema monetario europeo e le contraddizioni strutturali di una Unione Europea che poggia su una moneta unica gestita in ultima analisi dai mercati finanziari, ovvero fondata sulle sabbie mobili. Allora la povertà di analisi e di proposta di sindacati e Confindustria di fronte al prevedibile caos finanziario potrebbe diventare davvero disastrosa.

L’Appello tace pudicamente sul fatto che le politiche finanziarie restrittive imposte tenacemente dalla Commissione Europea hanno frenato l’economia europea, hanno diviso le nazioni europee, e, per quanto riguarda l’Italia, hanno colpito duramente le attività produttive, il risparmio e il lavoro, provocando più povertà, più disoccupazione e maggiore diseguaglianza sociale. Tace sul fatto che le politiche d’austerità, imposte in maniera autoritaria dall’alto, da istituzioni non elette e irresponsabili di fronte ai popoli europei, hanno avvantaggiato solo gli stati più forti, in primis la Germania, e hanno fatto solo gli interessi della grande finanza. L’analisi e le proposte politiche di riforma del sistema europeo riecheggiano nostalgicamente quelle, già dimostratesi inefficaci, dei passati governi di centrosinistra di Letta, Renzi e Gentiloni, come se il tempo della politica si fosse fermato al centrosinistra. Ma vediamo più nel dettaglio le considerazioni e le proposte che vengono avanzate nell’Appello congiunto.

Perché un appello per l’Europa?”si chiede in apertura l’Appello. E poi si risponde” Perché l’Unione europea ha garantito una pace duratura in tutto il nostro continente e ha unito i cittadini europei attorno ai valori fondamentali dei diritti umani, della democrazia, della libertà, della solidarietà e dell’uguaglianza”.

Ma è del tutto erroneo affermare che l’Unione Europea ha avuto il merito di portare la pace in Europa! Dopo due guerre mondiali, ambedue scatenate dalla Germania – uno stato che dal ’45 in poi è diventato democratico, pacifico e disarmato – in Europa la pace ci sarebbe stata certamente anche senza la UE! anche perché tutti i maggiori Paesi della UE aderiscono a un’altra grande (e più potente) organizzazione internazionale, la NATO, ed è praticamente impossibile che … si facciano la guerra tra loro, almeno in senso militare! Invece la guerra economica (e politica) tra gli stati europei c’è già, ed è diventata più dura proprio a causa dell’euro! Inoltre la solidarietà e l’eguaglianza non sono certo di casa in questa Europa. I diritti umani sono affogati nel mare Mediterraneo e migliaia di cadaveri testimoniano che sono morti ai confini dell’Europa! E la democrazia e la libertà caratterizzano la maggior parte degli stati europei ed occidentali, ma certamente non l’Unione Europea, che è una istituzione intergovernativa in cui il Parlamento ha solo il compito di ratificare ciò che i governi e la Commissione UE hanno già deciso.

L’Appello per l’Europa è inoltre fin dall’inizio ambiguo e fuorviante perché viene proclamato, appunto, a favore dell’Europa, che però di per sé è solo una espressione geografica. Forse per pudore l’appello non viene invece rivolto chiaramente già nel titolo a favore del vero destinatario, che è l’Unione Europea: infatti non sono molti ad amare i politici e le tecnocrazie dell’Unione Europea! Un appello per l’Unione Europea non sarebbe stato accolto molto favorevolmente, mentre l’appello per l’Europa suona meglio ed è ingannevolmente seducente. Infatti in astratto, sul piano puramente ideale, tutti gli uomini di buona volontà sono "europeisti", perché tutti vorrebbero abbattere le barriere che separano non solo i popoli europei ma i popoli della terra intera. Tutti in teoria vogliamo la pace, la libertà, la democrazia e l’eguaglianza tra i popoli, quindi tutti auspichiamo la maggiore unione possibile dell’Europa sul piano sociale, culturale, scientifico, artistico, sindacale e anche produttivo e commerciale.

