Arturo Paoli, 100 anni molto scomodi

Maurizio Chierici

, da “Il Fatto quotidiano”

Occhi allegri, capelli bianchi come Chaplin nella vecchiaia: Arturo Paoli compie 100 anni. Ha attraversato il secolo breve nei gironi dei senza nome. Parla a voce bassa, ma la voce rimbomba appena l’analisi umilia la vita degli altri. Batte l’indice sul tavolo per far capire di non sopportare la povertà dei poveri, spazzatura fastidiosa per la società degli affari. Quasi un miliardo di ombre.

Era ragazzo quando attorno alla sua Lucca le squadre nere bastonano a morte Giovanni Amendola, deputato liberale. Frequenta il ginnasio mentre Mussolini scioglie l’aula grigia del parlamento. Laurea in lettere a Pisa, la vocazione arriva l’anno dopo. A 34 anni rischia la vita per salvare un ebreo tedesco, Zvi Yaciov Gerstel, famoso per gli studi sul Talmud. Per Israele diventa un “giusto tra le nazioni”. La Resistenza continua e continua la paura, ma non si arrende. 800 ebrei rubati da un piccolo prete ai treni della morte.

Nel ’49 lo chiamano a Roma: vice assistente nazionale dell’Azione Cattolica, presidente Carlo Carretto. “A quel tempo i giovani cattolici dovevano solo voler bene e aiutare il papa…”. Contemplazione sterile fino a quando nel ’52 comincia “la seconda vita”, mescolamento che arriva ai nostri giorni “segnati dalla debolezza politica e incapacità di trasformare la storia per inseguire i sondaggi”. Intanto Luigi Gedda inventa i comitati civici che organizzano i credenti in macchine da guerra impegnate a distruggere le sinistre senza Dio. Papa Pacelli e la Confindustria benedicono l’operazione elettorale alla quale si sentono estranei giovani e non giovani che attribuiscono alla fede una speranza diversa. Non ci stanno Giorgio La Pira, Giuseppe Dossetti, Davide Turoldo. Anche Paoli non è d’accordo. Fra loro, ragazzi che non hanno smesso di scrivere. “Anni fa ho ritrovato Umberto Eco. Leggeva soprattutto Maritain…”. Carretto si rifugia nella congregazione dei Piccoli Fratelli di Charles Foucault, uno dei tre beati proclamati da Ratzinger appena papa.

I segni continuano a intrecciarsi. Viene esiliato nelle navi che portano gli italiani usciti dalle rovine della guerra nell’Argentina del benessere: assistente spirituale. Incontra un Piccolo Fratello in agonia e decide di continuarne la vocazione. Il noviziato gli fa capire cosa lo aspetta: testimoniare la fede senza una parola, facchino attorno al deserto ad Algeri che insorge contro la colonia francese. “Era il 1954, avevo 42 anni. I ragazzi musulmani coi quali scaricavo le navi trattavano con rispetto il marabut, la persona religiosa. Prima di cominciare il lavoro mi baciavano la fronte. Non importa se il mio Dio aveva un nome diverso. Dalla finestra ho visto i legionari di Parigi calpestare la testa di un arabo quasi fosse un topo”.

Raggiunge Carretto nel deserto, esercizio di meditazione lungo 600 chilometri. Camminano per settimane in coda a carovane di cammelli: “È stata l’avventura spirituale più bella della vita. I venti portavano i semi dall’Olanda, nella sabbia fiorivano tulipani”. Torna in Italia, minatore in Sardegna, ma la burocrazia vaticana si infastidisce e comincia l’avventura nell’altra America.

Boscaiolo in Argentina dove organizza i taglialegna in sindacato quando la multinazionale inglese chiude i cantieri. Diventa superiore (sorride nel ricordare la parola) dei Piccoli Fratelli dell’America Latina. Incontra un vescovo col quale discute “una teologia comprometida”, impegnata nel sociale: diventa la base sulla quale si forma la teologia della liberazione. Il vescovo è Enrique Angelelli, voce critica dell’Argentina soffocata dai militari. Se ne liberano fingendo un incidente.

Paoli va in Cile in quel ’73 del golpe di Pinochet. Come in Argentina, nei manifesti che il regime incolla lungo le strade il suo nome è il numero due fra i “ ricercati pericolosi”. Una volta ne ho parlato con l’ingegnere Augusto Pinochet junior, militare affogato in affari oscuri che l’hanno portato in galera. Sotto il ritratto del generale padre ne difendeva la memoria. “Paoli non era un terrorista…”, provo a dire. “Era il Che dei cattolici. Gli amici vaticani lo consideravano così”. Si rifugia in Brasile, nell’immensa favela di Boa Esperança attorno alle cascate di Iguaçu, miseria dei relitti che la disperazione raccoglie sotto le lamiere. 1987: trasforma la città degli stracci nella città della comprensione e della solidarietà attraverso una cultura che distribuisce nelle scuole costruite con l’ostinazione di chi bussa alle porte allungando la mano della carità.

Una volta, in Italia, legge su Repubblica la polemica tra Eugenio Scalfari e Pietro Citati a proposito del capitalismo e protesta col direttore: “Mi ha colpito il suo mettere in evidenza il mercato come elevato a divinità perché da anni ne denuncio l’idolatria… Questa visione per me è quotidianità quando, all’alba, apro la porta di casa e trovo nei vicoli della favela persone che gemono sotto le ruote del mercato. Sono la mia famiglia”.

Finalmente a Lucca, viceparroco di una chiesa sulle colline, ma la vita non cambia: come a Iguaçu, ogni giorno arrivano pentole e signore che mettono a tavola il prete che non si arrende. Scrive per Rocca, Cittadella di Assisi. Accende dibattiti a proposito dell’arroganza della società che massacra i diseredati. Nel 2005 il vescovo di Trento lo chiama ad accompagnare con le sue parole la marcia della pace organizzata da Pax Christi e riaffiora la diffidenza della Cei del cardinale Ruini. Non lo vogliono nel timore potesse strumentalizzare ideologicamente la manifestazione. “Se strumentalizzazione vuol dire solidarietà sono d’accordo”. Censura annacquata dall’ipocrisia di un comunicato che annuncia: “Paoli non può perché non è di Trento”.

L’ultimo libro è La pazienza del nulla, editore Chiarelettere, un’esplosione di gioia: la vecchiaia rende liberi. Nessun ricordo, nessun rimpianto (come nel Norberto Bobbio di De senectute). Il piccolo fratello vola lontano dal passato in un futuro che raggiunge la speranza.

(3 dicembre 2012)



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