Arte, politica e simboli
Mariasole Garacci
A Roma, la galleria del Mascherino sta portando avanti una serie di vivaci e interessanti antologiche dedicate al rapporto tra arte e politica dagli anni Sessanta a oggi, visitato attraverso le opere di alcuni dei più importanti artisti contemporanei italiani e stranieri.
Il progetto espositivo della galleria romana Mascherino Arte Contemporanea, fondata nel 1993 da Stefano Dello Schiavo, sta offrendo una coerente rassegna di alcuni episodi della relazione tra arte e politica con una serie di piccole antologiche (siamo ora alla seconda, da quando la galleria ha riaperto i battenti: Arte e regimi 1960-1990) che ne mettono in luce l’eterogeneità degli esiti individuando alcune direttrici ricorrenti.
Emblematico è il lavoro , il duo artistico formato da Joan Cardells e Jorge Ballester e attivo nella Spagna franchista tra il 1966 e l’inizio della Transiciòn, quando si scioglie per l’esaurirsi della sua ragione politica. In linea con un ritorno al figurativo rappresentato da altri collettivi come Equipo Crónica ed Estampa Popular, Cardells e Ballester producono immagini satiriche che, con un linguaggio pop che mescola l’estetica pubblicitaria e dei rotocalchi ai topoi della grande tradizione figurativa spagnola, smascherano l’autoritarismo della dittatura e le sue declinazioni propagandistiche incarnate dal consumismo di beni materiali e di stili di vita inquadrati in un retrivo e pigro moralismo. Il risultato è spesso inquietante, come il quadro del 1974 tratto da un’immagine di giornale che ritrae un gruppo di legionari franchisti: il volto di uno di loro è censurato da un quadrato nero, la damnatio memoriae che spettava a chi, da un giorno all’altro, diveniva inviso al regime.
Si tratta dello stesso meccanismo di appropriazione e risemantizzazione della realtà quotidiana alla base della celebre serie intitolata Manipolazione di Cultura/Manipulation der Kultur (1971-1976): fotografie storiche di momenti di vita sociale durante il nazismo parzialmente obliterate da una fascia di vernice nera; in basso, un’emblematica didascalia in italiano e in tedesco descrive sinteticamente la scena in terza persona. Due coppie eleganti e sorridenti come in un placido conversation piece all’inglese, gli uomini in divisa con la svastica al braccio: “Inquadrano borghesi”; un ragazzo e una ragazza in costume da bagno, perfetti esemplari germanici: “Si abbronzano”; Goebbels in visita alla mostra di “arte degenerata” del 1937: “Conoscono la qualità”. Le azioni sono descritte con una sentenza impersonale, apparentemente innocua e obiettiva; ma la sentenza, il giudizio, comporta necessariamente un atto di interpretazione della realtà, e nell’interpretazione si annida uno strumento di mistificazione e manipolazione ideologica della verità.
Le immagini prelevate dai quotidiani e dai rotocalchi, estratte dal sistema di valori originario, modificate e reinterpretate possono, però, essere usate anche con accenti diversi: se i montaggi fotografici forniscono un close-up drammatizzato e commosso sul cadavere di Ernesto “Che” Guevara, che da morto sembra continuare a vegliare con occhi sorprendentemente dolci, espressivi e vitali, l’elaborazione di un ritratto propagandistico di Lenin fatta da Mario Schifano non vuole essere un omaggio alla memoria, ma afferrare dal febbrile stream mediatico di visioni e informazioni un cronachistico, quasi disimpegnato, singolo frammento: anticipando un fenomeno tipico degli ultimi decenni, il simbolo ideologico deflagra e si apre, insomma, a una seconda vita da icona pop.
Un ulteriore, originale spunto di riflessione sul tema della portata simbolica dell’immagine è fornito, in questa mostra, da due opere dell’artista conosciuto con lo pseudonimo (italianizzazione di Joe Piper, il personaggio di Walt Disney), pioniere nostrano dell’arte informatica negli anni Novanta. Con un’elaborazione grafica della celebre foto di Ezra Pound che fa il saluto fascista al suo ritorno in Italia dopo anni di reclusione nel manicomio Saint Elizabeth’s di Washington, si interviene sul rapporto pericoloso e sensibile tra biografia e opera, tra etica ed estetica, e sulla natura mutevole e ideologica della fortuna critica di un artista, di un’opera o di una corrente: al ritratto di Pound, è affiancato un brano da un noto libro di testo delle scuole superiori in cui la complessità del Futurismo viene capziosamente limitata al rapporto storico e politico con l’industrialismo capitalistico. Con la stessa ironia, si confrontano con i malintesi del conformismo ideologico anche i lavori e , quest’ultima presente con esemplari dalla serie Saper leggere (1978) e Donne e soldati (1978-1981), incentrate sul ruolo della donna nell’iconografia maoista.
Il tema della memoria storica è visitato, con accenti più personali, dall’opera in mostra , La fontana di via Barletta (1969): l’artista si ritrae nell’atto di compiere piccoli gesti come riempire un fiasco d’acqua o tracciare con il gesso delle linee sul pavimento, evocando il ricordo di quando, bambino, andava a raccogliere l’acqua dalla fontanella pubblica sotto lo sguardo dei soldati nazisti alloggiati nella vicina caserma. Sul tema della memoria si esercita anche Franco Angeli in Cimitero nazista (1962): senza metafore, se non quella feroce rappresentata dalla svastica nel nostro immaginario, si evocano i morti del nazismo con un’opera lapidaria e muta che, stavolta, non si presta a interpretazioni.
Arte e regimi, 1960-1990
Fino al 9 novembre
Mascherino Arte Contemporanea, Roma – Via del Mascherino n. 24
Orario: dal martedì al sabato ore 16.00-19.30; chiuso lunedì e festivi.
[1] Jacques Rancière, Le partage du sensible. Esthétique et politique, La Fabrique éditions, 2000, ed. it. La partizione del sensibile. Estetica e politica, trad. di Francesco Caliri, DeriveApprodi 2016, pp. 57-58
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