Il problema però è che sul piano istituzionale e politico non esiste l’Europa ma c’è l’Unione Europea, nata come organismo sovranazionale con il Trattato di Maastricht. Ed esiste, a fianco della UE, una Eurozona intergovernativa a cui peraltro non tutti gli stati della UE appartengono o hanno deciso di appartenere. UE e Eurosistema non sono però la stessa cosa e non dovrebbero essere trattati come tali. Gli stati della UE sono 28 (escludendo la Gran Bretagna), gli stati dell’Eurosistema sono 19. Questa distinzione è fondamentale ma non è neppure citata dall’Appello. Non si considera neppure che l’Unione Europea è basata dichiaratamente su ideologie liberiste che trovano la loro piena attuazione solo nell’Eurosistema.

I pilastri ideologici del Trattato di Maastricht che hanno fondato e plasmato le istituzioni della UE e dell’eurosistema riposano esplicitamente su alcuni concetti chiave: libera circolazione dei capitali, fiducia assoluta nella capacità di auto-regolazi
one dei mercati, deregolamentazione, esaltazione della concorrenza come unica chiave dello sviluppo, limitazione degli interventi dello Stato solo ai casi più clamorosi di “fallimento del mercato”, proibizione delle politiche industriali considerate come “aiuti di stato”. L’ideologia fondante della UE è chiaramente anti-keynesiana e addirittura anti-statale. La piena occupazione non è un obiettivo di questa Unione Europea e dell’eurozona.

“Vogliamo un’Europa nuova, forte e solidale, fondata sul lavoro, attenta alle tematiche sociali, capace di combattere le diseguaglianze e il dumping sociale, innovativa, in grado di sostenere investimenti e innovazione” ha spiegato il segretario generale della Cgil Maurizio Landini. Tutto ciò è idealmente del tutto condivisibile. Ma non c’è troppa ingenuità in questa proposizione? Questa UE, creata dall’accordo di decine di governi europei, è davvero in grado di rinnovarsi radicalmente nel senso voluto dal segretario generale della Cgil? Landini, Annamaria Furlan (CISL), Carmelo Barbagallo (UIL) non sanno per esempio che in base alle direttive della UE è fatto obbligo all’Italia – sotto minaccia di sanzioni – di non scendere sotto il “livello naturale di disoccupazione” (in sigla NAIRU) considerato – in base alle (false) stime della UE – pari al 10% perché altrimenti l’economia italiana si “surriscalderebbe” e creerebbe troppa inflazione? E’ questa UE, la UE della disoccupazione, che loro vogliono difendere e rafforzare, e a cui vorrebbero magari cedere ancora più sovranità? Credo proprio di no.

Nella UE, e nell’eurozona in particolare, la finanza domina le politiche democratiche degli stati e di fatto esautora i Parlamenti. L’euro è la “maggiore conquista” della UE; ma non c’è dubbio che l’assoluta libertà di movimento di capitali prevista dai Trattati della UE, l’architettura deflazionistica della moneta unica e le conseguenti politiche di austerità abbiano provocato e provochino la crisi dell’economia europea, e di quella italiana in particolare. I bilanci degli stati europei dipendono dalle oscillazioni di mercato e dalle speculazioni dei grandi operatori finanziari, senza che neppure la Banca Centrale Europea possa avere il potere (negato dal Trattato di Maastricht) di intervenire direttamente in difesa degli stati bersagliati dalla speculazione. Ecco perché l’Unione monetaria è sempre sull’orlo della crisi e della rottura!

E’ concretamente con questa Unione Europea che i lavoratori e gli imprenditori devono confrontarsi, e non con l’Europa della cartina geografica o dei loro desideri.

Perché un appello per l’Europa? Perché l’UE è stata decisiva nel rendere lo stile di vita europeo quello che è oggi. Ha favorito un progresso economico e sociale senza precedenti (?) con un processo di integrazione che favorisce la coesione tra Paesi e la crescita sostenibile (?). Continua a garantire, nonostante i tanti problemi di ordine sociale (!), benefici tangibili e significativi (!!!), nella comparazione internazionale, per i cittadini, i lavoratori e le imprese in tutta Europa”.

Un manifesto del genere poteva forse essere scritto venti o trenta anni fa, quando l’euro stava nascendo e si nutrivano molte illusioni sulla possibilità di cooperazione economica e sociale, sulla possibilità di realizzare addirittura gli Stati Uniti d’Europa. Ma oggi non è più possibile affermare che la UE, e soprattutto l’eurozona della moneta unica, hanno prodotto benefici tangibili e significativi per i cittadini, i lavoratori e le imprese in tutta Europa.

Forse i dirigenti sindacali e confindustriali hanno la memoria corta, ma dovrebbero ricordare almeno due eventi particolarmente importanti: la lettera di natura prettamente politica inviata dalla Banca Centrale Europea al Governo italiano il 5 agosto 2011 e firmata da Jean Claude Trichet e da Mario Draghi, rispettivamente ex ed attuale presidente della BCE. E l’intervento feroce della UE e della Troika (UE, BCE e Fondo Monetario Internazionale) in Grecia.

La lettera della BCE al governo italiano imponeva tra l’altro di modificare il sistema di contrattazione salariale collettiva, privilegiando la contrattazione aziendale rispetto a quella nazionale; di rivedere il sistema pensionistico allungando l’età pensionabile; di riformare la Costituzione per introdurre obbligatoriamente il pareggio di bilancio (cioè la messa fuori legge delle politiche keynesiane di sviluppo). Tutte le indicazioni della BCE sono state poi messe in atto dai governi italiani: ma non hanno certamente portato benefici né ai cittadini né sul piano della crescita del PIL né per quanto riguarda la riduzione del debito pubblico.

Inoltre sarebbe imperdonabile dimenticare che le feroci politiche della UE, dettate da Berlino, hanno portato al disastro del popolo greco: in Grecia tra il 2009 e il 2017 il Pil è caduto drammaticamente (-25%) mentre il rapporto debito/Pil è salito dal 127% al 179%, nonostante gli “aiuti” della Troika per 310 miliardi di euro. La vecchia e civile “Europa” ha provocato un disastro umanitario, economico e finanziario!

In realtà la UE, nel nome della assoluta libertà dei capitali finanziari, persegue politiche di precarietà lavorativa, di riduzione dei salari, di compressione dello stato sociale, di privatizzazione selvaggia dei servizi sociali e del welfare, di pareggio di bilancio in Costituzione. In quanto alla cooperazione internazionale europea, evocata nell’Appello, bisognerebbe capire se è stata davvero così positiva, per esempio nelle faccende libiche o in Siria.

La Confindustria da parte sua rappresenta diversi interessi anche contrastanti: quelli delle grandi aziende pro-euro che esportano e che operano a livello internazionale, e quelli delle piccole e medie imprese attive sul mercato interno, spesso strozzate dall’austerità e dalla mancanza di credito. Ma il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, dovrebbe riconoscere che la moneta unica e la finanziarizzazione spinta dell’economia europea non hanno portato crescita e sviluppo né in Italia né in Europa. Secondo la Banca Mondiale nell’area dell’euro il prodotto interno lordo espresso in dollari è stata inferiore nel 2017 rispetto a quello del 2009; nello stesso periodo il PIL è cresciuto del 139% in Cina, del 96% in India e del 34% negli Stati Uniti. Espresso in euro e non in dollari, il PIL nell’eurozona è cresciuto solo di un misero 0,6% all’anno[1]. I paesi europei fuori dall’euro sono cresciuti molto di più. In Italia il PIL del 2018 è ancora inferiore a quello di 10 anni fa per circa il 5% del PIL.

La deflazione prodotta dalle politiche europee di austerità ha svalutato il capitale nazionale e diminuisce il valore delle industrie italiane, che così possono più facilmente essere acquistate a poco prezzo dal capitale straniero. Affermare che l’euro ha protetto dalla crisi il sistema industriale italiano e la grande maggioranza delle aziende nazionali è quindi, più che azzardato, assolutamente falso. Inoltre tutta l’eurozona sta per essere colpita nuovamente da un’altra recessione, che penalizzerà prevedibilmente soprattutto i Paesi più deboli. E l’Italia è ancora al centro della crisi!!!

“Perché un appello per l’Europa? Perché gli interessi economici nazionali, oggi, possono essere perseguiti, in una dimensione continentale, solo attraverso politiche europee. Di fronte ai giganti economici, i paesi europei presi singolarmente, avranno sempre minore peso politico ed economico&rdq
uo;.

In teoria sarebbe bello essere tutti uniti e tutti più concorrenziali nella competizione serrata con giganti economici come USA, Cina, India, ecc. Ma non è assolutamente detto che questa UE e l’eurozona perennemente in crisi rafforzino e rendano più competitive le economie nazionali e l’Europa. E’ piuttosto vero il contrario! E’ difficile dimostrare che le politiche di austerità e le politiche bancarie dettate dalla UE abbiano rafforzato la competitività dell’industria e delle banche italiane! I numeri dicono il contrario. La caduta degli investimenti industriali, legata alle politiche oggettivamente restrittive e deflattive dell’eurozona, non agevolano certamente gli aumenti di produttività necessari per competere a livello globale. I bassi salari e la precarietà lavorativa deprimono il capitale umano, che è la maggiore risorsa competitiva nel “capitalismo della conoscenza” e nel capitalismo digitale. A causa della perenne fragilità dell’euro e delle politiche di austerità, l’Europa è considerata, non a torto, un fattore di crisi per l’economia globale, e non di sviluppo. Occorre riconoscere che questa UE che deprime le economie nazionali e accentua i contrasti tra economie del nord e del sud Europa, non può diventare competitiva.

Perché un appello per l’Europa? Perché la risposta non è battere in ritirata ma rilanciare l’ispirazione originaria dei Padri e delle Madri fondatrici, l’ideale degli Stati Uniti d’Europa

Purtroppo, mentre in Europa la destra europea è assai critica verso la UE (anche perché le industrie nazionali soffrono di fronte al crescente dominio della grande finanza internazionale) la sinistra europeista sembra invece ipnotizzata dai miti del lontano passato, dai miti aurei del grande sogno europeo coltivato tanti anni fa (e in tutt’altra situazione) dai Padri Fondatori. La sinistra si rifà al mito fondativo spinelliano dell’Europa unita, che però poggiava sugli ideali socialisti di eguaglianza traditi da questa Europa a guida tedesca, e che sono completamente superati dalla dura realtà attuale.

In effetti il mondo intellettuale progressista non è ancora in grado di contrastare radicalmente questa Unione Europea per proporre una Unione davvero alternativa, rispettosa delle autonomie e delle prerogative nazionali, fondata sulle democrazie parlamentari dei singoli Paesi, sulla democrazia economica (come per esempio si è affermata in Germania con la Mitbestimmung, che però “stranamente” la UE non promuove ….), e su cooperazioni flessibili tra i Paesi, non sui mercati finanziari e sulla centralizzazione autoritaria.

“L’Europa deve proseguire il processo di integrazione, deve andare avanti, completare l’Unione economica, accelerare la convergenza sui diritti e sulle tutele sociali, rafforzare la prospettiva dell’Unione politica. Un percorso costituente, comunque necessario. È già accaduto nel 1957 con i sei paesi fondatori; è successo nel 1998 con la creazione dell’’euro.Un rafforzamento istituzionale che assicuri il primato del Parlamento europeo e renda il modello di governante più efficace, anche attraverso un trasferimento di sovranità”.

Qui si propone un errore colossale! Ulteriori trasferimenti di sovranità a questa UE sono infatti da contrastare apertamente. E’ oggettivamente anti-democratico invocare la completa integrazione politica europea sotto uno stato centralizzato europeo di tipo federale che sarebbe certamente a guida tedesca! Basta una sommaria e superficiale analisi per comprendere come la UE intergovernativa sia diretta dagli stati più forti – vedi Germania e diarchia franco-tedesca – che impongono a loro esclusivo vantaggio politiche di austerità contro le nazioni e gli strati sociali più deboli.

In questa Unione Europea la solidarietà non è di casa! I deboli vengono schiacciati! Occorre prendere atto che i “sovranisti” non abitano solo in Italia, ma che i governi realmente sovranisti, interessati in maniera miope ai loro interessi nazionalistici, sono innanzitutto quelli di Germania e Francia. Gli Stati Uniti di Europa a egemonia tedesca o franco-tedesca sono da respingere.

“Le conseguenze economiche e sociali della crisi degli anni recenti e delle politiche di rigore pesano ancora sui cittadini, sui lavoratori e sulle imprese ….Il progetto dell’UE deve, al contrario, essere rilanciato nitido e forte in tutta la sua portata di civiltà e noi, Parti Sociali italiane, crediamo sia cruciale per affrontare le sfide e progettare un futuro di benessere per l’Europa, ancora uno dei posti migliori al mondo per vivere, lavorare e fare impresa. Abbiamo molto di cui essere orgogliosi e da questo dobbiamo partire per migliorare lavorando insieme.”.

Tutte le statistiche ci dicono che questa cosiddetta Europa e soprattutto questo euro (inteso non come mero strumento di scambio commerciale ma come architettura monetaria) – non hanno provocato convergenze tra le nazioni e tendenze all’eguaglianza, ma hanno oggettivamente (dati alla mano) prodotto divaricazioni tra le nazioni e le classi sociali. Il capitale industriale e finanziario si è concentrato nelle nazioni più ricche, in Germania e negli stati della cosiddetta “nuova Lega Anseatica”, cioè Olanda, Irlanda, Finlandia, Danimarca, Svezia, e i tre Paesi baltici, tutti fortemente orientati alle più dure politiche di austerità.

Non a caso le politiche della UE hanno generato, e stanno provocando, proteste e rivolte, e reazioni da parte degli strati sociali e delle nazioni più deboli. Purtroppo – anche per la cecità della sinistra progressista – queste proteste sono state spesso (ma non sempre) sfruttate politicamente dalla destra più nazionalistica, xenofoba e fascistoide. Purtroppo è proprio questa UE fallimentare che – in nome del nobile ideale europeista – viene magnificata dall’Appello congiunto dei rappresentanti dei lavoratori e degli imprenditori.

“Quelli che intendono mettere in discussione il Progetto europeo, vogliono tornare all’isolamento degli Stati nazionali, alle barriere commerciali, ai dumping fiscali, alle guerre valutarie, richiamando in vita gli inquietanti fantasmi del novecento”.

Non è vero che quelli che intendono mettere in discussione il Progetto europeo, vogliono tornare all’isolamento degli Stati nazionali,ecc. E’ invece indispensabile per le forze democratiche mettere radicalmente in discussione la UE del Trattato di Maastricht e del Fiscal Compact proprio per combattere lo sciovinismo e il protezionismo e proporre una Unione alternativa, una unione realmente cooperativa. Del resto questa unione basata sulla moneta unica è ormai ampiamente criticata da tutti i maggiori economisti progressisti e di sinistra. Nell’ultimo numero di Micromega ho scritto[2] all’inizio del mio contributo sull’insostenibilità dell’euro: Sono passati vent’anni da quando è stato inaugurato ufficialmente l’euro: è tempo di bilanci. Luciano Gallino lo disse chiaramente: «L’euro non funziona e non funzionerà mai»[3]. Non molto diversamente si è espresso il premio Nobel per l’economia Joseph Stiglitz: «L’avevo previsto: l’euro è un sistema quasi progettato per fallire»[4]. «L’euro è stata un’idea orribile», ha affermato Amartya Sen, altro premio Nobel per l’economia: «Lo penso da tempo. Un errore che ha messo l’economia europea sulla strada sbagliata. Una mone
ta unica non è un buon modo per iniziare a unire l’Europa. I punti deboli economici portano animosità invece che rafforzare i motivi per stare assieme. Hanno un effetto di rottura invece che di legame. Chi scrisse il Manifesto di Ventotene combatteva per l’unità dell’Europa, con alla base un’equità sociale condivisa, non per una moneta unica»[5].

Forse che i dirigenti dei tre sindacati non hanno mai sentito parlare di Gallino, di Stiglitz e di Amartya Sen? E’ veramente preoccupante che i sindacati, i loro uffici studi, e in particolare la “nuova” CGIL di Maurizio Landini, non tengano minimamente in considerazione le analisi delle maggiori intelligenze nel capo dell’economia a livello nazionale e internazionale. Ma non occorre essere degli economisti premio Nobel per comprendere che l’eurozona è diventata un campo di battaglia tra stati creditori e stati debitori. La moneta unica non unisce ma divide.

L’Europa deve proseguire il processo di integrazione, deve andare avanti, completare l’Unione economica, accelerare la convergenza sui diritti e sulle tutele sociali, rafforzare la prospettiva dell’Unione politica.

Ma come è possibile scrivere un appello completamente acritico a favore dell’integrazione politica e fiscale di questa Unione Europea

– dopo che che le politiche europee hanno portato a una doppia recessione – la prima, nel 2008, dovuta alla crisi dei subprime, ma la seconda, nel 2010-11 dovuta esclusivamente alle politiche restrittive dettate dal governo tedesco. Non a caso l’eurozona è diventata secondo il Fondo Monetario Internazionale l’area più critica per lo sviluppo globale, mentre gli altri paesi del mondo sono in qualche modo già usciti dalla crisi

– dopo che per entrare nella UE abbiamo smantellato e privatizzato tutto il settore pubblico, da Telecom all’IRI alle banche, svendendolo in gran parte a operatori esteri e impoverendo il paese

– dopo che la crisi greca ha portato a un disastro umanitario di proporzioni enormi

– dopo la rivolta francese contro le politiche anti-popolari avviate dal presidente “grande europeista” Emmanuel Macron, ex banchiere della Rothschild

– dopo che la UE ha mostrato una assoluta incapacità di governare i flussi migratori e, come unica politica, ha chiuso le porte e i mari a centinaia di migliaia di disperati in fuga dalle guerre e dalla miseria

– dopo che l’Unione Bancaria si è dimostrata un fallimento e ha danneggiato i risparmiatori italiani e le banche, tanto che la stessa Associazione Bancaria Italiana ha definito le sue politiche “incostituzionali”

– dopo che la UE si sta sgretolando per i contrasti tra i Paesi tra Nord (Germania e l’alleanza cosidetta Anseaica) e sud Europa, tra est (Paesi di Visegrad) e ovest, e con la Brexit

– dopo che i paesi dell’eurozona – e prima di tutto l’Italia – sono ancora nel tunnel della crisi mentre si annuncia un’altra probabile grave recessione.

Non voglio assolutamente affermare che la UE e la moneta unica siano l’unica causa delle storture e delle fragilità nazionali. Sarebbe stupido. Ma certamente le politiche della UE hanno contribuito in maniera decisiva a peggiorare gravemente la condizione dell’Italia.

In conclusione sembra che questo appello congiunto tra i rappresentanti delle imprese e del mondo del lavoro sia stato scritto per motivazioni prevalentemente politiche. Forse ai sindacati e a Confindustria interessa unirsi in sacra alleanza per contrastare l’attuale governo giallo-verde “nazionalista ed antieuropeo”; forse i sindacati e i rappresentanti del mondo imprenditoriale italiano vogliono mostrare di aderire all’appello di Nicola Zingaretti, il neo segretario del PD, e di Carlo Calenda per un’alleanza europeista che vada da Macron a Tsipras.

Ma i sindacati si sbagliano alla grande se credono che così possano guadagnare consenso tra i lavoratori. Il fronte unito indistinto pro-UE proposto da Zingaretti e Calenda rischia di portare ancora più acqua al mulino del nazionalismo più ottuso e autoritario. I sondaggi indicano chiaramente che i lavoratori in grande maggioranza (a differenza invece della maggior parte degli economisti e intellettuali di centrosinistra e sinistra) non nutrono più illusioni su questa Europa che lascia campo libero alla finanza e alle delocalizzazioni, e che attacca frontalmente i lavoratori promuovendo nei fatti la deregolamentazione del mercato del lavoro e il libero commercio della merce-lavoro.

Se si schiereranno passivamente e acriticamente a favore di questa Unione Europea, i sindacati e le forze progressiste non riusciranno a fermare la pericolosissima ondata nazionalista, populista, xenofoba e fascistoide che sta montando in Italia e in tutta Europa proprio a causa delle politiche restrittive, antipopolari e autoritarie della UE e dell’eurozona. Bisogna riconoscere che le analisi “euroscettiche” del Movimento 5 Stelle – e perfino quelle della Lega di Matteo Salvini – sono assai più realistiche di quelle del centrosinistra o della sinistra. La politica pro-Ue e pro-euro rischia di essere controproducente per le stesse organizzazioni sindacali e delle imprese.

Le proposte dell’Appello: giuste ma velleitarie

L’Appello chiede ai deputati italiani che verranno eletti nel prossimo Parlamento Europeo che si facciano promotori di un piano straordinario per gli investimenti, di una politica industriale europea, dello sviluppo del dialogo sociale e della contrattazione tra le parti sociali. La proposta più concreta riguarda tuttavia l’attuazione di un piano straordinario per gli investimenti in infrastrutture ed in reti. Per finanziarlo si propone di emettere degli Eurobond, ovvero dei titoli di debito europei garantiti da un capitale iniziale versato dai Paesi membri. L’Appello propone inoltre di escludere la spesa nazionale di cofinanziamento dei progetti europei dai vincoli del Patto di Stabilità e Crescita.

Ovviamente queste proposte sono del tutto condivisibili. Ma in pratica rischiano di essere quasi totalmente velleitarie e irrealizzabili. Sono proposte vecchie, avanzate da molti anni, ma sempre respinte dalla UE condizionata ed egemonizzata dal governo di Berlino, che non ha mai accettato politiche espansive e di condivisione dei rischi.

Nulla di originale quindi nelle proposte dell’Appello congiunto sindacati-Confindustria. Il problema è che mancano altre proposte, magari più importanti e fattibili. Mancano per esempio proposte – che pure sono attualmente oggetto di discussione e di dibattito in Europa – sugli standard per un salario minimo europeo e sulla indennità comune di disoccupazione. Non si menziona la necessità di concedere alla BCE il potere di contrastare la speculazione sui mercati finanziari, e la possibilità di finanziare direttamente o indirettamente – magari attraverso la Banca Europea degli Investimenti – i progetti e le infrastrutture pubbliche europee e nazionali.

Per quanto riguarda l’Italia, sindacati e Confindustria non hanno affrontato temi strategici per una vera ripresa: non ci sono proposte per la riduzione del debito pubblico, per la democrazia economica, per il contrasto alla disoccupazione e alla precarietà del lavoro che condanna i giovani italiani all’emigrazione.

Eppure la crisi va affrontata innanzitutto a livello nazionale. Purtroppo è difficile credere che le condizioni istituzionali e politiche dell’eurozona permettano di illudersi sulle possibilità future di riformare l’Unione dei 28 paesi o l’eurozona dei 19 stati. E’ praticamente impossibile modificare i trattati costitutivi della UE, e il prossimo Parl
amento dell’Unione Europea sarà prevedibilmente ancora più conservatore e a favore delle politiche di austerità di quello attuale. Il governo di Berlino si sta spostando a destra e molto difficilmente accetterà politiche espansive. In Germania c’è già chi prevede l’Italexit e l’espulsione dell’Italia e della Grecia dall’aurozona.

Due riforme possibili e necessarie: creazione di una banca pubblica nazionale e emissione di Titoli Fiscali

Non è quindi possibile aspettare passivamente di riformare tutta l’eurozona per attuare riforme vere e sostanziali a favore dei lavoratori italiani e dell’economia nazionale. Senza aspettarsi aiuti e miracoli dall’Europa, occorre trovare urgentemente delle soluzioni nazionali per uscire dalla crisi, pur muovendosi necessariamente dentro il quadro normativo dell’eurozona e della UE. Qui avanzo due proposte che mi sembrano praticabili e concrete, e che si potrebbero attuare a livello nazionale nel rispetto dei trattati e delle regole europee.

La prima riguarda la necessità di realizzare una banca pubblica nazionale che possa farsi finanziare dalla BCE alla pari di tutte le altre grandi banche europee e nazionali, e che faccia gli investimenti industriali e infrastrutturali di medio e lungo periodo indispensabili per l’Italia. L’Italia è l’unico grande paese europeo che non ha una banca pubblica di sviluppo. E’ ora di rimediare a questa carenza strategica.

La banca pubblica potrebbe non solo finanziare gli investimenti indispensabili per lo sviluppo, ma potrebbe inoltre acquistare con i soldi prestati dalla BCE a tasso di interesse zero i BTP che rendono circa il 2,50%. In questo modo, la banca pubblica italiana potrebbe calmierare e/o assorbire facilmente e con profitto buona parte del debito statale, mettendolo al sicuro rispetto alla speculazione estera.

Inoltre sarebbe auspicabile, che il nostro Paese riacquistasse forme efficaci di sovranità monetaria pur restando nell’area della moneta unica. Stiglitz ha recentemente suggerito al governo italiano l’emissione di una moneta alternativa all’euro in vista dell’Italexit[6]. Lo scrivente invece ha proposto, e propone, insieme ad altri studiosi, che il governo emetta una quasi-moneta complementare alla moneta unica europea, ovvero i Titoli di Sconto Fiscale con maturità al quarto anno dall’emissione ma immediatamente convertibili in euro (come tutti i titoli di stato). Questi nuovi titoli di sconto fiscale godrebbero dell’enorme vantaggio di essere classificati investment grade dalle agenzie di rating e quindi di venire certamente accettati e promossi dalla Bce, dal sistema bancario e prevedibilmente dagli stessi mercati finanziari[7]. I TSF dovrebbero essere assegnati a enti pubblici, famiglie e imprese per aumentare il loro potere di acquisto e, nel caso delle aziende, per diminuire il cuneo fiscale e aumentare quindi la loro competitività. L’emissione di questo titolo/quasi-moneta sarebbe altamente opportuno, e anzi necessario per rilanciare la domanda aggregata, finanziare la ripresa dell’economia reale e ridurre il rapporto debito pubblico/PIL. Tra l’altro l’emissione dei titoli fiscali comporterebbe un aumento medio del reddito dell’ordine di 100 euro al mese per famiglia. E la distribuzione dei titoli avverrebbe in proporzione inversa al reddito famigliare. Le famiglie più bisognose avrebbero quindi più di cento euro al mese. La manovra riscuoterebbe un grande e diffuso consenso sociale senza incrementare il deficit pubblico. Infatti al quarto anno, ovvero alla scadenza dei titoli, la crescita del PIL nominale, dovuta al moltiplicatore fiscale e all’inflazione, sarà tale da generare ricavi fiscali più che sufficienti a coprire il valore dell’emissione. Non credo che il governo italiano, né tanto meno i sindacati dei lavoratori e l’associazione delle imprese italiane, possano sottovalutare e ignorare queste proposte.

NOTE

[1] Walter Russell Mead, Wall Street Journal “Incredible Shrinking Europe. The Continent’s grand unity project is failing, and its global influence is fading. Feb. 11, 2019; W. M. Mead, WSJ, “Europe’s Challenge Is Decline, Not Trump. Even George Soros warns that the EU may ‘go the way of the Soviet Union in 1991.’

[2] MicroMega 2/2019: “Un’altra Europa è necessaria”

[3] R. Ciccarelli, «Tsipras ha respinto un colpo di Stato della Troika», il manifesto, 7/7/2015

[4] J. Stiglitz, «The euro could be nearing a crisis – can it be saved?», The Guardian, 13/6/2018.

[5] D. Taino, «Che orribile idea l’euro», Corriere della Sera, 21/5/ 2013.

[6] J, Stiglitz, «Can the Euro Be Saved?» Project Syndacate, 13/6/2018

[7] E. Grazzini, «Come far crescere l’economia senza scontrarsi con Ue e mercati. Appello al governo Conte», MicroMega, 21/11/2018.






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